Adesso andate con la memoria al passato, soprattutto a quello della Prima Repubblica.
Pensate ai vari Andreotti, La Malfa, Fanfani, De Mita, Spadolini, Natta, Iotti, Intini, Amato…
Pensate a quelle interminabili tribune politiche sulla Rai, grigie, pallose e incomprensibili. Vecchi tempi: c’era la Dc eternamente al governo, i suoi alleati, il Pci eternamente all’opposizione, i sindacati incazzati come pantere nelle assemblee di fabbrica, gli scioperi, la lira, l’inflazione, la scala mobile, il compromesso storico, il politichese…
Poi, fuori dai nostri confini, c’era l’America e l’Unione Sovietica, punto. L’Europa era solo una comparsa importante, divisa dal famoso ‘muro’: da una parte le democrazie occidentali e dall’altra i regimi filosovietici, da una parte i capitalisti e dall’altra i comunisti. Il resto del mondo era ancora terreno di conquista degli uni e degli altri, anche dopo tanti decenni dalla fine del colonialismo. Pensate, in fondo, a com’era tutto prevedibile, preordinato, addomesticato dal deterrente di una possibile guerra nucleare tra le due superpotenze d’allora. L’incubo della guerra atomica, un suicidio globale che nessuno sano di mente ha mai voluto, ha di fatto inibito la naturale entropia politica del mondo intero per cinquant’anni.
Pensate ai vecchi film di 007, il super agente segreto britannico eternamente in competizione con l’inseparabile – sempre nemico e a volte alleato – agente sovietico, oppure alle prese col bieco miliardario di turno, tanto folle e megalomane quanto improbabile e grottesco. Film dalle trame semplici e lineari con finale scontato. Confrontateli coi film di spionaggio attuali: verosimili, caotici e ingarbugliati come teoremi di fisica quantistica.
Ebbene, oggi la realtà ha superato la fantasia!
Ormai lo stiamo avvertendo in tanti: la politica ha cominciato a rivelare il suo fascino perverso soprattutto da quando s’è fatta caotica. Da quando cioè sono saltati i vecchi schemi strategici, tutti quegli assetti geopolitici e quelle stesse ideologie che in qualche modo l’avevano resa prevedibile (e forse pure noiosa) per troppi anni.
L’ho appena ricordato: il mondo diviso in due blocchi, comunismo contro capitalismo, e tutti gli altri, che stavano fuori da questi due sistemi, costretti a ubbidire all’uno o all’altro.
Ora, dopo l’implosione e il disfacimento di uno dei due blocchi, l’illusione di quello vincente (?) che tutto il mondo ne seguisse l’esempio s’è dovuta scontrare con una inaspettata e sconcertante realtà che, come accennerò tra breve, semplicemente segue un’unica regola: quella del caos.
La verità è che siamo fatalmente e masochisticamente attratti dalle complicazioni… e cosa c’è di più complicato e masochistico di una politica caotica come quella odierna?
La gente è scontenta, esasperata da una crisi epocale di cui non vede una fine semplicemente perché non si tratta di una crisi ciclica ma sistemica, strutturale. Una crisi cioè che non avrà soluzione se non cambierà tutto il sistema…
Ma voi ce le vedete le lobby economico-finanziarie mondiali che accettano di farsi da parte per salvare il salvabile? Per dare maggiore equità al mondo? Per rendere giustizia a tutti coloro che stanno pagando gli effetti delle disparità e delle disuguaglianze generate dal neoliberismo dilagante? A breve aspettiamoci delle sorprese gente… e non piacevoli!
Il modello neoliberista che dagli anni novanta in poi ha goduto di una diffusione senza precedenti sta scricchiolando, sta mostrando al mondo le sue prime crepe.
E ora, l’intera classe politica che ne ha fatto l’unico modello di riferimento – tutta la classe politica – dalla destra, da sempre allineata ai poteri forti e alle élite finanziarie, alla (fu) sinistra, che ha deciso di rinnovarsi sposando senza riserve (dovranno prima o poi spiegarci il perché) la stessa dottrina neoliberista, sta scontando questa scelta attraverso un calo di credibilità epocale. La gente non crede più nelle promesse, nelle dichiarazioni d’intenti, nei proclami. La gente è stanca della formula politica basata sulla rappresentanza, semplicemente perché la classe politica non rappresenta più la gente ma il potere economico.
Ma attenzione, l’attuale spettacolo della politica è desolante solo in apparenza. Soprattutto per chi fa informazione, questo spettacolo non è mai stato così attraente e stimolante.
Preambolo: cominciamo col dire che la politica, come ogni altra disciplina complessa, è composta di due aspetti, uno teorico (in cui, più o meno, siamo tutti bravi, quasi dei geni), e uno pratico (e qui la musica cambia). Nel secondo non basta fare due più due, perché nella realtà della politica due più due non fa mai quattro. C’è sempre una variabile di troppo, un segno invisibile, un’incognita imprevista che scombina i piani, stravolgendo un risultato che sovente (e a torto) si dà per scontato.
È un po’ come nelle teorie del caos. Una di esse, dell’illustre chimico premio Nobel Ilya Prigogine, sostiene, per esempio, che la realtà non segue strettamente il modello dell’orologio, prevedibile e determinato, ma ha aspetti caotici entro i quali instabilità e imprevedibilità sono la norma…
Pertanto, tutti gli elementi che abbiamo considerato, ordinato e che crediamo di avere sotto controllo, sperando di mantenerli in un equilibrio costante nel tempo, sono al contrario esposti a forze che vanno al di là della nostra capacità di comprensione. Questi elementi, spinti da simili energie, finiranno col tempo per attrarsi o respingersi fino a sovvertire l’ordine che avevamo con tanta fatica raggiunto (oppure soltanto auspicato), per sostituirlo con un altro non previsto, poi un altro, e un altro ancora. Ininterrottamente e in eterno.
Il fatto è che il caos trae origine da un fenomeno da cui nessuno di noi può prescindere, qualcosa che è un tutt’uno col concetto stesso di esistenza: il movimento.
Ma proviamo a capirne di più facendo qualche esempio pratico: cosa c’è di più dinamico, movimentato, ribollente, instabile, tellurico, di questo nostro tanto auspicato mondo globalizzato? Reso ancor più traballante da un neoliberismo ormai fuori controllo, responsabile di disequilibri e tensioni destinati solo ad aumentare?
Quando si elimina il controllo di un sistema, il disordine prende fisiologicamente il sopravvento: le forze che agiscono nello spazio si moltiplicano entrando prima in contatto e poi in conflitto. Le forze sono per definizione dinamiche e, una volta liberate, si attraggono e si respingono in un moto perpetuo dai meccanismi imprevedibili. In altre parole, il caos.
Questa è la situazione che l’attuale classe politica di tutto il mondo è chiamata a gestire e a risolvere. E il paradosso è che questa situazione è l’esatto risultato delle scelte fatte dalla classe politica tutta, indistintamente.
In un tale quadro non proprio esaltante, l’informazione è chiamata a svolgere un superlavoro! Ogni giorno vengono divulgate notizie vere e false, o notizie vere che racchiudono falsità e notizie false che sottintendono verità. Un fiume di notizie, di informazioni e disinformazioni, che sfruttano tutti i canali possibili: radio, televisione, internet. Si tratta di una vera e propria proliferazione monstre di dati nel quale è sempre più arduo distinguere il vero dal falso. Il caos porta anche a questo.
Tutto ciò per quanto riguarda la visione d’insieme del problema.
Poniamo adesso il discorso a una dimensione più vicina al nostro quotidiano. Anche se può apparire banale, consideriamo che la politica si rivela risolutiva soprattutto quando la si attiva per raggiungere risultati parziali, cioè per risolvere problemi limitati nello spazio e nel tempo. Sistemare le seccature di un condominio è probabilmente meno arduo che risolvere i problemi di un intero quartiere con la pretesa di rendere felici tutti i suoi abitanti.
Perciò, più l’azione politica è limitata nello spazio e nel tempo, meno saranno le variabili e le incognite in grado di mandare all’aria il buon esito di detta azione. Al contrario, più i problemi sono complessi e allargati nello spazio, più servirà tempo per affrontarli e risolverli, e sappiamo che il tempo, prima o poi, porta imprevisti.
Spesso non è neppure lontanamente sufficiente la durata di una legislatura (cinque anni, se si fa riferimento all’ordinamento italiano). Ed è per questo che quasi sempre la fine di una legislatura coincide col malcontento della gente che l’ha vissuta e subita. Se ci aggiungiamo che in Italia, per la cronica debolezza dei nostri equilibri politici, le legislature non arrivano quasi mai alla fine naturale del loro mandato, la probabilità che un governo mantenga tutte le promesse fatte in campagna elettorale si rivela un’autentica chimera (oggi ancor più che in passato).
E questo non tanto e non solo in ragione di una sua conclamata inefficienza (sarebbe bene che ognuno di noi lo capisse quando viene il momento di tirare le somme), ma soprattutto a causa degli intralci generati proprio da chi è governato, cioè dalla gente. Quella stessa gente che poi sarà chiamata a giudicare i risultati ottenuti o i risultati disattesi e i fallimenti. Gente costituita da un insieme eterogeneo di persone con interessi contrapposti, persone spesso non in grado di comprendere fino in fondo quanto e in che modo le proprie scelte e le proprie azioni individuali possano influire nel bilancio della collettività d’appartenenza.
Un governo non solo ha il compito e il potere di eseguire le decisioni politiche di uno stato, non è solo l’espressione della maggioranza di un popolo, ma diventa anche, suo malgrado, la principale speranza del cittadino nella ricerca di una soluzione ai suoi problemi individuali che non sempre coincidono coi problemi del paese nel suo insieme. È per questa ragione che i governi sono fatalmente soggetti a essere il capro espiatorio preferito dai cittadini quando le cose vanno male.
È così: La politica deve fare i conti con forze centripete (gli interessi individuali dei cittadini) e forze centrifughe (gli interessi strategici degli enti sovranazionali). Forze tra loro antitetiche che di fatto intralciano o addirittura compromettono l’azione politica di uno stato, generando risultati destinati a scontentare tutti con effetti collaterali imprevedibili.
La schizofrenia dell’attuale politica la porta a voler sedurre gli individui e al contempo a farsi sedurre dagli enti sovranazionali. Un atteggiamento contraddittorio che ha provocato una spaccatura coi cittadini sempre più profonda e destinata a peggiorare.
Per questo motivo servirebbe un radicale cambio di rotta della politica, una svolta epocale come epocale è l’entità dell’attuale crisi.
Il caos non è alle porte, il caos è ormai entrato nel nostro quotidiano. E sta già travolgendo tutto quanto, non soltanto il mondo della politica. Dal mondo del lavoro a quello più ampio della comunicazione, dal credo religioso alla sfera più intima dei rapporti umani. La sensazione è quella di una progressiva deregolamentazione imposta da un sistema globale che tuttavia sta rafforzando il proprio controllo su tutto. Una formula non nuova che si regge sull’enunciato che la progressiva debolezza dei controllati rafforza ulteriormente i controllori.
Una destra che parla di uguaglianza, che va nei quartieri poveri e nelle periferie a parlare con la gente. Una sinistra che si siede a fianco di industriali e banchieri. Un nuovo razzismo di pancia, emergente certo, ma fortunatamente orfano delle ideologie aberranti del passato. Una classe operaia che vota Lega, perché abbandonata a se stessa e incazzata più che mai con una classe politica di sinistra considerata (a ragione) traditrice e voltagabbana. Una élite intellettuale di sinistra, appunto, con maglioncini di cashmere e Tod’s che abita gli attici nei quartieri bene e che considera gli operai… anzi non li considera proprio più!
Dicevo, un’Europa falsamente unita che predica l’accoglienza e la pace, ma vende armi ai paesi in guerra e svuota l’Africa delle sue risorse. Un terrorismo non più soltanto circoscritto a un territorio o a un’ideologia, ma motivato da ragioni esistenziali, religiose ed economiche, e con una diffusione più che mai internazionale e capillare.
Infine la favola della globalizzazione, la cui propaganda parla di mescolanza tra i popoli, di interscambio senza più barriere, di fratellanza e di abbattimento delle distanze… mentre la realtà è fatta di povertà e di disuguaglianze in aumento.
Ma la vera notizia sta nella trasversalità. E già… una volta la povertà era appannaggio esclusivo del proletariato e del sottoproletariato, ora si è aggiunta anche la piccola/media borghesia. Quella impiegatizia, dei piccoli imprenditori che non ce la fanno, degli statali senza carriera, dei nuovi disoccupati, dei pensionati con pensioni da fame…
Come si dice: mal comune mezzo gaudio!
Sappiamo però che la realtà è cosa ben diversa di un semplice proverbio, perché questo mal comune ha invece partorito un implacabile comune denominatore: la paura.
Una paura folle di perdere tutto quello che ci è rimasto, quello che ancora non ci è stato tolto.
Adesso, il sistema che ha provocato la crisi, invece di mettersi in discussione, esige ulteriori sacrifici dalla gente, lo fa instillando paura, insicurezza e sensi di colpa. Lo fa con la complicità dell’informazione, quella istituzionale, quella collegata alle lobby finanziarie che, attraverso il sistema del debito, controllano risorse e servizi. Centri di potere che non potrebbero mai concepire un sistema diverso da quello in cui si sono generati. Un sistema folle, fondato su quel colossale gioco d’azzardo sulla pelle dei popoli, chiamato economia finanziaria.
Il caos è il suo habitat, solo nel caos questo sistema è in grado di ordire le sue trame per sopravvivere e continuare ad arricchire quel solito uno per cento della popolazione…
Questa politica del caos non ci riguarda. Questi revisori dei conti, queste guardie giurate in completo grigio con un occhio alle borse e un altro alle poltrone non ci rappresentano.
La politica, quella vera, si dia una mossa!