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Nuovi modelli per affrontare il presente

Essere per la prima volta dopo le elezioni comunali a Ferrara evoca uno strano sentimento. A prima vista non è cambiato niente. Dopo la vittoria della ‘Lega’ pensavo di vedere in ogni vicolo della città un poliziotto rabbioso. Temevo di vedere dappertutto la bandiera del partito vincente e di un poster del nuovo sindaco, fisiognomicamente un mini ‘Che’ di provincia.
Nonostante la campagna elettorale della ‘Lega’ contro gli extra comunitari, i mussulmani e i cristiani della ‘Chiesa di Papa Bergoglio’, negli aspetti pubblici evidenti la città non è cambiato molto. Insomma, la Ferrara in questi giorni sembra, come sempre, una città civile, calma, bella, talvolta anche un po’ noiosa e lontana dai grandi cambiamenti del mondo che palpita oltre le mura cittadine.
Ma sotto la superficie tranquilla si può registrare un forte e crescente cambiamento della società ferrarese. Per l’attuale governo comunale di Destra esiste ovviamente solo una parola d’ordine: “Sicurezza, Sicurezza, Sicurezza” un mantra ripetuto con insistenza, ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni in tutta la città. Certo, proteggere la sicurezza dei cittadini deve essere un obbligo di ogni comune sia esso di Destra che di Sinistra. Ma siamo seri, Ferrara non è stato durante gli ultimi ‘decenni rossi’ una Chicago degli anni di Al Capone o il Guatemala-City d’oggi. Non è certo da negare l’esistenza dei tanti malviventi in città, inclusi clan di narcotrafficanti di varia provenienza. Ma senza una clientela composta in parte anche da consumatori d’origine italiana ‘doc’ anche il mercato della droga non potrebbe esistere.
Chi crede davvero che si possano combattere questi fenomeni incivili e criminali con la rimozione delle panchine?

Crediamo davvero che si possa salvare l’“identità cristiana” di Ferrara, d’Italia o d’Europa attraverso l’affissione di tanti nuovi crocifissi negli spazi pubblici e soprattutto nelle scuole? Anche per me, come cattolico, il crocifisso ha non poca rilevanza ma, come cittadino (di Monaco e per un senso di intima appartenenza anche di Ferrara), difendo prima di tutto la laicità dei paesi europei. Sono, come ha detto una volta lo storico antifascista Arturo Carl Jemolo, “cattolico di fede, ma soprattutto laico di stato”. Anche perché so benissimo come soffrono (talvolta anche con torture) donne ed uomini in Paesi governati o oppressi da politici o predicatori islamici (senza per altro dimenticare, i fondamentalisti cristiani).
Noi tutti, sia i residenti di Ferrara, sia i turisti della città, sia i migranti e i profughi viviamo oggi in un epoca di grande cambiamento globale. Sono tempi, come ha scritto una volta lo scrittore argentino Ernest Sabatò, “nei quali la nostra immagine del mondo vacilla ed anche il sentimento di essere protetti dalla tradizione e dalla fiducia che ne deriva, viene meno“. Non è davvero una annotazione rassicurante, ma certo è realistica. Trovare terreni per un confronto civile e democratico sarà arduo, data la distanza di posizioni. Ma sicuramente non si può migliorare la situazione alimentando l’odio con la propaganda, con atti simbolici (e talora non solo), come ora anche il Comune – di Destra – tende a fare; ma non si può neppure (come si fa nel mondo della Sinistra) negare la sensazione diffusa di insicurezza di gran parte della gente di fronte ai disallineamenti culturali in corso.
Viviamo attualmente – come scrive l’intellettuale tedesca Cornelia Koppetsch in un libro di grande successo in Germania (“La società dell’ira”) – in tutto il mondo un processo di cambiamento epocale e profondo, per il quale non abbiamo né nomi per descriverlo né strategia adatte per affrontarlo“. Una riflessione che può portare alla rassegnazione oppure spingere a riflettere e coerentemente agire: io, personalmente preferisco la seconda opzione.

LE NOSTRE RADICI Spina, la sfinge dell’Adriatico

Tre secoli di storia, prima dell’era cristiana, hanno visto fiorire nella nostra Italia un ricco emporio commerciale in grado di connettere sistematicamente i vicini Etruschi e i famosi Greci, senza soluzione di continuità. Una storia talmente importante da relegarne le origini alla mitologia.

Potrebbero essere stati i Pelasgi, i fantastici popoli preellenici e antenati degli Etruschi, a colonizzare la Pianura Padana e dare le fondamenta alla città di Spina. Sarebbero venuti in Italia dalla Tessaglia sotto il re Nanas e, giunti presso la bocca del Po chiamata Spinete, alcuni avrebbero continuato il viaggio verso il centro della penisola per fondare le prime città etrusche, gli altri li avrebbero invece attesi rimanendo a guardia delle navi, dando vita a un nucleo abitativo denominato Spina. Ma secondo altri scrittori, l’onore sarebbe toccato all’eroe Diomede, combattente di Argo, che avrebbe diffuso la civiltà greca nel mare Adriatico dopo la guerra di Troia, sostando di porto in porto e fornendo insegnamenti agli abitanti locali, senza disdegnare la fondazione di città ex novo. E anche se i miti legati a Spina non si fermano qua, le vicende storiche ricostruite con la certezza dei fatti non sono certo meno affascinanti. Grazie all’archeologia, riusciamo a collocare la sua data di nascita nel VI secolo a. C., proprio mentre gli Etruschi stavano colonizzando la pianura per il controllo dei commerci via mare. Una città etrusca, dunque, ma che nel corso della sua esistenza avrebbe visto la compresenza anche di altre popolazioni. L’Etruria si era così ingrandita, fino a congiungere i due mari più vasti d’Italia, il Tirreno e l’Adriatico. E nel secolo successivo, il grande boom: fu questo il momento di maggior sviluppo soprattutto economico e commerciale. Oggi si ritiene che il tutto si basasse sul baratto, poiché mai sono emerse tracce di coniazione monetale. Dalle pregiate ceramiche figurate provenienti dall’Attica – una raccolta, quella del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, che tutto il mondo ci invidia – all’olio e al vino, dagli unguenti e profumi al marmo, fino ai tessuti, cibi e oggetti lussuosi; ogni tipo di prodotti passava da qui, in cambio di quanto più prezioso la nostra terra aveva da offrire: i suoi frutti. Proprio Atene, la città greca di cui abbiamo più notizie in assoluto, era molto legata a Spina, alla ricerca di tutti quei beni la cui mancanza le impediva di essere autosufficiente. Nel mondo ellenico giungevano carni salate – il sale era l’oro bianco dell’antichità – , legname, ambra, materiali, animali ed esseri umani. O quasi, perché gli schiavi non godevano ancora di tale considerazione. E a dimostrare l’estrema centralità del ruolo dell’antica città etrusca, una testimonianza a Delfi, nel santuario panellenico di Apollo, dove soltanto alle realtà più illustri, quasi sempre greche, era concessa la dedica di un Tesoro, ovvero un tempietto votivo che contribuiva alla magnificenza del culto apollineo. Spina era sorprendentemente tra queste, anche se ancora l’identificazione con i resti attuali non è sicura. Un rischio comune, tuttavia, è quello di bloccarsi all’apparenza di resti archeologici immobili e non riuscire a immaginare come vive le culture che li hanno prodotti. Ma la vivacità di Spina è evidente anche oggi: una città multietnica e un centro commerciale che torna a vivere nei vari manufatti di diversa provenienza e con differente destinazione. Una caratteristica, questa, ben visibile pure nel senso del sacro che le donne e gli uomini del luogo mostravano di avere, giunto sino a noi insieme ai corpi incinerati o inumati. Emblematica la pratica dell’obolo per Caronte, frammento di bronzo fuso posto nella mano destra, destinato al mitico traghettatore dei defunti verso il mondo dell’oltretomba.

Il IV secolo fu un periodo difficile per la Grecia e l’Italia, ma Spina resistette con forza e determinazione qualche decennio, dopodiché alla sua esistenza pose fine lo spostamento dei traffici commerciali, dovuto anche allo slittamento della linea di costa, in un momento di convivenza con un’altra popolazione, i Celti. Si chiuse in tal modo un capitolo enigmatico della Storia, che stiamo solo ora riaprendo. Ma la Sfinge, si sa, è custode gelosa.

 

Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
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Mafie al Nord: un convegno per conoscerle e contrastarle

Da: Organizzatori

“Mafie al Nord: conoscere per prevenire”. Convegno giovedì 24 ottobre a Ferrara promosso da Spi-Cgil e Libera

Il Coordinamento di Ferrara di Libera Associazioni, nomi e numeri contro le mafie e il sindacato SPI-CGIL di Ferrara organizzano il convegno “Mafie al Nord: conoscere per prevenire” per trattare il tema dell’infiltrazione e del radicamento della criminalità organizzata di stampo mafioso nel Nord Italia, approfondendone le dinamiche di azione e cercando di raccontarle al pubblico in un’occasione di riflessione qualificata.
I lavori si svolgeranno nella mattinata di giovedì 24 ottobre, con inizio alle 9.00, nella Sala Conferenze della Camera di Commercio (Largo Castello, 10). Relatori il professor Federico Varese (docente di Criminologia presso l’Università di Oxford); il colonnello della Guardia di Finanza Fulvio Bernabei (Comando Reparti Speciali della GdF); l’avvocato Donato La Muscatella, referente del Coordinamento di Ferrara di Libera; Luigi Giove, segretario generale CGIL dell’ Emilia – Romagna.

Brescello, in provincia di Reggio Emilia, è stato il primo comune della nostra regione commissariato per mafia. Per il processo“Aemilia”, che ha avuto come protagonista principale in giudizio la famiglia Grande Aracri di Cutro (Crotone) Il 24 ottobre 2018 la Corte di Cassazione ha confermato, per gli imputati che avevano richiesto il rito abbreviato, l’impianto accusatorio emerso nel corso del procedimento, emettendo 40 condanne definitive e comminando un totale di oltre 230 anni di reclusione. Inoltre, il 31 ottobre 2018, il Tribunale di Reggio Emilia ha condannato, in primo grado, 125 dei 148 imputati all’esito del rito ordinario.
Più recentemente, il processo “Stige”, contro la holding criminale facente capo alla famiglia Farao-Marincola di Cirò Marina, che si è concluso in primo grado a Catanzaro il 25 settembre scorso con condanne in abbreviato per oltre 600 anni, ha confermato il notevole grado di penetrazione della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna, in questo caso nella provincia di Parma.
Nella relazione semestrale della Dia (Relazione del ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, 2° semestre, luglio-dicembre 2018) si legge che “l’elevata vocazione imprenditoriale del tessuto economico regionale è uno dei fattori che attrae gli interessi della criminalità organizzata, sia autoctona che straniera, anche ai fini del riciclaggio e del reinvestimento in attività economiche dei profitti illeciti realizzati. Le famiglie criminali non mirano al controllo militare del territorio, con azioni violente, preferendo invece ricercare connivenze con esponenti delle amministrazioni locali, finalizzate ad ottenere agevolazioni nell’assegnazione degli appalti pubblici”.
Dal rapporto LiberaIdee, ricerca sociale svolta nel vicino Veneto su un campione nazionale scelto da Libera, risulta che per quasi la metà dei rispondenti (45,3%) la presenza della mafia nella propria zona è marginale, mentre in meno di un caso su cinque è ritenuta preoccupante e socialmente pericolosa.
Il 44% ritiene che la corruzione sia “abbastanza” presente nel territorio veneto, mentre soltanto uno su dieci la ritiene molto diffusa. “Per i cittadini che hanno risposto alla ricerca – ha commentato Roberto Tommasi, referente di Libera Veneto – la mafia è percepita come fenomeno globale ma sotto casa nessuno la vede”. “E’ fondamentale – secondo Tommasi – prendere coscienza del contesto criminale, premessa indispensabile per il contrasto alle mafie e alla corruzione. Per quanto efficaci, le sole misure repressive non basteranno infatti mai a eliminare il crimine organizzato nelle sue molteplici forme. Mafie e corruzione, prese insieme e alleate, sono un male non eminentemente criminale ma culturale, sociale, economico, politico. Occorre allora una grande opera educativa e culturale perché è la cultura che sveglia le coscienze”.

L’incontro di Ferrara nasce dunque dalla volontà di studiare e capire il più possibile il fenomeno della criminalità organizzata nel Nord Italia nelle sue specificità e sfaccettature; di volgere lo sguardo in quei territori dove la strutturazione locale dell’ impresa, degli scambi commerciali, culturali e sociali ha prodotto ricchezza e prospettive possibili e, nel medesimo tempo, si è trasformata in una calamita per gli interessi e le strategie espansive delle organizzazioni mafiose, oltre a dimostrarsi vulnerabile agli illeciti impuniti di alcuni cittadini e operatori economici. Soprattutto è necessario diffondere la consapevolezza che proviene dagli ambienti accademici, investigativi, giudiziari, alla cittadinanza di oggi e di domani.

Vanno a ruba i Btp in dollari. Ecco a chi conviene…

L’Italia ha appena emesso Bond in dollari americani, con scadenze varie e interessi allettanti, per un totale di 7 miliardi di euro. Le tre tipologie di Btp sono state collocate al 2,4% per i titoli a 5 anni, 2,9% per il quelli di durata di 10 anni, fino al 4,02% per il Btp trentennale. Interessi che hanno stimolato … l’interesse degli investitori, abituati a ricevere molto di meno sui bond europei emessi oramai, per la maggior parte, a tassi negativi.

I comunicati del Ministero dell’Economia e Finanza specificano che “I proventi derivanti dall’emissione potranno essere impiegati dall’emittente per necessità generali dell’emittente, ivi incluse finalità di gestione del debito”. In altre parole i soldi raccolti, che sono ovviamente nuovo debito, potranno essere utilizzati per saldare vecchi debiti, a dimostrazione del fatto che la più improduttiva delle spese dello Stato è proprio il pagamento degli interessi sul debito. Si fa debito per pagare altro debito.

Gli interessi sul debito pubblico che la comunità si è dovuta accollare negli ultimi due anni sono stati all’incirca 130 miliardi (dati Def e Nadef) che mentre da una parte rappresentano un’esigenza per la moderna economia, dall’altra dimostrano una specifica volontà politica di finanziarsi nel modo peggiore, ovvero vendendo Btp alle condizioni più favorevoli al mercato e meno vantaggiosi per chi li emette (aste marginali invece che aste competitive, conteggio nel debito dei Btp già ricomprati dalla Banca d’Italia, necessità di vendere tutto nella medesima asta a tutti i costi, nessun supporto di una banca pubblica ed ora Btp in valuta diversa dall’euro).

In tale quadro, ovviamente e chiaramente politico prima che economico, il debito pubblico italiano è un enorme contenitore che è arrivato alla astronomica cifra di 2.410 miliardi di euro al 31 luglio 2019. L’ultimo bollettino del Mef sulla composizione dei titoli di stato in circolazione al 30 settembre 2019, rende noto che del totale del debito pubblico 2.015 miliardi e 558,09 milioni sono titoli di stato. Di questi il 71,43% sono Btp, ovvero titoli a più lunga scadenza e sui quali si concentra la speculazione.

E’ ovvio che in un contesto di numeri di questo genere anche il senatore Bagnai, a capo della Commissione Finanze del Senato, abbia ridimensionato la portata degli spiccioli emessi in dollari. Quale danno potrebbero fare 7 miliardi di euro di bond emessi in valuta straniera rispetto ai già oltre 2.000 miliardi emessi in euro?

In realtà non è così semplice, soprattutto quando ci viene detto continuamente che il debito oggi accumulato graverà sulle future generazioni, affermazione che ovviamente non solo contesto io (poca cosa) ma che ha contestato persino Milton Friedmann, padre dell’attuale politica economica neoliberista.

E se dunque la spesa pubblica è a carico nostro, allora mi sembra giusto pretendere la miglior gestione possibile. Se persino i posti letto negli ospedali ed i tetti che coprono le scuole dei nostri figli sono soggette al buon risultato del bilancio statale, allora anche l’emissione di pochi “spiccioli” dovrebbe seguire la logica della buona amministrazione e della lungimiranza politica.

Gli esempi di default che vanno per la maggiore in tv fanno sempre riferimento sempre a stati che hanno emesso debito in valuta straniera, ovvero valuta che gli emittenti non potevano poi controllare. L’Argentina rappresenta l’esempio classico ma anche la Russia della fine dell’ultimo secolo si era indebitata in dollari prima del default.

Certo, se si parte dal presupposto che in ultima analisi non possiamo controllare nemmeno l’euro in quanto abbiamo demandato alla Bce la politica monetaria staccandola dalla politica fiscale e dai vari ministeri del Tesoro, allora cambia poco, siamo d’accordo. Anche l’euro è sostanzialmente una moneta straniera, presa a prestito. Ed a riprova di questo, e se si spulciano le voci del debito pubblico, si scopre che vi sono conteggiati anche i 179 miliardi di debito corrispondenti alla liquidità del Paese. Cioè alla moneta cartacea che utilizziamo, che appartiene alla Banca Centrale Europea e che ad essa devono essere restituiti.

Tornando al punto, le ultime emissioni di Btp in euro non hanno mai raggiunto il livello di interesse che invece dovremmo pagare per quest’ultima emissione. Anzi, nel comunicato stampa n° 173 del 03/10/2019 si legge che “Il Ministero dell’Economia e delle Finanze comunica i dettagli dell’emissione del nuovo Btp€i a 10 anni, con scadenza 15 maggio 2030 e cedola reale dello 0,40%”. Cioè emettere Btp in euro ci costa infinitamente di meno rispetto all’emissione in dollari che oltretutto è anche più rischiosa.

Ovviamente il Sole 24 ore ha spiegato che è solo “un effetto ottico” perché grazie alla stipula di derivati, ovvero di assicurazioni sul debito emesso, alla fine andremo a spendere la stessa cifra in interessi rispetto ad un indebitamento in euro. Una spiegazione con un po’ di buchi intorno e che non dice, ad esempio, che le assicurazioni vanno pagate, quindi ulteriori costi a nostro carico.

E nemmeno abbiamo voglia di andare a leggere le clausole, visto che di derivati qui a Ferrara abbiamo esperienza e che è storia il fatto che i contratti per derivati siano talmente complicati da essere ostici persino a chi li predispone.

La realtà è che vendere titoli in Btp conviene agli investitori e a noi, in fondo, piace far felici gli investitori tanto che dagli anni ’80 gli abbiamo già versato in interessi più di 3.000 miliardi di euro. Perché smettere?

L’impronta patriarcale nella condanna ai leader del governo catalano

Tutti ricordiamo le lunghe fila ordinate di catalani, intere famiglie, più di 2 milioni di cittadine e cittadini che si sono presentati per il voto del referendum indipendentista nell’ottobre 2017. Un referendum voluto con tanta determinazione dal governo catalano di allora e direi dalla popolazione catalana, considerando la imponente partecipazione sia al voto che nel mettersi al servizio della comunità per renderlo possibile. Un referendum osteggiato dal governo di Madrid e dichiarato illegale dalla corte suprema spagnola. Ricordiamo anche l’imponente schieramento di forze di polizia che hanno tentato di impedire il voto anche ricorrendo all’uso della forza e della violenza, violenza alla quale i catalani non hanno pur restando in file ordinate. Insomma un esempio di disobbedienza civile straordinario [leggi].

La severissima condanna dei 12 rappresentanti del governo di allora, dopo due lunghi anni di reclusione preventiva per nove di loro (un accanimento giudiziario davvero inspiegabile), obbliga tutti noi che viviamo in paesi democratici a porci delle domande. Davvero non si spiega tale durezza da parte della giustizia! Ai giovani maschi di Pamplona che stuprarono ripetutamente in gruppo una giovane ragazza è stato riservato un trattamento molto meno severo, almeno nella prima condanna!
Per me è evidente la radice patriarcale di questa condanna. Sanchez dichiara che lo Stato di diritto ha vinto. Io credo invece che sia la volontà di pochi, una manciata di uomini, a a voler reprimere qualsiasi aspirazione all’autodeterminazione. Chiamare in causa lo Stato di Diritto, quando lo Stato siamo noi, significa avere in mente solo uno Stato metaforicamente assimilabile alla figura del Padre e non certo rappresentativo della comunità. Appare lampante l’associazione: un padre di famiglia che non riesce più a farsi ascoltare e invece di interrogarsi sui perché della perdita di tale autorità diventa dispotico e violento. La scusa della legge che regna sovrana sopra la testa dei cittadini e che impone a tutti una obbedienza remissiva non è più accettabile. La distanza tra questa decisione giudiziaria, l’arresto di Jane Fonda perché manifestava sulle scale del Campidoglio di Washingthon, l’accanimento mediatico contro Greta, e l’orribile assassinio di Hevrin Khalaf in Siria si assottiglia sempre di più.
Il reato per il quale sono stati condannati è sedizione. La definizione di sedizione è “sommossa violenta contro il potere costituito”. Ma questo è agli occhi di tutti falso… Abbiamo seguito le riprese trasmesse via facebook in diretta di quel giorno, riprese che arrivavano da diverse fonti e dagli stessi cittadini. La ordinata disobbedienza civile dei catalani di allora e del periodo di persecuzione politica che ne è seguito, ci ha tutti impressionati. Sembra che la condanna serva da monito a tutti i cittadini democratici. Il diritto all’autodeterminazione di un popolo viene cancellato, in Spagna, con una condanna che sa più di vendetta che di giustizia.
Oggi il sistema democratico mostra le sue grandi falle! Io sto con i catalani e il loro desiderio di poter essere padroni delle proprie scelte.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
‘Economia, informazione e cittadini’, ruolo e responsabilità di media e istituzioni

Che ruolo svolge l’informazione nella diffusione delle informazioni economiche, questo il tema del seminario promosso dall’Ordine dei giornalisti che si è svolto sabato 5 ottobre nella sala del consiglio comunale di Ferrara. Un incontro rivolto principalmente ai giornalisti ma che ha visto una grande partecipazione di cittadini interessati al tema.

I relatori della giornata, introdotti da Alessandro Zangara responsabile dell’Ufficio Stampa del Comune di Ferrara, sono stati il professore e senatore Alberto Bagnai, Capo della Commissione Finanze, Sabrina Bonomi, docente di economia, Roberto Sommella (in diretta streaming) condirettore di Milano Finanza, Alessandro Somma, giornalista, docente di diritto della università di Ferrara e Claudio Bertoni del Gruppo Cittadini Economia di Ferrara che ha avuto il compito di raccontare l’esperienza di un gruppo di cittadini ferraresi impegnati a diffondere conoscenza sulle tematiche macroeconomiche.

Il primo ad iniziare è stato il prof. Bagnai che ha sottolineato quanto politica e giornalismo non stiano realizzando il loro compito sociale, ed è stato proprio questo che nel 2011 lo convinse ad aprire il suo blog http://goofynomics.blogspot.com diventato poi un punto di riferimento dell’informazione economica con milioni di visualizzazioni “se l’informazione economica fosse stata corretta non avrei avuto motivo di farlo”.

La lamentela maggiore è in relazione alla manipolazione dei dati “se, ad esempio, l’inflazione negli anni ’90 era ad una cifra, non si può dire fosse a due cifre” ma questo avviene continuamente anche in quella che è considerata la stampa migliore “ciò che invece un giornalista dovrebbe fare è riferire correttamente senza alterare la realtà.” Bisognerebbe attenersi al codice etico, che esiste ed è chiaro.

Un esempio di come la realtà venga alterata sui temi macroeconomici, continua Bagnai, è sempre l’inflazione. Anche economisti, oltre che giornalisti, hanno insistito fin dal 2011 sulla relazione “stampare moneta uguale a inflazione” ma nessuno guarda che con il quantitative easing sono stati stampati oltre 3.000 miliardi di euro dalla Banca Centrale Europea senza che questo ci abbia dato la sicurezza di essere usciti dalla deflazione. Cosa dice l’informazione in merito? Nulla.

L’economia, continua Bagnai, è uno scambio tra due persone, concetto che porta anche alla comprensione degli scambi internazionali e dell’egoismo di alcune nazioni, come la Germania. Laddove c’è un venditore ci deve essere necessariamente un acquirente, quindi chi pretende solo di vendere per accumulare come fa la Germania crea tensioni internazionali. Chi ha grandi surplus deve aumentare la capacità di spesa interna in maniera da permettere ai suoi cittadini di comprare di più e in tal modo riequilibrare la domanda interna ed estera.

L’economia è poi “politica”, ovvero decide a chi distribuire la ricchezza a seconda dei rapporti di forza del momento.

E che l’economia sia e debba essere politica viene sottolineato dall’intervento del prof. Somma, giurista e autore di un bellissimo libro che abbiamo già recensito qui https://www.ferraraitalia.it/sovranismi-strumento-del-popolo-contro-i-trattati-europei-liberisti-170072.html . I mercati hanno bisogno di regole per funzionare e le regole ci sono. Ma sono un fatto politico e rispettano quei rapporti di forza di cui si diceva prima. Già ai tempi della nascita del pensiero economico, con Adam Smith, c’erano regole nei mercati anche se erano di tipo morale. Oggi le regole sono fatte dagli Stati nonostante si abbia l’impressione che i mercati siano onnipotenti e senza pilota. E le regole oggi dicono che la stabilità dei prezzi è più importante della piena occupazione.

Ciò che si dovrebbe fare, quindi, è recuperare la buona politica nei mercati ed in questo proprio i giuristi potrebbero dare il loro contributo.

Un bell’intervento anche da parte di Roberto Sommella, Milano Finanza, che ha sottolineato che nell’era di internet bisogna affrontare il problema dell’informazione improvvisata. Internet ha aperto tante possibilità ma crea anche molti problemi “oggi aver fatto un esame, aver studiato sembra non conti più … la dittatura della mediocrità, c’è una mancanza diffusa di competenza certificata, uno smantellamento dei ruoli”.

Ha parlato poi dei tassi zero e delle nuove sfide che dovremmo affrontare con le banche che saranno sempre meno importanti “Steve Jobs disse: il credito è necessario, le banche no, ed è stato profetico … stiamo andando verso banche digitali, nuove forme di pagamento, le grandi firme vogliono farsi la propria moneta, Amazon ha chiesto una licenza bancaria in Estonia”.

Insomma, secondo Sommella, oggi entrare in una banca o fermarsi a comprare un giornale sono atti rivoluzionari.

L’intervento della prof. Bonomi si è soffermato sulla necessità di dare il giusto posto all’economia. Una scienza sociale che ha quindi bisogno di rapportarsi meglio con le persone e i cittadini i quali possono ancora influenzare le grandi decisioni con le loro piccole scelte.

Ha chiuso la giornata Claudio Bertoni del Gruppo Economia (www.gecofe.it ) delineandone il percorso degli ultimi otto anni. Incontri, conferenze, spettacoli di teatro civile e l’esperimento di una moneta complementare come metodo di studio pratico per comprendere il funzionamento della moneta ma anche proposte di legge inviate in Parlamento.

In definitiva, si è compreso che qualcosa all’informazione economica manca. Tante voci e spesso poco competenti, dati interpretati con troppa leggerezza, analisi troppo politiche e quindi di parte fanno sì che la richiesta di maggiore indipendenza e più obiettività sia stata unanime.

Informazione, ambiente, politica ed economia al centro dei dialoghi dell’Etica in pratica di Unife

Da: Ufficio Stampa Università degli Studi di Ferrara

“Senza trucchi: istituzioni e imprese dinanzi ai cittadini” è il titolo del seminario che apre giovedì 17 ottobre, la quinta edizione del ciclo “Etica in pratica, incontri per conoscere, riflettere e agire responsabilmente”, organizzati a supporto del corso di Etica della comunicazione tenuto dal Prof. Sergio Gessi all’Università di Ferrara.

Conferenze e dibattiti sono in programma il mercoledì e il giovedì dalle ore 16.15 nell’aula A8 del Polo Didattico degli Adelardi (via degli Adelardi, 33) e sono aperti a tutti: studentesse, studenti e cittadine/i.

Il primo appuntamento metterà a confronto sui temi della comunicazione pubblica Camilla Ghedini (giornalista e scrittrice) e Alessandro Zangara (responsabile dell’ufficio stampa del Comune di Ferrara). A seguire, giovedì 24 ottobre, sulle problematiche etiche connesse all’informazione dialogheranno Dalia Bighinati (giornalista, direttrice di Telestense) e Furio Zara (giornalista, Rai e Sky). Titolo dell’incontro: “L’ha detto la televisione”.

Mercoledì 30 ottobre per affrontare le delicate questioni relative alla comunicazione che transita sul web ci sarà Giovanni Cocconi (giornalista, caporedattore di Parallelozero.com). “Navigazioni consapevoli: istruzioni per l’uso della rete” è la cornice entro la quale si dipanerà la riflessione.

Etica e ambiente è il contenitore del ragionamento affidato a Stefano Mazzotti (direttore del Museo civico di storia naturale di Ferrara), che giovedì 31 ottobre stimolerà la riflessione sull’ineludibile necessità di “Custodire la ‘casa comune’”.

Di etica e comunicazione interculturale, mercoledì 13 novembre, discuteranno Adam Atik (presidente dell’associazione Cittadini del mondo), don Domenico Bedin (dell’associazione Viale K) e Massimiliano Castellani, redattore del quotidiano Avvenire, che ha recentemente pubblicato il volume dal titolo “Un calcio al razzismo, 20 lezioni contro l’odio”.

Giovedì 14 novembre ci sarà un evento speciale: lo spettacolo teatrale “Doppio taglio, come i media interpretano la violenza sulle donne” – che ha aperto lo scorso anno il festival di filosofia di Modena – offrirà, infatti, emozioni e spunti di riflessione. Marina Senesi è regista e interprete di quest’opera scaturita da una ricerca accademica condotta da Cristina Gamberi. La realizzazione dell’evento è resa possibile dal contributo di Coind.

Mercoledì 20 novembre, a proposito di relazioni interpersonali, Loredana Bondi (insegnante e preside, ora a riposo) e Mauro Presini (maestro elementare) si confronteranno sui temi del linguaggio e delle appropriate forme di interlocuzione in un dibattito dal titolo “La cura della parola”.

“Tensione e distrazione, strategie per il controllo sociale” è invece il titolo del seminario di giovedì 28 novembre su Etica e politica. A condurlo sarà Paolo Morando (giornalista e scrittore) autore di tre significativi volumi che ricostruiscono la vicenda italiana post-sessantottesca: “Prima di piazza Fontana: la prova generale”, “Dancing days” e “’80. L’inizio della barbarie”. Sulla vicenda di piazza Fontana interverrà successivamente, giovedì 12 dicembre nella ricorrenza della strage, anche il giornalista ferrarese Gian Pietro Testa

Si passa poi a mercoledì 4 dicembre con la conferenza di Fiorenzo Baratelli (direttore dell’istituto Gramsci di Ferrara) su “La ‘democrazia di massa’ e la politica come professione”, cui farà seguito, giovedì 5, il confronto fra il Prof. Lucio Poma (docente di Unife, e responsabile dell’area studi di Nomisma) e Gianni Del Vecchio, giornalista di Huffington Post, sul nodo: “Etica, sviluppo, progresso: navigare nei mari incerti dell’economia”

Infine, mercoledì 11 dicembre, il tema ‘comunità e solidarietà’ sarà filo conduttore di una riflessione sulla condivisione ‘dell’esperienza del vivere’, dal titolo “Noi”, in un dialogo fra Loredana Bondi (insegnante), Daniele Lugli (Azione nonviolenta) e Bruno Turra (sociologo).

I DIALOGHI DELLA VAGINA
A DUE PIAZZE – Le domande del giorno dopo

Nella puntata precedente di ‘A due piazze’, Riccarda e Nickname si sono confrontati sulla “domanda” del mattino dopo: quell’approccio, a volte complice e a volte no, che vuole sapere come sia andata la sera prima. E se la risposta non arriva? Ecco cosa ne pensano i lettori.

Domande scomode… incomode…

Cara Riccarda, caro Nick,
sono una donna strana che chiede come è andata ieri sera perché voglio sapere e lo voglio sapere subito, ma non ho mai particolari risposte. Temo lui non capisca cosa io intenda veramente, cosa sto chiedendo. E arriva lo spiffero di silenzio.
M.

Cara M.,
più che uno spiffero, ti arriva una folata di silenzio. Allora non sarebbe meglio lasciare perdere ed evitare di fare quella domanda? Non tutti riescono (o vogliono) alfabetizzare cosa provano, ma tu che sei lì lo puoi cogliere anche senza parole.
Riccarda

Cara M.
esiste una regola non scritta, che adesso, in via eccezionale, scrivo: non fare domande delle quali non ti piace sapere le risposte.
Nick

Uomini da tabelline… e poi il bingo!

Cara Riccarda, caro Nick,
ho conosciuto uomini che volevano un voto alla prestazione, ma anche uomini talmente sicuri di sé da non chiedermi cosa ne pensassi. E poi ho conosciuto un uomo, che ora è mio marito, che mi racconta le sensazioni che prova e riesce a farlo meglio di me.
V.

Cara V.,
gli uomini talmente sicuri di sé da non chiedere nulla, aprono un silenzio egoista e strafottente che noi donne percepiamo perfettamente. Possiamo anche raccontarcela che va bene così, ma poi arrivano uomini come tuo marito che ti fanno capire quanto tirchie con noi stesse siamo state ad accettare certe cose.
Riccarda

Cara V.
tuo marito è un alieno. Quindi hai una inclinazione naturale per i rapporti e le mescolanze tra esseri di diverse specie viventi, e questo, in tempi di purezze e integralismi, è un gran dono.
Nick

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

LA SEGNALAZIONE
“Paesaggi d’acqua”: in mostra il Po e i suoi miti

Aggiornato al 18 ottobre (prima pubblicazione 26 settembre)

“Paesaggi d’acqua” è il titolo della mostra a cura di Lucio Scardino visitabile fino a sabato 26 ottobre 2019 alla galleria Fabula Fine art (via del Podestà 11, Ferrara). Alle pareti della galleria, nel cuore del centro storico di Ferrara, è esposta una carrellata di disegni e dipinti dedicati al fiume Po.

Mostra “Paesaggi d’acqua” a cura di Lucio Scardino – visita con Vieri e Simone Quilici ( foto GioM)

Una sequenza di opere e di autori che ha anche il sapore di un lascito, una sorta di sintesi per immagini, nomi e cognomi dell’universo culturale e artistico che circonda il curatore di questa mostra. Perché Lucio Scardino, critico d’arte, editore, appassionato studioso e collezionista di opere legate in particolare al territorio emiliano e a tematiche specifiche di mitologie a lui care, mette qui in fila una serie di lavori della sua collezione, tutti legati al fiume Po, interpretato da artisti a lui vicini attraverso tre diversi filoni.

Lucio Scardino ritratto nella casa a Lido di Classe, in Romagna (foto GioM)

Alle pareti, dunque, quadri, sculture e bozzetti che mostrano il fiume Po nella sua versione paesaggistica più classica, fatta di argini, chiatte e golene; poi c’è la serie di opere dove la narrazione palustre acquisisce un sapore fantastico e immaginario, legato a figure che popolano leggende e tradizioni locali; infine, la ricostruzione fatta da artisti che rileggono in maniera tutta personale il mito classico, quello che identifica il Po con l’antico Eridano raccontato dalla mitologia greca e all’interno delle cui acque precipita il più giovane dei figli del dio Elio, Fetonte, che – giovane e avventato – perde il controllo del carro del Sole avvicinandosi troppo alla Terra fino a perdersi in uno schianto mortale.

Simone e Vieri Quilici vicino alla xilografia di Mimì Quilici Buzzacchi intitolata “Al canale Boicelli (foto GioM)

Fuori catalogo, rispetto a questa sequenza di opere messa a punto da tempo [clicca sul link per leggere l’anticipazione], si è aggiunto un quadro che è un omaggio alla memoria di Gabriele Turola [clicca sul nome per leggere l’articolo a lui dedicato], artista ferrarese recentemente scomparso. È a lui che Lucio Scardino dedica l’esposizione. Un omaggio e un ricordo che si concretizzano in una tempera su tela, dove Turola ritrae Scardino stesso con le modalità giocose e fantasiose tipiche della sua opera.  Ecco allora il “Luccio Scardino”, la tela che vede il critico d’arte rappresentato con pinne e squame, che lo rendono protagonista di questo universo di acqua dolce nello stile surreale e colorato che contraddistingue il pittore, nato a Ferrara il 13 agosto 1945 e morto negli ultimi giorni di questo agosto 2019.

“Ritratto di Lucio Scardino” di Gabriele Turola

La mostra – spiega il critico – è articolata in “una quindicina di opere sul Po che vanno dall’inizio del ’900 ai giorni nostri”. Neanche a dirlo “non si tratta di una mostra di cartoline illustrate, ma di un insieme che alterna opere d’arte moderna, come l’interpretazione concettuale rievocativa del mito di Fetonte (autrice Rita Da Re); poi si possono ammirare acquerelli degli argini o rappresentazioni di opere idrauliche come la xilografia “Al canale Boicelli” di Mimì Quilici Buzzacchi (1927); il disegno rievocativo del mito delle ‘anguane’, con una di quelle sirene che la leggenda vuole che popolino le acque dolci e le rive fluviali tratteggiata nel ‘Notturno sul Po’ realizzato da Oreste Forlani attorno al 1905″.

Opera in rame di Nicola Zamboni dedicata alla laguna di Comacchio in mostra

Sintetica eppure naturalistica in maniera immediatamente riconoscibile la versione palustre realizzata dal maestro scultore Nicola Zamboni, autore in collaborazione con Sara Bolzani anche del monumento a Garibaldi e Anita [clicca sul titolo per vederlo] che si trova a Porto Garibaldi (Comacchio) e a quello composto da decine di donne in bicicletta come omaggio alle “Mondine” [clicca sul titolo per vederlo] allestito davanti all’ingresso dell’ospedale di Bentivoglio (Bologna). In rame anche la versione lagunare in esposizione ora a Ferrara, dove l’ossido naturale del metallo rievoca le tinte verdi-azzurre delle acque. Una lettura concettuale del Po è, infine, quella contenuta nell’opera di Daniele Cestari: “Qui – fa notare il curatore della mostra – il fiume è condensato in una striscia color smeraldo, unica traccia di colore sulla carta che riproduce la facciata di Porta Paula. In questo punto di ingresso a Ferrara, infatti, è stata rinvenuta un’antica barca che testimonia la presenza del corso d’acqua nei secoli passati, anche se ormai si trova all’asciutto da tempo”.

“Da Porta Paola una volta scorreva il fiume”: opera di Daniele Cestari per mostra di Lucio Scardino

La rassegna pittorica di interpretazioni e letture di questi luoghi di terra e di acqua ha il patrocinio del Garden Club di Ferrara, con il quale Scardino ha già collaborato con una conferenza dedicata proprio al paesaggio padano.

“Paesaggi d’acqua” a cura di Lucio Scardino 27 settembre-26 ottobre 2019, galleria Fabula Fine Artvia del Podestà 11, Ferrara. Ingresso libero.

[articolo aggiornato il 14 ottobre 2019 in seguito alla visita di Simone e Vieri Quilici, rispettivamente nipote e figlio dell’artista Mimì Quilici Buzzacchi di cui è in mostra un’opera e il 18 ottobre 2019 in seguito alla proroga dell’apertura della mostra fino al 26 ottobre (anziché al 15 ottobre)]

PER CERTI VERSI
Dalla finestra

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

DALLA FINESTRA

Entra un lieve odore di legna che arde
Chissà da dove giunge
In questa mattina
in vestaglia
Che poco si vede lontano
Vorrei la maglia
Del tuo abbraccio per coprirmi
Dalle derapate
della vita
E custodire i ricordi
Con il suono vivo
dei tuoi passi

DIARIO IN PUBBLICO
Treni, cultura e vecchi merletti

Nella mia lontanissima infanzia il treno nell’Italia che usciva dalla catastrofe della guerra e si avviava alla ricostruzione degli anni Sessanta del secolo scorso rappresentava il mezzo più usato e ambito. Per anni il nonno portava me e mio fratello alla stazione ad ammirare quelli che mi apparivano mostri d’acciaio avvolti in nuvole terrificanti di fumo mentre ruggiti e brontolii uscivano dalle loro pance di ferro. Poi nei beati anni dell’infanzia la zia Lea (da noi chiamata ‘Eia’ con rapido movimento della lingua) ci portava al mare a ‘Riczone’ come veniva chiamata la favolosa spiaggia frequentata dal duce che aveva tra le altre qualità quella di possedere alcune terme. Per me luogo terrorizzante in quanto a causa di un ascesso alla gola (o qualcosa di simile) venni fatto rioperare proprio in quel luogo da un equipe di medici militari. Andavamo alla pensione Borghesi ora un ottimo tre stelle dove, per risparmiare, noi bambini venivamo fatti dormire in camera da pranzo su delle brandine tolte frettolosamente alle 7 di mattina per permettere di servire la prima colazione. Erano i nostri alberghi di lusso. Ma il viaggio! Quello era il vero godimento. Prestissimo si partiva in tramway che ci portava alla stazione dove ci attendeva un accelerato che faceva la costa fino a Cattolica, d’estate. Sempre in seconda classe come era d’uopo per la media borghesia mentre noi bambini bramosi osservavamo il caos della terza classe spesso rallegrata oltre dalle grida dei piccoli o dai versi di qualche gallinaceo o a volte dai belati timidi di agnellini battufolosi.

I nomi dei treni, scoprii più tardi quando il treno divenne la mia stanza – quella che mi portava da Firenze a Ferrara e viceversa tutte le settimane – erano affascinanti: Rapido, Direttissimo, Diretto, Accelerato, Littorina. Talvolta ‘treno locale’ o al limite ‘regionale’. E la scansione strascicata dell’annuncio che poi divenne un mito con cui si avvertiva dell’arrivo dei treni e che cominciava con una voce stanca ‘Ferara’, stazione di ‘Ferara’. Di treni e sui treni esiste una letteratura che io stesso cerco di alimentare con un futuro romanzo che dovrebbe appunto chiamarsi “Il romanzo del treno”, ovviamente mutuando il titolo dal bassaniano “Il romanzo di Ferrara”. Giorgio Bassani molto s’intendeva di treni e basta percorrere le sue prime prove per scoprirne non solo l’attrazione come soggetto letterario ma la necessità. Nella sua giovinezza sul treno che lo portava da Ferrara a Bologna e viceversa incontrava gli amici del cuore che attorno a Roberto Longhi avrebbero creato quella consapevolezza di una Italia che esulava dai prodromi fascisti o anche attraverso quelli costruiva una nuova idea di letteratura, poesia e arte. Così in treno Micòl nel Giardino dei Finzi-Contini si reca a Venezia dai nonni e a seguire le lezioni all’Università. In treno si compie il destino di Athos Fadigati nel primo romanzo, Gli occhiali d’oro (G. Bassani, Opere, Mondadori, pp.232-33).

Ormai il rapporto treno-letteratura è uno dei filoni più frequentati nella letteratura mondiale. Basti pensare al libro di Christian Wolmar, o da noi quello di Gabriele Crepaldi, ma il fascino esercitato da un possibile romanzo del treno e in treno è insuperabile. In altre occasioni ho parlato e scritto delle ‘novità’ che venivano ad interrompere la monotonia del viaggio risaputo, con le sue tragedie come lo scoppio del treno sotto la galleria Bologna -Firenze negli anni di piombo oppure regolamenti e regole che dovevano giustificare i ritardi giornalieri che avvenivano sulle linee importanti come la direttissima Milano-Roma. In quel tempo si accusavano i viaggiatori di non essere abbastanza solleciti nel chiudere le porte, un compito affidato a loro con risultati deludentissimi. Oppure i venditori di cibo abusivi che intasavano i marciapiedi delle stazioni regolarmente dispersi dagli addetti. Si formò in quegli anni la fama di alcuni ristoranti che avevano cominciato con il pranzo al sacco venduto in stazione come a Cesena.

Oggi i treni non più mostri ma idee portano nomi affascinanti come le mète che debbono raggiungere: Freccia rossa, argento, bianca; intercity, interregionale. Non si nomina più l’accelerato che era il treno dei lavoratori. Su quei carissimi e lussuosi oggetti spaziali – e si pensi alle ferrovie monorotaia del Giappone – stretti in uno spazio minuscolo specie nelle carrozze Smart non si odono che sussurri e non più grida, tutti intenti come siamo a cercare affannosamente l’alimentatore di pc e di telefonini. Altere signorine dal foulard svolazzante ti chiedono freddamente copia del biglietto che tu esibisci dal telefonino ma anche nel regno della tecnologia, nell’Eden del viaggio si è inserito un serpente traditore dal nome prettamente italiano. E’ malamente ospitato dalle ferrovie italiane, i suoi stand non sono quelli del legittimo possessore della rete ferroviaria. Deve drighignare i denti e come il serpente tende trappole. In quattro giorni di viaggio ho avuto un ritardo di 55 minuti (attenzione al sessantesimo scattava la penale per loro), sono stato incomprensibilmente trasferito da una carrozza all’altra senza alcuna spiegazione (colpa del ‘materiale’ mormorava la bella mora dallo sguardo imbarazzato); ho dovuto aspettare 15 minuti a Roma fuori dalla porta sbarrata perché erano in corso le pulizie dei vagoni che nascevano nella stessa città. E ancor più ingenuamente avevo fatto il biglietto pieno per la tipologia Smart che portava lo stesso costo della prima scontata perché non essendo sicuro di partire non volevo perdere tutto il costo del biglietto, cosa che sarebbe accaduta se avessi dovuto rinunciare al viaggio.

Insomma l’alta velocità specchio a misura della nostra politica.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
World Press Photo al Pac di Ferrara: il giro del mondo in 140 foto

Il giro del mondo riassunto in 140 foto non è un giro spensierato. Ci sono dentro guerra, violenza, intrecci, malattia, pugni e rivalsa. Perché la mostra del premio ‘World Press Photo 2019’ racconta un anno di cronaca da ogni angolo del mondo. Immagini e contenuti sono vagliati, selezionati e verificati dalla fondazione nata proprio per premiare e valorizzare le foto scattate per darne notizia su giornali, riviste, mass media. L’esposizione per il terzo anno è approdata con il festival “Internazionale a Ferrara” sulle pareti del Padiglione d’arte contemporanea (corso Porta Mare 5, Ferrara), dove è visitabile fino a domenica 3 novembre.
In mostra gli scatti dei fotoreporter che con il loro lavoro riescono a far vedere quello che succede dietro i cancelli delle ambasciate, nelle case di persone che hanno subito catastrofi, nei saloni del potere e nelle trincee del lavoro. Il foto-servizio è stato fatto durante la visita guidata ed è firmato dal fotografo Luca Pasqualini. In apertura la sua foto con lo scatto del fotografo statunitense Brendan Smialowski che mostra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, mentre conduce per mano il presidente della Francia, Emmanuel Macron, verso l’ufficio ovale della Casa Bianca, a Washington DC, il 24 aprile 2018.

Gli effetti della povertà in una delle foto della mostra “World Press Photo 2019” a Ferrara (foto Luca Pasqualini)

A fare da guida in lingua italiana a una selezione di fotografie tra le più significative è stata, durante il festival, Margherita Ferro del centro 10B Photography che lavora con la fondazione World Press Photo di Amsterdam per organizzare l’esposizione delle foto di un premio arrivato alla 62.a edizione.

La guida Margherita Ferro davanti al fotoreportage sulle sfilate di moda a Dakar, in Senegal (foto Luca Pasqualini)

La bambina che piange sulla frontiera Messico-Usa. Premiata come Foto dell’anno, quella di John Moore (fotografo statunitense) intitolata “Crying Girl on the Border”. Al centro dell’immagine la piccola Yanela Sánchez, originaria dell’Honduras, che si dispera mentre, sopra alla sua testa, la madre Sandra Sánchez viene perquisita da un’agente della polizia di frontiera, in Texas. Era il 12 giugno 2018. “Questa foto – racconta la guida – ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma dei bambini che la politica di Trump aveva deciso di separare dai genitori per disincentivare l’immigrazione clandestina. In sei settimane sono stati separati 2mila minori. La foto è significativa, perché con semplicità mostra il pianto di una bambina e, con quelle scarpe già senza lacci di madre e figlia, rivela come venga applicata già la procedura prevista per chi sta per essere messo in carcere. Dopo la pubblicazione della foto, a fine giugno, è stata interrotta la politica di separazione di genitori e figli di immigrati clandestini. Per valutare la capacità di coinvolgimento, non è poi forse un caso che il fotografo abbia un figlio della stessa età di Yanela”.

John Moore_(Getty Images) alla mostra “World Press Photo 2019” per il festival Internazionale a Ferrara

La carovana dei migranti. Vincitore del World Press Photo of the Year il fotoreportage di Pieter Ten Hoopen (fotografo olandese) intitolato “Civilian Act”. Ha fatto il giro dei media lo scatto The Migrant Caravan”: un gruppo di persone che corre verso un camion, fermo a dare loro un passaggio vicino a Tapanatepec, in Messico, il 30 ottobre 2018. “L’idea dietro a questo progetto – dice la Ferro – è quella di raccontare il lungo viaggio e i momenti quotidiani di alcune tra le oltre 7mila persone che, tra ottobre e novembre 2018, dall’Honduras si sono messe in movimento per raggiungere gli Stati Uniti”.

Pieter Ten Hoopen con “Civilian Act (Agence Vu) per la mostra del premio World Press Photo 2019

La stampa fuori dai cancelli del potere. Uno dei cinque finalisti per il premio ‘World Press Photo of the Year’ è Chris McGrath (fotografo australiano) con uno degli scatti del suo lavoro di documentazione su “The Disappearance of Jamal Kashoggi”. “La foto – dice Margherita – mostra un uomo che cerca di trattenere giornalisti e fotografi il 15 ottobre 2018, mentre gli investigatori sauditi arrivano al consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, in Turchia, dove il 2 ottobre il giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi è entrato e mai più uscito, ucciso probabilmente su ordine del regime dell’Arabia Saudita. Un’immagine che diventa anche simbolo della volontà di tenere l’informazione lontana dal cuore del potere”.

Chris McGrath (Getty Images) alla mostra “World Press Photo 2019” per il festival Internazionale a Ferrara

Il lago prosciugato. “Era  il quarto lago più grande dell’Africa, ma ora si è ridotto del 90 per cento”, racconta la guida davanti a una fotografia di Marco Gualazzini che fa parte del suo reportage intitolato “La crisi del lago Ciad”. Di acqua, qui, se ne vede poca. C’è invece un ragazzino che passa davanti a un muro segnato da graffiti che con tratti infantili disegnano tanti mitra. Gli scatti che hanno portato il fotografo italiano ad essere selezionato tra i tre finalisti del ‘World Press Photo of the Year’ sono dedicati – continua Margherita – “al lago che bagnava le terre di quattro stati diversi (Ciad, Camerun, Nigeria e Niger) e il cui prosciugamento ha gettato nella miseria più profonda le popolazioni che dalle sue acque traevano la sussistenza”. Ecco allora poca acqua fotografata e i tanti effetti della devastazione, “che creano le basi per l’avanzata delle idee estremiste degli jihadisti di Boko Haram che arruolano gli orfani anche più piccoli per farne dei combattenti”.

Una delle foto di Marco Gualazzini (Contrasto) in mostra a Ferrara sulla realtà intorno al lago Ciad

La Siria e la guerra invisibile. Mostrare le ferite che non si vedono e che uccidono da dentro: è questo il lavoro di Mohammed Badra, fotografo siriano che racconta gli attacchi di armi chimiche che continuano a devastare il suo Paese. “I due uomini che guardano lo spettatore – fa notare la guida – sembra che rivendichino la volontà di far guardare in faccia al mondo questa situazione terribile che va avanti, ma di cui ormai non si parla più”. L’immagine mostra “Un uomo e un bambino che ricevono cure dopo un gas-attack”.

Mohammed Badra (European Pressphoto Agency) alla mostra “World Press Photo 2019” per il festival Internazionale a Ferrara

Anche il mondo degli animali e quello della natura viene indagato nei suoi aspetti più materiali e crudi in questo viaggio nelle due sale della palazzina accanto a Palazzo Massari di Ferrara, come accade nel racconto per immagini della vita dei puma in Patagonia, Cile, documentata da Ingo Arndt, vincitore del terzo premio della categoria ‘Natura’.

Terzo premio della categoria Natura per Ingo Arndt e le sue foto sulla vita dei puma in Patagonia, Chile, al WPP2019 (foto Luca Pasqualini)

Quello che le cronache non dicono più è narrato da alcune immagini meno famose e che qui trovano una ribalta. Come la vita delle guerrigliere dopo che la guerriglia è finita, raccontata dagli scatti di Catalina Martin-Chico che ha vinto il secondo premio per le ‘Questioni contemporanee’.

Reportage di Catalina Martin-Chico tra le ex guerrigliere in Colombia (foto Luca Pasqualini)

“World Press Photo 2019″ in mostra al PAC-Padiglione d’arte contemporanea, giardino di Palazzo Massari, corso Porta Mare 5, Ferrara. Dal 4 ottobre al 3 novembre 2019, ore 10-13; 15-19 (ingresso consentito fino a un’ora prima della chiusura). Chiuso il lunedì. Biglietti: intero 6€, ridotto 4€.

I DIALOGHI DELLA VAGINA
A DUE PIAZZE – Spifferi di silenzio

Riprende la rubrica I dialoghi della vagina che una volta al mese diventa A due piazze, uno scambio fra Riccarda e l’amico Nickname.
Questa settimana, Nickname pensa di avere posto una domanda ‘femminile’: dopo una notte d’amore allude ammiccante a ciò che è successo. Ma siamo sicuri che sia una domanda in cerca di risposta?

N: Dopo una notte… intensa, mi capita, il mattino dopo, mentre andiamo verso la colazione, di dire a lei: “ma… ieri sera?” È una domanda dall’intonazione maliziosa ma un po’ stonata, come prima del caffè, una domanda che ancora sa del profumo pastoso della notte. “Eh… ieri sera” dice lei, a confermare che è stata una notte speciale. Per molti può essere la classica domanda maschile, che cerca una conferma della propria potenza. Nelle mie intenzioni è una domanda che vuole condividere il piccolo prodigio realizzato da due persone che diventano una. Un tentativo di fissare quel fugace momento di magia, come a voler farlo uscire dalla dimensione onirica per conferirgli una dimensione reale. Una domanda da femmina.

R: Caro Nick, il maschio non aspetta mica la mattina dopo per chiederlo. Parlo del maschio insicuro e un po’ tronfio che deve sapere subito da lei perché da solo non sa capire come sia andata. La domanda che tu poni dopo qualche ora, dopo il sonno e il ritorno alla realtà, è un omaggio al tempo che si è preso ciò che gli spetta: il silenzio. La risposta di lei non è altro che la tua stessa domanda divenuta affermazione, un po’ vagheggiata, un po’ sospesa perché nessuno dei due deve mettere un contenuto a parole. E’ la vostra intesa.
Ma dimmi, invece, quando il silenzio non è così complice ed esaustivo, che succede?

N: Ti confesso una cosa: “ma.. ieri sera?” mi viene solo quando so come è andata. È una finta domanda, perché so che è andata bene. Quando non è andata bene, sarebbe importante non fare entrare dalla porta quello spiffero di silenzio, quello che si fa pesante, che poi non riesci più a buttarlo fuori di casa. E invece.

R: E invece ci caschi. A te piace ascoltare gli altri, lo hai confessato tu una sera: ascolti in silenzio perché hai imparato a non confezionare risposte senza prima sentire l’altro. Ma quando si crea questo tipo di interazione e tu stai dall’altra parte, è perché in ballo c’è la necessità di parlarsi, subito, non aspettare una notte. Quella ti va sempre bene.

E voi? Come ve la cavate con gli spifferi di silenzio? Affrontate subito l’altro o preferite fare passare la notte?

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
Volti e incontri dal terzo giorno di Festival

Anche per il 2019 il Festival di Internazionale è giunto al termine.
Anche per questo terzo e ultimo giorno il nostro Valerio Pazzi si è aggirato nelle varie location e ha documentato volti e situazioni.
Ecco di seguito il suo reportage di questa domenica di giornalisti e non solo a Ferrara.
Clicca sulle immagini per ingrandirle.

Noi ci saremo
Saranno i giovani a vivere le conseguenze dell’emergenza climatica. Per questo hanno deciso di mobilitarsi
Daze Aghaji, Extinction rebellion; Alexander Fiorentini, Fridays for future; Maxime Lelong, giornalista francese; Jaap Tielbeke, De Groene Amsterdammer. Introduce e modera Marino Sinibaldi.

Vivere in armonia
Concerto della Human rights band
con
Gennarino Amato, clarinetto
Paolo Camerini, contrabbasso
Gianluca Casadei, fisarmonica
Sade Mangiaracina, pianoforte
Simone Pulvano, percussioni arabe
Yasemin Sannino, voce
Ziad Trabelsi, oud

E poi…

Maggioritario o proporzionale? I casi e la storia

Maggioritario o proporzionale? Governabilità o rappresentatività? Stabile egemonia di pochi partiti o frammentazione dell’espressione popolare? E’ uno dei temi caldi del momento sul sistema di voto. Cinque regioni del nostro Paese – Veneto, Sardegna, Lombardia, Abruzzo ed ora Piemonte – si sono già espresse favorevoli alla consultazione popolare con referendum abrogativo della quota proporzionale prevista dalla legge elettorale nazionale. E proprio cinque è il numero necessario per ottenere il provvedimento. Si accende ancora una volta la diatriba su una questione mai risolta definitivamente, con schieramenti agguerriti, convinti per l’una o per l’altra tesi. Non hanno convinto nemmeno le rettifiche che tentano di mediare due sistemi agli antipodi, difendendo comunque il principio di base del sistema del momento. Sono due modalità che storicamente attingono alle teorie del voto intorno al 1770 in Francia, anche se alcuni scritti di Raimondo Lullo, scrittore, teologo, astrologo, alchimista e missionario spagnolo di palma di Maiorca, scoperti nel 2001, testimoniano che egli avesse già abbozzato entrambi i metodi nel XII secolo. L’epopea del sistema proporzionale continua nel ‘900, sulla spinta delle grandi formazioni politiche di massa, centriste popolari e sinistra socialista; il Belgio risulta il primo Paese ad applicarlo nel 1900. E’ una scelta che permette di fotografare le suddivisioni politiche offrendo una rappresentazione parlamentare il meno distorta possibile e va a tutelare le minoranze come, nel nostro caso italiano, il Südtiroler Volkspartei altoatesino, sebbene anche con il sistema maggioritario i partiti regionali di largo consenso locale, fortemente radicati sul territorio, possono trovare una loro rappresentatività nell’arco parlamentare, uscendo indenni o rafforzati dalle urne. Sull’adozione del sistema maggioritario o proporzionale la Storia ci racconta molto, basti pensare all’esperienza della Repubblica di Weimar, nata dalle ceneri della Germania distrutta nel 1919 e morta nel 1933, con l’ascesa al potere di Adolf Hitler. I riferimenti al sistema proporzionale con cui avvenivano le elezioni è troppo forte per ignorarne gli effetti; un sistema voluto convintamente da da Hugo Preuss, uno dei padri della nuova Costituzione, che introdusse anche il sistema automatico con il quale a ogni partito concorrente veniva assegnato un deputato per ogni 60.000 voti acquisiti. Con ciò si creava un legame imprescindibile tra i componenti della Camera e l’afflusso dell’elettorato, rendendo estremamente dinamiche e democratiche le elezioni. Ma le maggioranze parlamentari non funzionarono e operavano in perenne stato di crisi; le mutevoli composizioni del parlamento e del governo resero ingovernabile lo Stato tedesco dove il “governo effettivo dei partiti” teneva sotto scacco le istituzioni, testimoniando giochi politici per la dominanza o il soddisfacimento di interessi. Neppure la maggioranza al governo era compatta in una visione comune sulle questioni politiche, sociali e culturali. Il sistema elettorale proporzionale e le coalizioni ballerine e instabili resero i governi inefficaci nelle decisioni, minando l’equilibrio tra poteri e garanzie costituzionali. Una base traballante sulla quale non poteva svilupparsi alcuna strategia politica. Nel panorama politico tra il 1919 e il 1932 nella breve vita della repubblica di Weimar i governi parlamentari che si susseguirono furono 20: la durata minima appartiene al governo Stresemann nell’ottobre 1923, durato in carica per 48 giorni, che segue il governo Stresemann del 13 agosto 1923 durato 51 giorni. Il più longevo governo appartiene a Müller, che governò dal 29 giugno 1928 per ben 636 giorni, neppure due anni. Le falle del sistema si manifestarono in tutta la loro evidenza nel 1930, quando si rafforzarono i nazionalsocialisti e le debolezze della socialdemocrazia manifestarono ormai labili confini. Le accuse reciproche tra socialdemocratici e comunisti resero impossibile la costruzione di qualsiasi forma di comune impegno. Ma con tutta probabilità era già troppo tardi per impedire l’affossamento della democrazia tedesca. L’incapacità di trovare un comune denominatore è il vero dramma weimariano, la mancanza di “autorevolezza” e istanze decisionali forti condussero al baratro. Da qua in poi, è storia fin troppo nota: nel 1932 Hitler manifestò il proposito di assumere la leadership del governo e i pieni poteri, per il controllo dello Stato. Nel gennaio del ‘33 fu nominato Cancelliere dal Presidente Hindenburg e a febbraio le testate giornalistiche e le libere manifestazioni di pensiero e opinione avversarie furono soppresse. Interessanti le pagine autobiografiche di Otto Braun – ministro dell’Agricoltura, Demanio e Foreste, nonché Presidente dei ministri della Prussia dal 1920 al 1933, denominato dai nemici “zar rosso della Prussia”- che accompagnano come una marcia funebre le sorti della Repubblica di Weimar. Egli registra pagina dopo pagina con minuziose note, gli andamenti dei governi, non lesina sulle accuse di autoreferenzialità dei partiti maggiori, l’arroganza politica dei singoli partiti nel costruire coalizioni, la scarsa simpatia degli elettori per una politica arrendevole che sfugge costantemente alle responsabilità. Il grande esperimento di Weimar rimane comunque agli annali della Storia per quelle riforme sociali e quelle trasformazioni epocali di carattere culturale che hanno lasciato il segno anche dopo l’orrore nazista. Molti diritti e istituzioni che oggi sono normali in tutti i paesi democratici nascono proprio in quei giorni, affermando la priorità del sociale, edificando un welfare coraggioso per l’epoca, promuovendo garanzie sociali che meritano rispetto, voluti da una Costituzione illuminata che rimane punto fermo per tutte le democrazie moderne.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
Volti e incontri dal secondo giorno di Festival

Ecco la foto-cronaca del secondo giorno del Festival di Internazionale a Ferrara.
Le immagini sono del nostro fotografo Valerio Pazzi.
Clicca sulle immagini per ingrandirle.

Tutta l’umanità ne parla.
Talk show impossibile con personaggi celebri degli ultimi trenta secoli provenienti da ogni parte del mondo per dibattere sui grandi temi dell’attualità. Con la partecipazione di alcuni ospiti del festival.
Con Edoardo Camurri e Pietro Del Soldà

Rassegna stampa e l’editoriale del giorno con Micheal Braun e la partecipazione di Alessio Falconio di Radio Radicale

Con l’acqua alla gola. La geografia socioeconomica del cambiamento climatico.
Con Francesco Lamperti, Scuola superiore Sant’Anna, Rff-Cmcc European institute of economics and the environment; Grammenos Mastrojeni, diplomatico e saggista; Preethi Nallu, giornalista indiana. Introduce e modera Gabriele Crescente

e altro ancora…

DIARIO IN PUBBLICO
Storia di un tavolo. In ricordo dell’amico Efisio

Appena sposati ci trasferimmo in un piccolo appartamento vicino a quello dove abitavano Efisio e Luciana. Nacque il problema di come arredarlo con pochi soldi ma con cose di gusto. Le tende comprate a Firenze da Hassler, la vecchia e brutta libreria, il bellissimo capoletto regalo dei suoceri. Urgeva soprattutto un tavolo da studio e pieno di speranze mi rivolsi a Efisio che immediatamente e trionfalmente mi propose un frat(t)ino seicentesco. Ingolosito galoppai a vederlo ed ecco trionfalmente mi viene esibito un tavolinuccio assai grezzo con evidenti inserti moderni ma dall’aria simpatica. Storsi la bocca ed Efi che conosceva il suo pollo disse che il prezzo era veramente speciale per un tavolo autentico. A questo aggiungeva due bellissimi candelieri di legno che avrebbero poi avuto i paralumi della signora Laura Fink e quindi il tavolo venne sistemato davanti alla libreria con i ‘bambini’ (i libri) stipati dietro. Eravamo veramente orgogliosi del fratino e a chi veniva facevo notare l’eleganza (?) del tavolo e la sua comodità illusoria perché era basso e non sopportava una sedia normale inserita. Tuttavia mi piaceva e lì componevo le sudate carte mentre l’attività degli amici si espandeva.
Aprirono un bellissimo negozio in un lato della chiesa dei Teatini e lì, ormai affermati antiquari, ci si vedeva con gli amici mentre Efisio con aria indifferente mi mostrava bellissime cose che non avrei mai potuto permettermi. Poi dopo iterati e sempre andati a vuoto inviti a vedere Tavolara, l’isola dove Efisio era una specie di monarca e che era la passione di mio cognato Romano che con occhi sognanti mi raccontava della natura selvaggia, della tendopoli, della vita naturale che vi si svolgeva tra i brividi miei compresi il sistema della toilette e soprattutto del vento che mi rese fino ai settanta anni e passa out quell’isola. Una sera mi affacciai al negozio con la mia Lilla prima di cui ero orgoglioso e mi trovai vicino ai nobili cani dei Chinelli e dell’amica Ippolita. La Lilla festosa si precipitò a richiedere le carezze che s’attendeva ma venne accolta da sonore risate da loro che mi domandavano dove avevo raccolto quello ‘scherz’ di natura. Odio furioso non placato nemmeno dalla vista di uno splendido carillon ottocentesco. Frattanto colleghi fiorentini nelle loro scappate ferraresi vennero messi in contatto con i Chinelli e da allora visite frequenti li portarono qui per arredare le loro case con gli oggetti e i mobili proposti dai ferraresi . Frattanto il fratino traslocò nel bell’appartamento che affittammo in via Contrari di fronte al campanile del Duomo e da quel momento il tavolo assunse importanza e si dette delle arie. Traslocò in seguito nel nostro appartamento di Firenze dove serviva anche da tavolo da pranzo; infine ha ora una (quasi) stabile sistemazione al L(a)ido degli Estensi non più usato come tavolo da lavoro ma come tavoli da pranzo.

La scomparsa di Efisio è un duro colpo per chi lo ha conosciuto così intimamente nel corso di una vita. Il tempo ci toglie le persone care ma non il ricordo.
Ciao Efisio.

Cristofori a Baratelli: “L’autoreferenzialità del Pd? Aspettiamo contributi da tutti…”

Da: Tommaso Cristofori

Al grido di “non avete più alibi dopo l’uscita di Renzi”, ci si domanda perché il Pd non è ancora cambiato (come se bastasse pigiare un tasto o fare un tweet). Perché il Pd non continua a flagellarsi per gli errori commessi? Perché non si rende conto che la sconfitta alle amministrative non è solo una questione nazionale? Perché ancora non ha sostituito i sui dirigenti e quindi i Segretati? Perché non coinvolge l’associazionismo di sinistra??
Ringrazio F.Baratelli per le sollecitazioni alle quali vorrei replicare da semplice iscritto di un Circolo. Noi siamo ancora un Partito, probabilmente oggi l’unico che possa definirsi tale, con le sue regole, i suoi statuti e strutture, che a volte possono sembrare ingombranti, ma che sono garanzia per gli iscritti, in quanto strumenti di correttezza nella selezione della classe dirigente. Anche queste regole andrebbero rinnovate, tuttavia con tutti i nostri difetti, tentiamo nel confronto, di maturare delle decisioni condivise in modo democratico, cosa tutt’altro che semplice o veloce.
Abbiamo eletto da pochi mesi con le primarie un Segretario nazionale che non è il capo politico o ancor meno il padrone delle decisioni, come peraltro si è visto in questi mesi.
Dopo il disastroso risultato elettorale e le conseguenti dimissioni di molti Segretari locali, abbiamo indetto il congresso del partito in tutti i Circoli della Provincia che proprio in questi giorni è in corso. Verranno eletti dagli iscritti nuovi Segretari in molti circoli, oltre al Segretario Provinciale e Comunale, rinnovati gli organismi assembleari e direzionali del partito. I confronti, lo ricordo, sono aperti alla partecipazione di chiunque voglia intervenire per dare il proprio contributo parere o solo ascoltare, capisco che può non essere sufficiente aprire le porte, ma dire che non lo facciamo non è esattamente vero.
Negli incontri che abbiamo avuto negli ultimi mesi, la vorrei rassicurare, abbiamo analizzato i nostri errori e siamo consapevoli che anche a livello locale abbiamo avuto importanti responsabilità, non tanto su come si è amministrato ma piuttosto su come il Pd non ha funzionato e non ha saputo svolgere negli ultimi anni il suo ruolo fra i cittadini, concretizzare la propria vocazione popolare. Questo nuovo momento congressuale ci auguriamo possa essere una ulteriore occasione di riflessione e speriamo un punto di partenza per una proposta nuova.
Ci domanda ancora come “può rappresentare il futuro del Pd dentro il Consiglio comunale il candidato sconfitto alle elezioni?”. Oggi, come prevede la legge, chi si candida e perde, in consiglio comunale fa l’opposizione. Inoltre, mi creda, alle scorse elezioni non è il nostro candidato che è stato sconfitto ma lo siamo tutti noi, ha perso tutto il mondo riformista e di sinistra, il mondo della cultura, il mondo dei diritti, quello del volontariato e della solidarietà. I ferraresi hanno scelto una destra che sicuramente non rappresenta questi mondi. Sarebbe troppo lungo, complicato ed inutile, ripercorrere ora come si è arrivati alle elezioni, una cosa è comunque certa: il centro sinistra non ha saputo costruire per tempo, un progetto in grado di sovvertire i sovranisti nostrani, quelli del metodo dei calci in culo.
In merito all’invito di “aprire in modo permanente alle idee e alle persone che compongono l’arcipelago plurale dell’associazionismo di area di sinistra”, lo condivido ma non mi pare una novità. Molti militanti, amici e simpatizzanti, che provengono da questi ambiti, sono stati fino a ieri la linfa vitale e gli ispiratori delle politiche promosse dall’amministrazione di centro sinistra in questi anni, hanno rappresentato il motore più originale per la crescita della città. Molti di loro sono stati parte attiva, spesso con ruoli di responsabilità dentro gli organismi del Pd. Si è operato spesso in simbiosi e lo dimostra anche la spietata e sleale campagna denigratoria dei nostri avversari che bollavano come “gli amici degli amici”, lasciando intendere agli elettori una sorta di connivenza, di interesse con l’associazionismo anziché una condivisione di obiettivi. Constato poi, con non poca amarezza, che alcune di queste associazioni non hanno tardato molto dopo le elezioni ad accomodarsi a fianco o sostenere di chi oggi governa, senza formalizzarsi troppo sugli ideali che Lega e compagni rappresentano.
Noi, come lei spesso ci ricorda, pecchiamo di autoreferenzialità e siamo pieni di tanti altri difetti, ma ho come l’impressione che non siamo gli unici a ritenerci detentori della verità; certamente è necessario un bagno di umiltà e riaprire un dialogo con chi si è sentito lasciato solo o tradito anche se non è sempre facile capire come e con una stampa in alcuni casi apertamente schierata con la Lega.
Siamo uno strano paese dove si preferisce parlare una giornata intera del ripieno dei tortellini perché ce l’ha ordinato Salvini da un palco, poi si rimane più o meno indifferenti se tre consiglieri comunali girano per le nostre scuole mandati dal sindaco ad attaccare crocifissi, o per esempio si finge di non capire quello che si sta prospettando proprio per il settore della cultura della nostra città.
Mi pare comunque uno strano modo di soccorrere un ferito, quello di rimanere sul ciglio a guardare, o magari tirandogli qualche calcio perché non si decide ad andare in ospedale a curarsi.
I nostri Circoli oggi e domani sono aperti per i congressi e aspettiamo contributi da tutti.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
Il premio Anna Politkovskaja alla giornalista nigeriana Augustina Armstrong-Ogbonna

Da alcuni anni il Festival Internazionale a Ferrara si apre con il premio per il giornalismo d’inchiesta dedicato ad Anna Politkovskaja, la giornalista russa uccisa a Mosca nel 2006. Il premio, giunto alla sua undicesima edizione, sostiene l’impegno e il coraggio di giovani reporter che nel mondo si sono distinti per le loro inchieste.

Nella mattina di venerdì 4 ottobre 2019 il premio è stato conferito alla pluripremiata giornalista nigeriana Augustina Armstrong-Ogbonna, che ha affrontato minacce e persecuzioni per raccontare le comunità rurali in Nigeria devastate dai conflitti e dal degrado ambientale. La rivista Internazionale riconosce così l’importanza dell’impegno di Augustina nel denunciare le conseguenze ambientali dello sviluppo economico sulle piccole comunità locali di Lagos, in un momento in cui i giornalisti ambientali in tutto il mondo sono sempre più esposti ad aggressioni, violenze e pressioni.

Secondo il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), infatti, negli ultimi 10 anni sono 13 i giornalisti ambientali uccisi per le inchieste che stavano portando avanti. La consegna del premio Anna Politkovskaja ad Augustina Armstrong-Ogbonna è quindi anche un gesto simbolico di omaggio alla sua battaglia e a quella degli altri giornalisti e attivisti che si impegnano per documentare sul campo gli impatti territoriali di opere con interessi spesso internazionali e sovranazionali, aiutando tutti coloro che non sono in grado di lottare per i propri diritti.

Foto di Valerio Pazzi

IN MEMORIA DI GIANFRANCO MAIOZZI
Il senso degli stracci per il volo. Rapidi rilevamenti aerofotogrammetrici sui malvezzi che deturpano il paesaggio della lingua italiana

Uomo generoso, arguto, colto, sensibile… Gianfranco Maiozzi ci ha lasciato dopo una lunga malattia. Ha sofferto molto, ma non si è mai arreso. Aveva voglia di vivere e con tutte le sue forze, fino all’ultimo, si è aggrappato alla speranza. Gli piaceva dialogare, stare in mezzo agli altri; nutriva mille passioni e le alimentava nel confronto e nella condivisione. Il suo lavoro era all’ufficio Comunicazioni del ministero per lo Sviluppo, ma i suoi interessi svariavano in mille ambiti differenti, dalla politica alla sport, con un’irresistibile attrazione per la lettura e la scrittura. Appena pochi giorni fa abbiamo avuto una lunga e piacevole conversazione, durante la quale, con il consueto trasporto, aveva vagheggiato di programmi futuri e di cose da fare. Ci siamo illusi che la sorte potesse essere benevola.
Nel ricordarlo con profondo affetto e rimpianto, riproponiamo un suo intervento edito qualche anno fa su Ferraraitalia, uno scritto dal tono lieve, ma ricco di citazioni e calembour, del quale era particolarmente soddisfatto. Crediamo sia la maniera più giusta per salutarlo stringendolo in un ideale indissolubile abbraccio. (s.g.)

 

(Pubblicato il 13 maggio 2014)

Ci troviamo idealmente sul monte Falterona, nel cuore del Casentino, provincia di Arezzo. Qui, in località Capo d’Arno ci sono le sorgenti del fiumicel cantato da Dante nella Commedia e qui siamo saliti, sfidando condizioni meteo a dir poco avverse, per risciacquare nella pura freschezza dell’acqua sorgiva dell’Arno, quei “panni” di cui parlava Manzoni; e non solo quelli. A voi possiamo dirlo: siamo in missione per conto della lingua italiana, stanca di venire imbrattata quotidianamente con macchie di pressappochismo. Queste macchie hanno la caratteristica di non essere troppo evidenti ma una volta fatte vengono via con difficoltà e nei casi più seri alterano in modo indelebile il tessuto della lingua. Nel nostro Paese il congiuntivo è diventato un optional e quando lo si usa, spesso lo si usa a sproposito e talvolta si riesce a scivolare persino sull’indicativo. Tuttavia la cosa peggiore è che ormai in Italia si scrive e si parla in… approssimativo, estendendo sempre più spesso questa deplorevole pratica di pressappochismo militante a lingue diverse dall’italiano. Esagerazioni? Sentimentalismi per una lingua aulica e pre-televisiva che non esiste più? Nostalgie di gente che passa il tempo a far la punta alle matite? (“siam mica qui…” avrebbe detto qualcuno).

Soltanto pochi mesi fa, stampa, radio, tv rendevano giustamente conto e altrettanto giustamente avanzavano ipotesi sul confronto tra i leader del Partito Democratico. E fin qui tutto bene, era il loro lavoro. Meno bene invece,quell’espressione che accompagnava i commenti sulle aspre contese che agitavano la segreteria del Pd: “volano gli stracci”, attribuendo a tale locuzione significato di resa dei conti. “Ma mi faccia il piacere!” avrebbe detto Totò. E infatti siamo di fronte ad un uso del tutto arbitrario e improprio degli “stracci volanti”. Certo quando due o più soggetti litigano, il traffico aereo nella zona può essere particolarmente intenso. Possono volare insulti, parole grosse, oggetti – preferibilmente stoviglie e vasellame – in genere. Possono volare anche scarponi e certo, anche gli stracci o meglio gli strofinacci e i tovaglioli, e finire magari nella pentola dello zuppone alla porcara, come nella solenne litigata tra Gassman e Tognazzi nel film “I nuovi mostri” di Monicelli. Ma coloro che scrivono o dicono “volano gli stracci” volendo significare un “redde rationem” senza esclusione di colpi, beh sbagliano, sono dei pressappochisti. E qui ci sono le prove:
“Stracci che volano” com. l’espressione prov. sono gli stracci (o i cenci) che vanno all’aria, o volano, significa che sono i più deboli e indifesi che pagano per gli altri”. (Dizionario Treccani della lingua italiana).

Capito? Possiamo comprendere anche se non condividere la scelta di chi, nel corso di una telecronaca, usa l’espressione “fare a sportellate” per dire di due calciatori che si confrontano in modo molto fisico per contendersi la palla, ma non coloro che evocano la levitazione dei cenci anche se si discute della temperatura di servizio del caffè. La prima almeno è un neologismo di senso compiuto, non bello ma nemmeno privo di efficacia evocativa, la seconda è solo un travisamento di senso. “E va beh che sarà mai! Tanto rumore per quattro stracci…”, penserà qualcuno. Il problema è che non ci sono solo i cenci e nella breve antologia che segue ve ne renderete conto voi stessi. Solo pochi esempi, per ragioni di spazio, ché altrimenti dovremmo citare i primi versi di una vecchia canzone degli E.L.& P. “Welcome back my friends, to the show that never ends…”.

Cominciamo da quelli che non fanno distinzione tra riluttante e reticente; e come si fa a non richiamare in causa il principe de Curtis? …riluttante sarà lei ha capito? Razza di reticente!… Poi ci sono quelli che “non per essere veniale” oh yeah che a pensarci bene essere venali non è affatto veniale, per passare a quegli altri che usano la problematica, magari raddoppiando la bbi al posto di problema, pensando così di dare maggiore importanza a quel che dicono e ignorando che le due parole hanno significati simili ma ben distinti. Per la serie “ma che ce frega ma che ce ‘mporta….”. E va bene. Andiamo avanti.

Vogliano benevolmente sorvolare su quella tale che, presentando in radio una mostra sul Rinascimento italiano, non trovò niente di meglio che accompagnare il servizio con musiche tratte dal concerto per chitarra e orchestra di Mauro Giuliani. Bella composizione, senza dubbio! Scritta però qualche tempo dopo il periodo storico cui la mostra si riferiva, tanto da venire dedicata al… viceré d’Italia Eugenio Beauharnais, cognato di Napoleone. Et bien, glissons. Ma come non restare interdetti quando leggendo il nostro bravo quotidiano ci troviamo di fronte alla graticola di colpi che avrebbero investito dei malcapitati durante una rissa? Forse si voleva dire gragniuola. E la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso confusa con la spada di Damocle? Oppure l’impero cinese che da celeste diventa “del sol levante”: ma quello non era il Giappone? E ancora, la foto azzurro e oro della Cupola della Roccia, o di Omar che caratterizza lo skyline di Gerusalemme confusa da una didascalia con la non meno bella Moschea di Al Aqsa, che pur trovandosi come la prima nel “Haram ash Sharif”, il nobile recinto o più comunemente spianata delle moschee, è un edificio a se stante. Un po’ come se uno scrivesse sotto la foto del Battistero di Firenze che invece è Santa Maria del Fiore. Certo stanno entrambi in Piazza del Duomo, però… “Che ci arifrega che ci arimporta…“.

E la “panchina corta”? Ne vogliamo parlare? Sentito in un programma radiofonico nazionale. Si cita Winston Churchill e la “cortina di ferro” definendola una frase. Ma no che non è una frase! E nemmeno una parola, bensì…. una definizione, un’espressione. E-spres-siò-ne! “non so se capisce questa parola signor Arbore” avrebbe detto con l’accento messinese grave sulla o, il bravo presentatore Nino Frassica di ‘Indietro tutta’.
Ma andiamo avanti invece, per penoso che sia. Da un giornale online apprendiamo di una “squadra che ha ancora fame di vittorie come hanno dimostrato le recenti vittorie”: 2 vittorie in 6 parole. Dizionario dei sinonimi no!? La seconda volta si poteva ben usare affermazione o successo, ottenendo un risultato migliore. Il fatto è che, per restare alla metafora calcistica, spesso si gioca con la “panchina corta”, dove anziché i giocatori sono le parole ad essere contate. Si fanno tante ripetizioni o si usano termini imprecisi perché il parco terminologico di chi parla o scrive è incompleto, lacunoso.
E quello che si butta sotto i binari, evocando scenari da Gotham City? Ma dai!! direbbe la Gialappa. Meglio tacere e andare avanti come… mormorava il Piave.

Tuttavia qualche considerazione sull’avverbio piuttosto, usato con valore disgiuntivo al posto della ‘o’, e tipico di quell’italiano di consumo bruttino e conformista, bisognerà pur farla. Piuttosto che, piuttosto che, piuttosto che… maddeké! Ci si perdoni l’intervento in tackle scivolato nel vernacolo romanesco ma quando ce vo ce vo! Tutti questi piuttosto messi in fila come catarifrangenti su una statale, fanno tanto presentazione di Windows 9 o di un ennesimo iPhone per non far torto a nessuno …si può taggare p.c. editare p.c . inviate una mail ….p.c. videogiocare.
E, per citare Forrest Gump, su questo argomento non abbiano altro da dire. Si legga piuttosto l’esilarante consulenza linguistica sull’ottimo sito dell’Accademia della Crusca [vedi], strumento che non dovrebbe mancare nel tool-kit di ogni buon comunicatore.

Tranquilli, che ci avviamo a concludere. Non prima di aver rivolto un doveroso pensiero a tutti quei termini vittime di incidenti di pronuncia radiotelevisiva. Pochi, commossi esempi (piangere, in effetti, c’è da piangere). Prima di tutto il francese, la cui scarsa o inesistente conoscenza da parte di molti operatori dell’informazione nazionale, viene regolarmente aggirata pronunciandolo come se fosse inglese (a volte come fosse antani!). In un gr il nome del pilota ginevrino (Ginevra, Svizzera francofona: quella anglofona ancora non c’è: Svizzera, non Canada!) di Formula 1, Romain Grosjean diventava Grosgiin, come Billie Jean. Ma forse chi dava la notizia era un irriducibile fan di Michael Jackson. A proposito, se parliamo della pop star, il nome si legge Maikol ma se si tratta di Michael Schumacher che non è americano ma tedesco, si scrive nello stesso modo ma si dovrebbe dire Mihael con l’acca aspirata come pronuncia la c di casa un fiorentino di Borgo San Frediano.

E cambiamo senz’altro argomento. Che cosa diavolo sarebbe il “vin d’onor” sentito sempre in radio a proposito di un rinfresco legato a una mostra d’arte? Detto così ricorda la musicale lingua veneta usata da Carlo Goldoni nelle sue commedie “xe una dona /un cavalier d’onor” ma non è il francese dell’espressione vin d’honneur. Se non la si sa pronunciare comme il faut si dica vino d’onore che è comunque corretto e si fa più bella figura.
L’ultimo, toccante omaggio va alla nave militare italiana “Euro” che porta, come tutte le fregate c.d. di classe Maestrale, il nome di un vento. E quindi Grecale, Scirocco, Libeccio e così via. Euro è un vento ricordato anche da Dante “sopra ’l golfo che riceve da Euro maggior briga”, che spira da sud est. Vento mediterraneo il nostro Euro, nel mito greco accompagnatore dell’Aurora dalle dita rosate. Mai stato in Cornovaglia o alle isole Shetland. Come accidenti, sia potuto accadere che nel corso di un programma tv, a qualcuno sia venuto in mente di pronunciare Euro “iuro” (sic!) all’inglese, resta a tutt’oggi un mistero. Anche perché non risulta che la Royal Navy abbia vascelli con questo nome. E a proposito di Inghilterra, come non citare la frequente confusione tra gli steward, che sono come noto assistenti di volo o addetti alla sicurezza nelle manifestazioni sportive, e gli Stewart o Stuart, casa reale che diede re e regine ai troni di Scozia e di Inghilterra, ma anche cognome, tra gli altri, di un grande pilota di Formula 1 (Jackie) e di una giovane e promettente attrice (Kristen).

Un’ultima considerazione dal tavolino del caffè Le Giubbe Rosse di Firenze, che è il luogo reale (non lontano dall’Arno ma innegabilmente più comodo delle foreste casentinesi) dove abbiamo buttato giù queste righe. Lo stamani mattina cui ci sta abituando il nuovo presidente del consiglio ha una forte connotazione fiorentina ma per quanto un po’ ostentato è linguisticamente corretto. Meno bene la raffica di assolutamente sì (o assolutamente no) usati con troppa disinvoltura da cui veniamo investiti quotidianamente. Va bene nel caso in cui qualcuno ci chiede se siamo sempre convinti di partecipare a una regata transoceanica o a tentare una nuova via invernale sul Nanga Parbat. Meno bene se ci stanno servendo il caffè e ci chiedono se ci vogliamo lo zucchero. “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no”, ammoniva saggiamente venti secoli fa un giovane galileo.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
Al via la tredicesima edizione del festival del giornalismo

da: ufficio stampa Comune di Ferrara

Più di 250 ospiti provenienti da 38 paesi e da 5 continenti per 250 ore di programmazione e 122 incontri, questi i numeri della XIII edizione di Internazionale a Ferrara, il festival di giornalismo organizzato dal settimanale Internazionale e dal Comune di Ferrara, presentato mercoledì alla Sala degli Arazzi del Palazzo Municipale di Ferrara.

“Questo festival – ha dichiarato Chiara Nielsen, vice direttore di Internazionale – è un’impresa collettiva che non riguarda solo noi e i giornali esteri che rendono per tre giorni Ferrara la redazione più grande del mondo, ma riguarda il coinvolgimento di tutte le realtà cittadine e che trasformano il festival in un momento di incontro tra tante anime e personalità. Quest’anno il filo rosso tra gli appuntamenti sarà il tema dell’emergenza climatica declinato in ogni settore, dall’economia alla società. Ricorderemo anche teatri di crisi dove l’attualità è incandescente. Inoltre, come ci siamo prefissi da diversi anni, ci saranno tante donne e si parlerà tanto di carcere. Come sempre non mancheranno i momenti di intrattenimento e una ricchissima programmazione per bambini”.
[Qui il programma completo]

“Diamo il benvenuto al festival di Internazionale – ha dichiarato il sindaco del Comune di Ferrara, Alan Fabbri – nella nostra bellissima Ferrara, patrimonio dell’Unesco, città ricca di storia e di tradizioni. Questi tre giorni dedicati a temi di grande attualità rappresentano, per tutti, un’occasione di riflessione sulle dinamiche che muovono politica ed economia, a livello nazionale e internazionale, e sulle ricadute che queste hanno sulla vita di ogni cittadino. Il valore intrinseco di una manifestazione come questa, sta nel dare spazio al confronto tra idee, anche diverse, senza limitazioni dettate da logiche di appartenenza. Siamo certi che dagli spunti che il festival saprà proporre potranno nascere ulteriori momenti di riflessione, capaci di arricchire l’intera comunità nella consapevolezza che le vicende del presente e del futuro ci appartengono e sono determinate dal percorso, dalle scelte e dalle idee di ciascuno di noi”.

Ad una settimana dalle grandi manifestazioni internazionali del 27 settembre scorso, parte il festival di Internazionale a Ferrara che ha scelto come filo conduttore le mobilitazioni che in tutto il mondo chiedono alla politica di agire contro il cambiamento climatico: #FerraraForFuture. Racconteranno il loro attivismo i protagonisti delle manifestazioni #FridaysForFuture: Maxime Lelong, organizzatore della prima Marcia per il Clima a Parigi, Daze Aghjl, attivista britannica di Extinction rebellion e Alexander Fiorentini, esponente di #FridaysForFuture Italia. Il premio Anna Politkovskaja, con cui si aprirà il festival, andrà alla giornalista ambientale nigeriana Augustina Armstrong-Ogbonna che per la sua inchiesta del 2016 sulle attività di dragaggio della società dell’ex Ministro degli Interni nigeriano Emmanuel Iheanacho è stata minacciata, sorvegliata dalle forze di sicurezza dello Stato e costretta a fuggire negli Stati Uniti.

Si parlerà del Brasile di Bolsonaro con Mônica Benicio, compagna di Marielle Franco, femminista brasiliana e attivista lgbt assassinata a marzo 2018, mentre il giornalista cileno Patricio Fernàndez con i colleghi Luz Mely Reyes, dal Venezuela, e Carlos Salinas Maldonado, dal Nicaragua, parleranno della svolta a destra nei governi dei loro paesi favorita dalla crisi economica e degli scandali di corruzione della sinistra. Approfondimenti anche sul Medio Oriente: dalla Siria allo Yemen fino alla rivalità tra Iran e Arabia Saudita che sta destabilizzando la regione. Ne discuteranno il professore Pejman Abdolmohammadi dell’Università di Trento, Stéphane Lacroix, politologo francese e il giornalista de L’Orient-Le Jour, Anthony Samrani.

Religione e nazionalismo saranno invece al centro del dibattito tra il politologo francese Olivier Roy e Monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo della diocesi di Ferrara e direttore della fondazione Migrantes. Sarà ospite del festival di Internazionale Shoshana Zuboff, attivista e professoressa alla Harvard Business School, autrice del libro The Age of Surveillance Capitalism che affronta il tema del controllo dei cittadini attraverso l’uso dei big data. Di tecnologie e futuro del lavoro discuteranno Maurizio Landini e il giornalista britannico Paul Mason, autore del recente Il futuro migliore (Il Saggiatore, 2019). Come ogni anno non mancheranno incontri dedicati al tema dei diritti umani e dei diritti delle donne. Dagli Stati Uniti, il giornalista Shane Bauer, la visual artist Nigel Poor e l’ex detenuto Earlonne Woods, co-conduttore e ideatore del podcast Ear Hustle, racconteranno come si vive all’interno delle prigioni americane. Un focus particolare sarà dedicato a come gli uomini che lavorano nell’industria culturale propongono l’immagine della donna. Ne parleranno Ellen Maria Tejle, promotrice della campagna A-rating per valutare i film in base alla rappresentazione delle donne, Christina Knight, copywriter e direttrice creativa svizzero-inglese, e Livia Podestà che promuove una corretta rappresentazione di genere sui media allo Swedish Institute di Stoccolma. Attenzione puntata anche sui diritti delle donne in Medio Oriente con Farahnaz Forotan, giornalista afghana, Fatima Faizi, corrispondente del New York Times da Kabul, e Rafia Zakaria, scrittrice e avvocata pachistana. Dialogheranno di femminismi la scrittrice e regista francese Virginie Despentes e il filosofo spagnolo Paul B. Preciado, filosofo della teoria queer e di studi di genere. E a Ferrara verrà lanciato l’European Network for Women Excellence, un database che raccoglie voci di donne autorevoli in tutta Europa.

Non mancheranno le presentazioni di libri e gli incontri con gli autori, fra gli altri il francese Edouard Louis. Infine, il cinema, la fotografia, il giornalismo per bambini e la musica. Alice Rohrwacher con Lazzaro Felice e Phaim Bhuiyan, che ha debuttato nei cinema italiani con Bangla. L’inchiesta di Laia Abril, fotografa e artista spagnola, lavoro multimediale sui rischi e le conseguenze dell’aborto illegale. Mentre dedicato al meglio del giornalismo per bambini sarà l’incontro con lo scrittore Davide Morosinotto e le giornaliste di due delle realtà internazionali editoriali più interessanti nel settore: Cécile Bourgneuf di P’tit Libé, Inge Kutter di Zeit Leo. Dedicati alla musica due appuntamenti speciali: sabato sera il concerto del cantautore italiano Diodato e domenica l’esibizione della band dei Musicisti per i diritti umani.

Appuntamento rinnovato anche per questa edizione con i documentari su attualità, diritti umani e informazione di Mondovisioni a cura di CineAgenzia, con la rassegna di audiodocumentari Mondoascolti, a cura di Jonathan Zenti e con i laboratori dedicati a bambine e bambini. Internazionale a Ferrara è un festival senza barriere architettoniche e accessibile a tutti. Alcuni degli incontri saranno tradotti nella Lingua dei segni italiana.

Michele Pinelli, delegato alla Terza Missione Università di Ferrara

“La diffusione del sapere, del dialogo e della riflessione sono le basi su cui si fonda la ormai solida e duratura collaborazione dell’Università di Ferrara con il Festival. Il coinvolgimento dell’Ateneo ha diverse manifestazioni: dall’apertura di palazzi di prestigio e aule per accogliere appuntamenti e incontri del programma ufficiale al tradizionale workshop organizzato dal Master in giornalismo scientifico. Novità di quest’anno, lo stand Unife presente in piazza Trento Trieste, in cui sarà possibile raccogliere informazioni sull’offerta formativa dell’Ateneo e su come immatricolarsi e in cui saranno presenti le nuovissime linee di abbigliamento e oggettistica griffate Unife. Ma soprattutto, lo stand veicolerà il messaggio del progetto di crowdfunding dedicato alla raccolta fondi per progetti di ricerca dell’Ateneo ad alto valore scientifico e con ricadute concrete sulla collettività”.

Francesca Molesini, Assessore alla Cultura del Comune di Portomaggiore

“Per il quarto anno il Comune di Portomaggiore aderisce al programma del Festival di Internazionale a Ferrara, ospitandone in Sala Consiliare l’unica tappa ‘fuori sede’. Sabato 5 Ottobre alle 10, avremo l’onore di incontrare la vincitrice del Premio Anna Politkovskaja 2019, Augustina Armstrong-Ogbonna, giornalista multimediale nigeriana, specializzata in informazione sull’ambiente e sviluppo sostenibile. Verrà intervistata dal giornalista Edoardo Vigna, caporedattore del magazine Sette del Corriere della Sera, dove cura anche la rubrica Afrasia e titolare del blog Globalist su corriere.it. Sarà un’importante occasione di confronto e approfondimento su una delle tematiche attualmente più rilevanti a livello mondiale”.

Paolo Govoni, presidente della Camera di Commercio di Ferrara

“Internazionale ci ricorda quanto complesse e difficili siano ancora oggi le problematiche del nostro tempo, che è importante documentare con misura critica, trasparenza e coraggio raccogliendo e valorizzando i fermenti di riscatto e di progresso che pure non mancano, e che si manifestano in tanti campi e settori, anche particolarmente avanzati e innovativi, e specialmente tra le nuove generazioni. Sono convinto che il Festival saprà, ancora una volta, assolvere un ruolo cruciale per promuovere il confronto pubblico sui problemi ancora aperti e sulle prospettive da perseguire”.

Chiara Magni, responsabile Public engagement di MSF Italia

“Anche quest’anno porteremo a Ferrara la nostra testimonianza dalle crisi umanitarie in cui operiamo – come il Venezuela, la Libia, l’Ebola in RDC – ma anche sulle sfide in corso per garantire le cure a chi ne ha bisogno. Oggi pazienti affetti da malattie come HIV, Tubercolosi ed Epatite C continuano a morire perché non hanno accesso ai trattamenti salvavita, ancora inadeguati, inaccessibili o troppo costosi. Ne parleremo celebrando i venti anni della nostra Campagna per l’Accesso ai Farmaci, che dal 1999 opera per promuovere l’accesso alle cure. Al corner di MSF in piazza Trento e Trieste una speciale installazione interattiva sul tema della Luna – anch’essa inaccessibile fino a 50 anni fa – coinvolgerà il pubblico e lo inviterà a fare la propria parte perché il diritto alla salute sia davvero garantito”.

Valentina Preti, Ufficio Comunicazione Alce Nero

“Torniamo al Festival di Internazionale perché troviamo qui il naturale contesto per affrontare le tematiche che mettiamo al centro del nostro lavoro. In particolare, quest’anno portiamo a Ferrara il progetto “Siamo fatti di terra”: un ciclo di eventi nati per approfondire, insieme ad agronomi, nutrizionisti e ricercatori, lo stretto rapporto tra la salute del pianeta e quella delle persone, partendo da un’agricoltura responsabile, biologica. Saremo al Teatro Nuovo domenica 6 ottobre alle 11:30″.

Daniele Bertarelli, Presidente della cooperativa Sociale CIDAS

“Anche quest’anno CIDAS conferma il sostegno al Festival Internazionale a Ferrara. La nostra cooperativa sociale è nata nel 1979 dalla volontà di un gruppo di famiglie di ragazzi con disabilità, che si è associato per fornire servizi a loro tutela. Oggi, 40 anni dopo, ci siamo ulteriormente specializzati nella cura della disabilità con 7 strutture tra centri socio riabilitativi residenziali e diurni, e un centro socio occupazionale. Nel tempo la cooperativa si è sviluppata ed attualmente offre anche servizi socio sanitari per anziani, attività educative per l’infanzia e l’adolescenza, fornisce trasporto sanitario, gestisce servizi rivolti all’accoglienza ed integrazione dei migranti, si occupa di mediazione sociale ed inclusione lavorativa, in Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Al centro del nostro lavoro ci sono sempre i diritti di cura e i bisogni degli ospiti e delle loro famiglie, per questo abbiamo proposto al Festival un appuntamento sull’affettività e la sessualità delle persone con disabilità, che vedrà la partecipazione di esperti del settore tra cui un nostro educatore.
Inoltre, dato il nostro impegno per l’inclusione delle persone migranti, con una nostra insegnante di italiano per stranieri, parteciperemo all’incontro sull’arricchimento linguistico e culturale dato dalla presenza nelle nostre comunità di persone di altri paesi”.

Luca Grandini, responsabile provinciale Cna Artistico e Tradizionale Ferrara

“Come ogni anno la Cna di Ferrara partecipa a Internazionale con l’eccellenza degli artigiani e dei sapori tradizionali delle nostre terre, in collaborazione con la strada dei Vini e dei Sapori. L’esposizione dell’artigianato artistico, la cena per i giornalisti e il mercato dei sapori artigiani sono altrettante dimostrazioni che uno sguardo sul mondo aperto e senza pregiudizi ben si concilia con la consapevolezza profonda delle proprie tradizioni”.

Paolo Bruni, presidente Cso Italia

“Le pere IGP dell’Emilia Romagna non sono solo straordinari frutti autunnali pieni di gusto e proprietà nutrizionali ma rappresentano anche una vera e propria bandiera del Made in Italy nel mondo. Sono coltivate esclusivamente in aree storicamente vocate tra le quali spicca Ferrara che, rappresenta la culla mondiale della produzione di pere seguita da Modena, Bologna, Reggio Emilia e Ravenna.
Il patrimonio produttivo della pericoltura emiliano romagnola rappresenta un importante traino per l’export agroalimentare che, come è noto è una delle voci più significative del pil nazionale. Una bandiera quindi che rappresenta i produttori italiani e che quest’anno sta vivendo una crisi drammatica legata alla presenza massiccia della cimice asiatica. Una crisi che rischia di mettere in ginocchio il settore. Per questo è importante unire le forze e le competenze per sostenere tutta la filiera”.

Francesca Tamascelli, responsabile Doc Servizi Ferrara

“Doc Press è la cooperativa dei giornalisti indipendenti nata per promuovere un giornalismo sostenibile e di qualità. I soci, che si sono dati un regolamento interno, puntano sulla professionalità, la cooperazione e utilizzano l’opportunità data dallo sviluppo di nuove tecnologie. Partecipiamo al Festival di Internazionale con una serie di iniziative e, tra queste, l’incontro ‘Cooperazione e nuove tecnologie per un giornalismo forte e sostenibile’ – venerdì 4 ottobre alle 15,30 – nell’Arci Bolognesi di Ferrara. Durante il Festival, del quale condividiamo i valori, vogliamo incontrare e parlare con il maggior numero possibile di giornalisti freelance. Ai colleghi vogliamo raccontare cosa facciamo e capire se possiamo sviluppare insieme opportunità. Doc Press fa parte di Doc, la rete di professionisti nei settori di Arte, Cultura, Industria Creativa e Impresa Culturale che gestiscono la propria attività in cooperativa per ottenere più vantaggi e tutele”.

Serena Scarfi, responsabile organizzazione mostra World Press Photo

“Anche quest’anno siamo felici di portare la mostra World Press Photo a Ferrara perché crediamo che sia la più importante rassegna internazionale di fotogiornalismo che, attraverso il linguaggio della fotografia, è in grado di restituire la complessità dell’umanità attuale. Ci auguriamo che la mostra rappresenti uno strumento di riflessione e di apertura verso la diversità e le paure, spesso indotte dai mezzi di comunicazione di massa. Per questo invitiamo tutti a visitare la mostra che si terrà al Padiglione d’Arte Contemporanea dal 4 ottobre al 3 novembre 2019”.

‘Laissez faire‘ non è uno slogan civile

Degli svaghi notturni dei giovani ferraresi, del fastidio procurato ai residenti e delle possibili soluzioni da adottare si è a lungo discusso nelle settimane scorse. Poi, come sempre, il dibattito pian piano si spegne. Ma il problemi restano aperti e insoluti. “Piazza Verdi” e la ‘movida’ di via Carlo Mayr sono specchio di situazioni che si verificano anche in altri luoghi e in altre città: conciliare aspettative e interessi divergenti non è mai cosa semplice.
Per quanto mi riguarda devo premettere, per onestà, che sono politicamente anti-leghista, sopratutto a causa della politica verso l’Europa e verso gli immigrati, per l’uso di un linguaggio spesso cosi volgare e aggressivo contro quasi tutti coloro che non gridano “Prima gli Italiani!”. Il senso della famosa sentenza ‘“law and order” richiesto da un leghista non è la stessa cosa ho in mente io. Le cose che costoro hanno presentato negli ultimi anni non rappresentano certo un modello per una nuova cultura democratica. Non voterei mai la Lega o, per me come cittadino tedesco, il partito “Alternativa per la Germania“ (Afd). ll loro antisemitismo e anti-democratciismo, la loro volgarità di linguaggio, non mi piacciono per niente.
Ma devo confessare, anche, che posso capire la politica del Comune di Ferrara, dell’amministrazione di Destra, verso la “Movida” notturna senza regole chiare.
Facciamo un esempio che mi fa arrabbiare non con il Comune ma con i clienti degli ‘streetbar’ in via Carlo Mayr: è un diritto bloccare completamente una strada pubblica come succede durante i mesi estivi quasi ogni notte? Certo, “cosi fan tutti” ma una strada pubblica ha le sue regole. Cosi invece, requisito un pezzo di città che è di tutti.
Talvolta, passando in piena notte a Ferrara, fra piazza Travaglio e piazza Verdi, in via Carlo Mayr ci si sente in un “failed district”, un territorio senza regole, dove il cliente diventa il re e il cittadino (non cliente) deve rispettare suo malgrado una legge non scritta.

Per essere chiaro: nemmeno io provo grande nostalgia per la ‘Ferrara funerea’, una città silenziosa e noiosa come è stata Ferrara per decenni. Mi piace l’idea della “movida”, con la possibilità di essere in contatto con amici e stranieri all’aperto; ma talvolta il rumore diventa davvero insopportabile come in un cantiere con le perforatrici ad aria compressa. Soprattutto venerdì o sabato notte, talvolta fino alle 4 di mattina, non è possibile dormire. Non capisco neppure perché molte stradine in questo storico e bellissimo quartiere di Ferrara siano diventate con gli anni sempre più una sorta di bagno pubblico a cielo aperto, per qualsiasi impellente “bisogno umano”.
Anche per questo avverto grande solidarietà per i residenti, che mattina dopo mattina curano il quartiere dove vivono. Grande rispetto anche per le donne e gli uomini della nettezza urbana, che ogni giorno fanno un lavoro, spesso sgradevole, per riportare un po’ di civiltà in un quartiere incantevole durante il giorno e che lo dovrebbe essere anche di notte.
“Tutti devono accettare le norme”, come ha detto la candidata sindaca della lista civica Roberta Fusari durante la campagna elettorale, ma senza un chiara indicazione di sanzione legale per i trasgressori resta un’affermazione un po’ naif .
Negli anni precedenti, di notte, purtroppo, tanti clienti degli ‘streetbar’ non hanno mai accettato le norme e non credo che le accetterebbero oggi solo perché lo chiede una rappresentante dell’opposizione in Consiglio comunale.

Ampliando il concetto, quanto succede a Ferrara è specchio di tanti piccoli diffusi disagi che insieme però rendono conflittuale il clima comunitario. Una nuova Sinistra, in Italia e in Europa, deve trovare una posizione chiara e credibile a partire già da queste situazioni di quotidiani fastidi, e non di tipo “laissez faire”: se la Sinistra non ha il coraggio di prendere posizione sui problemi della sicurezza e delle norme di convivenza, incluse le sanzioni possibili, la Destra (sia la Lega in Italia, sia l’Afd in Germania) avrà di fronte un futuro radioso per anni.
Sulla sicurezza urbana, il rispetto verso gli altri (anche verso gli stranieri) e sull’angoscia diffusa si giocherà infatti la partita politica dei prossimi anni. E, proprio per questo, “laissez faire” non è, e non può più essere, uno slogan adeguato né per una nuova Sinistra, né più in generale, per le forze che si definiscono civili e “non-populiste”.

Il ritorno della Modern Monetary Theory, l’Europa forse ci ripensa

In principio fu Paolo Barnard a portare la Mmt (Modern Monetary Theory) in Italia. Lo fece con forza raggruppando i suoi massimi esponenti all’Itt di Rimini del 2012 ovvero Michael Hudson, William Black, Stephanie Kelton, Marshall Aurback e Alain Parquez di fronte a quasi duemila persone. Un record assoluto per un convegno di economia, segno che la crisi stava colpendo duro. Le aziende chiudevano, la disoccupazione saliva e le misure di austerità divennero il leitmotiv del governo Monti che avrebbe poi addirittura costituzionalizzato il pareggio di bilancio.
A Rimini c’era invece voglia di conoscere qualcosa di innovativo che potesse dare vita ad un nuovo corso nelle manovre economiche ed una spiegazione alternativa alle teorie sulle colpe dei Piigs, i Paesi maiali (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). Ma, come spesso succede, il fuoco si spense presto, insieme alle speranze dei partecipanti e dei tanti gruppi territoriali a supporto della Mmt che si formarono.
Paolo Barnard, autore de “Il più grande crimine”, ancora scaricabile dal suo sito in maniera gratuita, accompagnò Warren Mosler nel 2013 in un tour che toccò anche Ferrara, poi ebbe dei momenti nella trasmissione di Gianluigi Paragone “La gabbia”, articoli vari, blog e follower ma con una condanna all’oblìo già scritta.
Il suo modo graffiante di dire la verità senza compromessi, di essere scomodo al sistema non poteva permettergli di più di qualche rara apparizione sui media, nonostante fosse anche stato autore e co-fondatore di una trasmissione televisiva come Report. Ispiratore di scoop sul commercio internazionale, sugli intrighi di palazzo a Bruxelles, sulle case farmaceutiche e profeta di una crisi economica già scritta nei rimedi prospettati dal 2008.
La Mmt è una teoria che affonda le sue radici in numerosi autori di inizio Novecento. Prevede l’intervento dello Stato in funzione anticiclica e lo Stato garante, attraverso il controllo della Banca Centrale, del suo debito. Vede quindi una fusione tra politica monetaria e politica fiscale e la spesa pubblica in funzione di riequilibratore del mercato, si taglia quando l’economia si riscalda e si alimenta quando si è in recessione.
I deficit governativi non rappresentano sempre un pericolo, almeno per le nazioni che utilizzano la propria moneta e che sono in grado di controllare.
L’esperienza keynesiana e il new deal rooseveltiano supportano storicamente l’idea di un saggio intervento statale teso alla tenuta della domanda.
L’applicazione di questi principi, secondo Mmt e Barnard, avrebbe evitato migliaia di suicidi e tanti sacrifici. Se l’ossessione per i tagli della spesa e gli equilibri del bilancio dello stato fosse stata meglio compensata con la necessità di supportare la domanda aggregata e sostenere aziende e lavoro, la storia degli ultimi anni sarebbe stata diversa.
Ma perché ne stiamo parlando ora?
Contro l’austerità e i vincoli di bilancio che frenano lo sviluppo e per la capacità di spesa dello Stato in deficit per migliorare le condizioni di vita dei cittadini si era pronunciata l’astro nascente della politica americana Alexandria Ocasio-Cortes. Abbracciando dunque la Mmt come teoria economica utile per far fronte ai bisogni sociali, dall’estensione del programma Medicare al salario minimo di quindici dollari, dall’istruzione gratuita per tutti al diritto alla casa. La Ocasio-Cortes ripeteva quello che tanti economisti americani dicono da anni, da Warren Mosler a Mark Blyth, da Joseph Stiglitz a Paul Kraugman.
Ma anche qui in Europa il dibattito sembra volersi aprire e segnali importanti, seppur timidi, cominciano ad intravedersi nelle stanze del potere. Mario Draghi, rispondendo alla domanda di un eurodeputato sul modo migliore di incanalare i fondi all’economia reale in modo da combattere il cambiamento climatico o compensare le diseguaglianze, ha citato proprio la Mmt e uno studio dell’ex vice presidente della Federal Reserve, Stanley Fischer.
Tale studio sostiene che le banche centrali dovrebbero immettere moneta direttamente nelle mani di chi spende nel settore pubblico e privato. “Sono idee piuttosto nuove.” ha affermato Draghi, “Non sono state discusse dal Consiglio direttivo ma dovremmo farlo, anche se non sono state testate.”
Succede poi che la candidata alla successione di Sabine Lautenschläger, ex vice presidente della Bundesbank, uno dei sei membri dell’Executive Board e del Governing Council della Bce in carica dal 27 gennaio 2014 e che ha lasciato con due anni di anticipo in dissidio con la politica monetaria accomodante di Mario Draghi, sia Elga Bartsch, tedesca ed economista di Black Rock.
È proprio Elga Bartsch, in occasione dell’incontro annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole lo scorso agosto, insieme agli economisti Stanley Fischer, ex governatore della Bank of Israel ed ex vice presidente della Federal Reserve degli Stati Uniti, Jean Boivin, ex vice governatore della Bank of Canada, aveva stilato un documento. Una proposta per un coordinamento più esplicito tra le banche centrali e i governi quando le economie sono in una recessione in modo che la politica monetaria e fiscale possano lavorare meglio in sinergia. L’obiettivo è di andare diretti con denaro ai consumatori e alle società per ravvivare i consumi.
Si tratta, in entrambi i casi, della controversa teoria dell’helicopter money (denaro buttato giù dall’elicottero). Far arrivare soldi alle persone perché possano spendere per rimettere in circolo l’economia.
Poi c’è la Lagarde, prossimo Governatore della Bce e a suo tempo spietata sostenitrice dell’applicazione alla martoriata Grecia dell’austerità senza sconti, che afferma “non pensiamo che la Mmt possa essere la panacea. Non pensiamo che questa teoria sia sostenibile e possa funzionare in tutti gli stati ma i modelli matematici sembrano reggere. Potrebbe funzionare per risollevare alcuni paesi dalla trappola della liquidità e dalla deflazione”. Un’apertura ad una sua possibile applicazione anche se in momenti e situazioni specifiche, comunque uno sdoganamento.
Il prossimo commissario agli affari economici sarà Paolo Gentiloni che ha affermato di aver capito come deputato l’importanza sia di salvaguardare la sostenibilità del debito pubblico sia la capacità di sostenere l’economia in tempi di crisi. Per cui, in caso di conferma per il ruolo di commissario, dice “cercherò di fare in modo che la Commissione applichi il patto di Stabilità e crescita facendo pieno uso di tutta la flessibilità prevista dalla regole”.
Significa quindi un appoggio a politiche di deficit almeno al 3%? Forse non arriverà a tanto ma sembra aver compreso l’importanza che le regole in tempo di crisi non possono essere le stesse dei tempi buoni.
E poi c’è il nuovo ministro dell’economia Gualtieri che oltre a saper suonare la chitarra ha affermato di voler trovare risorse anche dalla spesa a deficit tenendosi tra ilo 2,04 di flessibilità avuto dal precedente governo e quanto da questi a suo tempo chiesto, il 2,4%. Affermazione poi confermata nella Nadef di questi giorni dove il deficit viene fissato al 2,2%.
Non si può pretendere di più. I tempi sono cambiati dal 2012 e tante scelte non possono essere messe in discussione come sarebbe stato possibile fare allora. Il tempo passa e le politiche economiche andrebbero adattate sempre alla situazione, così come dovrebbero cambiare le persone al comando. Negli Usa c’è la faccia pulita della Cortes, nella vecchia Europa, invece, si aspetta che coloro che a suo tempo decisero la giustezza degli equilibri di bilancio e dell’austerità, ovvero gli stessi che ancora prima avevano deciso per la moneta unica e per un’unione europea senz’anima, e che ancora prima di prima avevano deciso la separazione della politica monetaria dalla politica fiscale, adesso decideranno se è il momento di cambiare perché forse si è andati troppo oltre.
Anche noi siamo gli stessi e, come sempre, aspetteremo che gli stessi di sopra decidano come dovrà essere il nostro futuro.

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Se la scuola tornasse a fare il suo mestiere

La Terra è al collasso e di mezzo ci si mette il libretto delle giustificazioni, siamo alla comicità italiana. I giovani che si assentano dalle lezioni per partecipare al Friday for future per essere riammessi a scuola non devono fornire la giustificazione firmata dai loro genitori. Così ha deciso il ministro della pubblica istruzione con una invasione di campo non richiesta.
Precipitarsi a dare una pacca sulle spalle a ragazze e ragazzi perché fanno qualcosa di buono, che ai grandi neppure è mai passato per la testa di fare, altro non è che il segno della profonda immaturità degli adulti nella relazione con le nuove generazioni. Rispettarne le iniziative, apprezzarne il valore e l’importanza non significa cambiare le regole del gioco, anzi, potrebbe finire per svilirle. Per dire che non tutti gli atti che sembrano buoni alla fine lo siano veramente, o per lo meno sono indifferenti.
Nell’atteggiamento del ministro dell’istruzione c’è una fregola all’educazione, al rinforzo positivo, questo spiegherebbe l’invasione di campo. È che il ministro è il ministro dell’istruzione non dell’educazione.
Ancora una volta la scuola si dimostra debole sul lato del suo mestiere che è la conoscenza. Imparare a conoscere. Imparare ad imparare. È facile aderire allo sciopero dei ragazzi, è più difficile offrirgli una scuola diversa, una scuola utile al loro futuro, per il quale manifestano.
Il ministro promette di aggiungere più ambiente ai programmi scolastici, se mai con gli esiti non certo esaltanti della recente legge su più educazione civica. Il tema è di cosa hanno bisogno i nostri studenti perché la scuola non rubi i loro sogni e il loro futuro.
In un bel libro di venticinque anni fa, Terra-Patria, Edgar Morin scriveva: “Alle soglie del terzo millennio, la nostra è una condizione “di agonia”, sospesi come siamo tra possibilità di rinascita e vigilia di distruzione”.
Dunque, avremmo potuto fare molto già da tempo, senza attendere Greta. E una scuola che insegue i giovani anziché anticiparli e guidarli non si salva ora chiedendo ai presidi di non considerare assenti i giovani mobilitati a manifestare contro i grandi della Terra.
Chi insegna ai giovani di oggi come considerare il mondo nuovo che ci travolge? Su quali concetti essenziali devono fondare la comprensione del futuro? Su quali basi teoriche possono appoggiarsi per vincere le sfide che si accumulano?
Queste sono le domande a cui la scuola dovrebbe rispondere per essere utile ai giovani di oggi, perché siano aiutati ad affrontare meglio il loro destino e a meglio comprendere il nostro pianeta.
Sono le domande che anni fa l’Unesco ha rivolto ad Edgard Morin il quale ha risposto nel 1999 con “I sette saperi necessari all’educazione del futuro”. Un ministro serio di una scuola seria di un paese serio di qui prenderebbe le mosse.
Le sfide si fanno sempre più impegnative e la nostra scuola rischia di essere sempre più piccola, sempre meno adatta a fornire gli attrezzi necessari per essere all’altezza dei compiti che abbiamo di fronte.
Tra i sette saperi di Morin c’è innanzitutto la conoscenza. La scuola luogo della conoscenza è cieca su come funzionano i dispositivi della conoscenza umana. La conoscenza della conoscenza dovrebbe costituire l’obiettivo primario, volto ad affrontare i rischi permanenti degli errori e delle illusioni che non cessano di parassitare la mente umana. Si tratta sostiene Morin di “armare ogni mente nel combattimento vitale per la lucidità”.
La conoscenza nelle nostre scuole è frammentata nelle discipline e questo rende spesso incapaci di effettuare legami tra le parti e il tutto. Sarebbe invece necessario sviluppare l’attitudine naturale della mente umana a situare tutte le informazioni in un contesto e in un insieme. È necessario insegnare i metodi che permettono di cogliere le mutue relazioni e le influenze reciproche tra le parti e il tutto in un mondo complesso.
La stessa unità della natura umana è oggi completamente disintegrata nell’insegnamento attraverso le materie. Ciò rende impossibile apprendere ciò che significa essere umano. Eppure ciò che oggi ci è richiesto è appunto prendere conoscenza e coscienza sia del carattere complesso della propria identità sia dell’identità che abbiamo in comune con tutti gli altri umani.
Ecco, la condizione umana dovrebbe essere oggetto essenziale di ogni insegnamento. Il destino ormai planetario del genere umano. Una realtà che nessun insegnamento può più ignorare. La conoscenza degli sviluppi dell’era planetaria e il riconoscimento dell’identità terrestre devono divenire uno dei principali oggetti di insegnamento.
Le scienze ci hanno fatto acquisire molte certezze, ma ci hanno rivelato anche innumerevoli campi di incertezza. Si dovrebbero apprendere le strategie che permettono di affrontare i rischi, l’inatteso e l’incerto, come suggerisce Morin, bisogna apprendere a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezza.
Abbiamo bisogno di imparare la comprensione. La comprensione è il mezzo e il fine della comunicazione umana. Il pianeta ha bisogno in tutti i sensi di reciproche comprensioni. Questo deve essere il compito dell’educazione del futuro. La reciproca comprensione fra umani, sia prossimi che lontani.
Per Morin l’insegnamento deve produrre una “antropo-etica”, portare a compimento l’Umanità come comunità planetaria. L’insegnamento deve non solo contribuire a una presa di coscienza della nostra Terra-Patria, ma anche permettere che questa coscienza si traduca in volontà di realizzare la cittadinanza terrestre.
Se la scuola tornasse a fare il suo mestiere, forse i prossimi Friday for future invece di essere celebrati nelle piazze delle città saranno partecipati nelle aule delle nostre scuole.

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7/10 Biblioteca Ariostea – Presentazione del volume “Il passaggiere disingannato. Guide di Ferrara in età pontificia.”

Da: Organizzatori

“Il Passeggiere disingannato. Guide di Ferrara in età pontificia.” Atti del convegno tenuto il 19 ottobre 2017 in omaggio a Carlo Bassi (1923-2017), Firenze, Le Lettere 2019 pp. 284 € 44

Il volume, curato da Ranieri Varese dell’Università di Ferrara, analizza il tema, locale ma di generale valenza, delle guide di Ferrara e della loro rappresentazione della città durante il periodo del governo pontificio. Alcuni contributi aprono allo stesso tema per il successivo tempo della unità italiana.

Hanno partecipato studiosi specialisti delle Università di Bologna, Ferrara, Roma, Parma e ricercatori della Biblioteca Ariostea e dell’Archivio Storico Comunale. La Biblioteca Ariostea ha ospitato il convegno nella ‘Sala Agnelli’ e ha fornito un aiuto e un contributo fondamentali consentendo larga consultazione dei materiali custoditi.

Le ‘guide’ sono lo strumento che la classe dirigente cittadina utilizza per dare rappresentazione di sé e del proprio governo ai viaggiatori e ai propri concittadini.
Il genere ha una particolare fioritura nel XVIII secolo nel momento in cui il ‘Grand Tour’ e la visita in Italia era divenuto momento obbligato per la formazione intellettuale e civile della borghesia e della aristocrazia europee.

Per la città di Ferrara i saggi raccolti sono il primo intervento, organico e scientificamente garantito, su questo argomento. Si va dai contributi generali sui testi apparsi in età legatizia (Corinna Mezzetti) e nel paese unificato (Barbara Ghelfi), ai percorsi per raggiungere Ferrara (Franco Cazzola), ai precedenti seicenteschi (Matteo Provasi), a Ferrara nel ‘Grand Tour’ (Valter Curzi), ai mutamenti del gusto (Jadranka Bentini). Rita Fabbri apre alle testimonianze che appaiono sull’impianto urbanistico e monumentale; Paola Zanardi rilegge il carattere dei ferraresi. Jasmine Habcy individua le presenze ‘forestiere’. Mirna Bonazza analizza i testimoni manoscritti per l’edizione della guida di Cesare Barotti, e illustra il patrimonio conservato nella Biblioteca Ariostea. Ranieri Varese propone una inedita guida di Ferrara opera di Girolamo Agnelli.

Una ricca selezione di testi integra i saggi con brani scelti dalle opere di: Giuseppe Agnelli, Cesare Barotti, Girolamo Baruffaldi, Carlo Bassi, Chateaubriand, Luciano Chiappini, Leopoldo Cicognara, Luigi Napoleone Cittadella, Gualtiero Medri, Pietro Niccolini, Christian Norberg-Schulz, Ella Noyes, abate di Saint Non, Niccolò Tommaseo.
I testi introduttivi sono del Prorettore Ursula Thun Hohenstein, dell’Assessore alla Cultura e Vice Sindaco Massimo Maisto, del dirigente del servizio archivi e biblioteche Enrico Spinelli, di Francesca Cappelletti professore ordinario di storia dell’arte presso il Dipartimento di Studi Umanistici.

Il Convegno doveva essere presieduto dall’architetto Carlo Bassi. Ferrarese, autore, nella sua città, di edifici civili e religiosi, studioso attento dell’opera di Biagio Rossetti, autore di numerose guide dedicate a Ferrara. Purtroppo è venuto a mancare poco prima che il convegno avesse inizio. A lui è stato dedicato il volume che ne raccoglie i risultati.
Il Convegno ha ottenuto il patrocinio della Università degli Studi e della Amministrazione Comunale di Ferrara. È stato congiuntamente organizzato dalla Associazione Amici della Biblioteca Ariostea e dalla Deputazione Ferrarese di Storia Patria.

Il comitato scientifico e organizzatore è stato così composto: Franco Cazzola, Università di Bologna; Ranieri Varese, Università di Ferrara; Silvana Vecchio, Università di Ferrara; Paola Zanardi, Università di Ferrara.

Nella convinzione che ognuno deve fare la sua parte, per quello che sono le proprie competenze e impegni istituzionali, le Associazioni promotrici pensano che non vi può essere integrazione per i nuovi cittadini se non vi è conoscenza del luogo in cui ci si trova a vivere. La attualità è formata dalla storia e dal passato della città che condizionano e definiscono oggi il nostro vivere. Senza conoscenza vi è contrapposizione e incomprensione.

Le guide che descrivono Ferrara, a partire dal XVII secolo sino ad oggi, sono uno degli strumenti della conoscenza di sé. Sino ad oggi scarsissima è stata l’attenzione loro rivolta e sono state utilizzate quasi solamente come base documentaria nel settore, troppo specialistico, degli storici dell’arte.
Il problema del senso e del significato delle guide dedicate a Ferrara non è mai stato affrontato. E’ questa la prima occasione di incontro, di dibattito e di verifica.

Le associazioni organizzatrici e tutti gli autori dei contributi hanno ben chiaro il valore e l’importanza del periodo estense; lamentano, senza che per questo vi sia contrapposizione, che troppo spesso ci si dimentica che la città è esistita sia prima che dopo la signoria degli Este. Gli oltre due secoli del governo pontificio hanno visto momenti significativi ed importanti: dalla regolamentazione e controllo dell’apparato idraulico nel territorio alla committenza artistica per gli edifici religiosi e per l’aristocrazia e la borghesia cittadine. Un tempo che è sbagliato tentare di cancellare definendolo minore e oscurantista.

Il volume sarà presentato lunedì 7 Ottobre alle ore 17, presso la biblioteca Ariostea, dalle professoresse Francesca Cappelletti, docente di storia dell’arte moderna presso l’università di Ferrara, e Fiammetta Sabba, docente di storia della bibliografia presso l’università di Bologna.

TACCUINO POLITICO
“Aprire porte e finestre”… Qualche domanda a Massimo Maisto e al Pd ferrarese

Ho partecipato alle primarie del Pd e ho votato Zingaretti. L’ho fatto mosso dalla speranza che si voltasse pagina rispetto al passato recente e meno recente. Al netto dei cambiamenti politici nazionali innescati dal ‘colpo di sole’ ferragostano di Salvini mi pare che il ‘cambiamento’ del Pd sia ancora prigioniero di belle parole, ma scarso di fatti. Ormai Zingaretti non ha più alibi dopo l’uscita di Renzi dal Pd. Prendiamo una parola d’ordine che è stata il motivo dominante della sua elezione a segretario: bisogna aprire porte e finestre per fare entrare aria nuova. Se prendo in considerazione la preparazione del congresso della Federazione Pd di Ferrara, mi sento di dire che le porte sono state tenute sprangate con le finestre ben chiuse con doppi vetri. Facendo salva la mia stima per Massimo Maisto, gli rivolgo alcune domande.
1 – Dopo la catastrofe generale che ha investito il Pd nazionale il 4 marzo 2018, è presente ai dirigenti locali del Pd la sconfitta storico-epocale subita nelle elezioni amministrative locali? E’ falsa e consolatoria l’interpretazione che accolla al ‘vento nazionale’ la causa della sconfitta ferrarese, perché in altre città emiliane il centro-sinistra ha vinto. E’ quindi evidente che ci sono seri motivi locali da esaminare per capire le cause della debacle e che riguardano i temi programmatici, i responsabili politici e gli amministratori del Pd. Domanda: può rappresentare il futuro del Pd dentro il Consiglio comunale il candidato sconfitto alle elezioni? Ne state discutendo nei congressi in corso?
2 – Le vecchie culture politiche che vengono dal Novecento si sono sfarinate. Con che cosa le sta sostituendo la sinistra del tempo della ‘meglio gioventù’ di Greta? Zingaretti parla di idee nuove e nuove pratiche. Quali? Si tratta di idee generiche e di pratiche assenti perché il partito nei territori non esiste più da anni. Caro Massimo, a fronte di questa realtà perché non avete organizzato iniziative preparatorie ai congressi aperte all’associazionismo culturale la cui vitalità e ricchezza conosci bene come ex assessore alla Cultura? Parlo come Presidente dell’Istituto Gramsci che da quasi dieci anni organizza cicli di eccellente qualità culturale sui temi della democrazia, libertà, Europa, globalizzazione, e che continua ad essere ignorato dal Pd. Come pensa di cambiare e di ricostruire una presenza forte nei territori il Pd ferrarese se non si apre in modo permanente alle idee e alle persone che compongono l’arcipelago plurale dell’associazionismo di area di sinistra?
3 – In estrema sintesi conclusiva… Sono preoccupato per l’autoreferenzialità di una classe dirigente che continua a passare da una sconfitta all’altra senza mai fare i conti con le cause profonde che le hanno determinate e che hanno radici lontane, ben oltre l’era di Renzi. Se svolgo queste aspre riflessioni è perché ho sempre considerato indispensabile la presenza di un grande partito della sinistra. Nessun movimento (o lista elettorale) civico/a potrà incidere nel medio-lungo periodo in assenza di un rinnovato, forte e organizzato partito democratico. Non dovremmo mai dimenticare che il ribaltone governativo è ‘merito’ di Salvini e non di un mutamento negli orientamenti nella società civile. Salvini può passare, ma il consenso che rappresenta la Lega non è una parentesi, come non lo era il fascismo nonostante lo pensasse Benedetto Croce. Aveva ragione negli anni Venti del secolo scorso il giovanissimo Piero Gobetti a definire il fascismo ‘l’autobiografia della Nazione’, così come oggi lo è la Lega rispetto ad una parte larga dell’opinione pubblica nazionale. Senza una nuova azione culturale e civile diffusa e continua dentro la società non ci sarà astuzia tattica o demonizzazione dell’avversario che ci potrà assicurare un futuro. Si potrebbe cominciare raccogliendo l’invito del giovane Leopardi: “Convertire la ragione in passione…”.