Lido delle Nazioni (Comacchio), difese antimareggiate
Camminando sulla spiaggia di Volano, penso a questo mentre osservo la sabbia terrosa, che ricordo un tempo fine e bianca. Una sabbia terrosa alimentata dai ripascimenti che sbancano i non eterni cordoni deltizi sotterranei. Un giorno finiranno, dove andremo a prendere la sabbia per ripascire la costa erosa? I territori deltizi sono dei luoghi di accumulo mutevole dei sedimenti portati dai fiumi, che si formano perché le condizioni idrauliche non sono così dinamiche da disperderli. I terreni che vediamo in superficie sono solamente delle componenti di un sistema molto più articolato e complesso formato anche da un “delta” subacqueo, che costituisce una riserva di sabbia. Si tratta di accumuli e anche di ecosistemi portatori di biodiversità utilizzati in molte parti del mondo, e anche da noi, come cava per i ripascimenti o per il commercio della sabbia. Si tratta di una visione ambientalmente folle che ha contribuito a generare la “crisi sedimentaria” in corso, che reitera la distruzione di questi ecosistemi marini distruggendone la biodiversità, rendendo instabile un sistema che si basa su equilibri mutevoli, in particolare ora che i fiumi portano sempre meno sedimenti al mare.
Un mondo che si regge sulla sabbia
La sabbia è la risorsa più usata nel pianeta dopo l’acqua dolce, non è infinitae spesso si muore per accaparrarsi e controllare questo “mercato”.
Di solito la associamo alle spiagge e alle dune, ai deserti, e anche alle costruzioni e al cemento. In realtà, la sabbia la troviamo nei dentifrici in forma di biossido di titanio. Per produrre metalli nelle fonderie si usa la colata di sabbia silicea che si ritrova nelle spiagge, nelle dune sabbiose, nei letti dei fiumi e nei laghi o in particolari formazioni geologiche. Senza sabbia non c’è vetro, lo abbiamo scoperto grazie ai Fenici e agli Egiziani. L’acqua potabile passa attraverso dei filtri che contengono sabbia e la depurano mentre il silicone con cui abbiamo fissato il rubinetto al muro è anch’esso un prodotto della sabbia.
Insomma, viviamo in mondo che si regge sulla sabbia e non solo quella usata per le costruzioni. Ne usiamo ogni giorno 17 chili a testa,50 miliardi di tonnellate di sabbia all’anno. Un ricercatore tedesco, interpellato in un programma della televisione culturale franco-tedesca “Arte”, dedicato alla sabbia, spazializza queste quantità dicendo che corrisponde metaforicamente ad un muro attorno a tutto l’Equatore, alto e largo 27 metri e lungo 40.000 chilometri.
Del resto nelle betoniere finisce l’80% della sabbia; quindi, non si tratta di una metafora fuori luogo. Il calcestruzzo non costa tanto ma contribuisce ad arricchire chi lo usa, usando la sabbia che dovrebbe essere un bene comune. Per costruire un chilometro di autostrada servono 30.000 tonnellate di sabbia e le urbanizzazioni del mondo, che diventano sempre più estese, consumano grandi quantità di sabbia.
Consumare un patrimonio milionario
Tale consumo è stato, e continua ad essere, velocissimo, ma il processo di sedimentazione può durare milioni di anni e quindi si tratta di un bene raro e il suo consumo è di fatto una rapina. Ma le sabbie non sono tutte uguali, quelle al silicio servono per i microchip e i pannelli fotovoltaici mentre quella del deserto è inutilizzabile per il cemento e il calcestruzzo, essendo troppo liscia e rotonda grazie alla levigazione del vento.
È dunque lecito chiedersi, quando si urbanizza ulteriore suolo, da dove viene la sabbia e inoltre è sostenibile estrarla? Il prelievo della sabbia è comunque una ferita all’ecosistema. Quanta sabbia è stata utilizzata per consentire la crescita delle metropoli del mondo o per rendere possibile la costruzione delle nuove città smart e green del Golfo Persico e altrove.
La sabbia è importante per regolare anche le correnti dei fiumi, togliendola cambia il corso del fiume, cambia la velocità di scorrimento delle acque, influisce sulla conformazione dei luoghi e può provocare esondazioni e erosioni. Un fiume densamente popolato come il Mekong in Indocina si modifica non solo per l’accrescimento del livello del mare ma anche per grande quantità di acqua che viene prelevata e per le enormi quantità di sabbia che si estraggono. Il prelievo con le chiatte della sabbia dei fiumi mette in pericolo le sponde e gli insediamenti e villaggi da secoli cresciuti lungo i fiumi, il fenomeno del dilavamento destabilizza fondamenta e infrastrutture mentre l’acqua marina risale mettendo a rischio le falde di acqua dolce.
Nel mondo ci sono 850.000 mila dighe che hanno alterato le dinamiche naturali di tantissimi fiumi. Questo ha cambiato il ciclo delle sabbie insieme all’irrigidimento delle coste che impedisce la formazione di nuovi banchi di sabbia.
Le nuove città green e il consumo di suolo acquatico
Non parliamo mai del fenomeno del consumo di suolo acquatico che avviene ampliando le città e restringendo gli spazi di baie e lagune come a Hong Kong o a Singapore. La città-stato asiatica ha ampliato il suo territorio grazie alla sabbia fornita dall’Indonesia e da altri paesi vicini, aumentando la superficie della città di 130 chilometri quadrati: un affare certamente redditizio economicamente ma che sta mettendo in crisi il mare del Sudest Asiatico.
A Dubai l’invenzione urbanistica che affascina gli occidentali (non solo) la Palm Jumeirah, la città isola a forma di palma, ha utilizzato 385 milioni di tonnellate di sabbia prese dai propri fondali e importata dall’Australia. Altre 46 mila tonnellate di sabbia sono servite per costruire il più grande grattacielo del mondo oggi ancora sfitto per il 30%.
Dubai e le città che gli stanno attorno, sono ammirate e citate nel mondo come esempio di nuove città “eco-tecno-smart” e tutti corrono a vederle, fondazioni e istituzioni culturali e universitarie occidentali fanno a gara per ritagliarsi un posto “al sole” nel nuovo eldorado del neoliberismo. La negazione dei diritti umani e le condizioni di lavoro di chi costruisce fisicamente il sogno, sono vezzi che non incidono sul valore del nuovo rinascimento emiratino e saudita.
Il paradiso delle Maldive
L’economia dello stato insulare delle Maldive si basa prevalentemente sul turismo balneare (circa il 20% del PIL), i resort turistici sono quasi tutti dati in cessione a società estere, molte con sede negli Emirati Arabi Uniti, l’erosione delle spiagge è un fenomeno rilevante e lo stato lo rialimenta con nuova sabbia per coste che rischiano di sprofondare, ma la sabbia è presa da una regione riconosciuta come biosfera marina, che a breve sarà distrutta. Ha senso distruggerla per salvaguardare gli interessi di un turismo di cui i maggiori beneficiari sono delle società finanziarie straniere mentre al paese rimangono le briciole? Non avrebbe senso che la comunità internazionale intervenisse in aiuto di questo paese studiando soluzioni per riequilibrare la situazione delle isole?
Le coste italiane in arretramento
In Italia, negli ultimi vent’anni dai fondali sono stati estratti 25 milioni di metri cubi di sabbia, poi in aggiunta vi è quella proveniente dalle cave nelle pianure o prodotte dalla frammentazione delle rocce. Dai dati dell’ISPRA, abbiamo circa 7500 chilometri di costa naturale, di cui 3400 sono litorali sabbiosi e di questi, quasi 1000 sono in arretramento.
Oltre il 23% della fascia costiera italiana entro i 300 metri è stata resa artificiale da opere e infrastrutture rigide. I fondali italiani hanno ormai terminato la sabbia necessaria ai ripascimenti.
Le splendide spiagge delle Canarie
Le Canarie per rialimentare le proprie spiagge usano la sabbia del Sahara Occidentale, che non essendo adatta viene continuamente erosa e, conseguentemente, continuamente rialimentata. Se un giorno questo territorio tornerà di proprietà del suo popolo legittimo, dimenticato dal mondo – i Sahrawi-, questi si troveranno privi di una parte del loro suolo grazie anche agli interessi geopolitici che legano il Marocco (che rivendica e occupa questo territorio) e la Spagna che, anche a nome dell’Unione Europea, difende ed amplia i progetti “estrattivisti” nel territorio nordafricano.
Il mercato illegale della sabbia
Vale anche la pena spendere due parole sul mercato illegale della sabbia, sui cartelli della sabbia che depredano regioni africane o indiane, dove spesso con la complicità del buio si “scannano” i fiumi per prelevare l’“oro” sabbioso necessario per costruire le nuove città green. Un circuito che vede legati ispettori e poliziotti corrotti, caporali e poveracci (spesso donne e bambini) che dopo un giorno di lavoro si portano a casa qualche decina di euro.
Del resto, gli acquirenti non sono interessati alla provenienza legale o meno della sabbia. Un mercato nero che oscilla tra i 200 e 350 miliardi di dollari l’anno e che si aggiunge a quello del disboscamento, dell’estrazione dei minerali rari, e della pesca che sono i pilastri del nuovo neocolonialismo i cui effetti maggiori si riscontrano in Africa. Gli impatti ambientali di questa rapina incontrollata sono devastanti per gli estuari, inoltre favoriscono le inondazioni e nelle aree costiere sconvolgono la vegetazione e i fondali marini.
I delta in pericolo
Ritornando ai delta, la loro vulnerabilità è ormai evidente, in particolare dove sono sottoposti a forte pressione antropica. Questa non si manifesta solo attraverso l’urbanizzazione che ha significato distruzione di dune e sradicamento delle foreste di mangrovie, ma anche con la destabilizzazione dei bacini deltizi e con la modifica delle loro caratteristiche idrografiche condotta attraverso l’urbanizzazione dei suoli, le pratiche invasive di agricoltura, le attività estrattive (anche della sabbia), l’irrigidimento idraulico attraverso dighe, serbatoi, energia idroelettrica.
In particolare nella fascia tropicale, l’estrazione della sabbia, l’agricoltura intensiva, l’acquacoltura praticata a spese delle mangrovie, l’urbanizzazione informale e turistica ha reso vulnerabili territori e ambienti delicatissimi con impatti sociali e ambientali rilevanti, essendo territori dove le pratiche di “estrattivismo” sono attive fin dall’avvio della colonizzazione occidentale.
La sabbia protegge le coste
Per salvaguardare un litorale, la sabbia è la migliore protezione perché dando vita alle dune interagisce in modo dinamico con venti, acqua e vegetazione. Inoltre, conserva l’acqua piovana, la filtra e rigenera la falda. I sistemi dunosi sono delle barriere dinamiche contro le mareggiate, l’eliminazione delle dune così come delle foreste di mangrovie li possiamo considerare come dei delitti contro il pianeta e anche l’umanità.
La Ilha de Santa Caterina
Floripa (Florianopolis) è la capitale dello stato di Santa Caterina in Brasile, e si trova sotto Curitiba e sopra Porto Alegre. La città è cresciuta, molto, in un sito straordinario che intreccia la costa, un’isola, due lagune e il mare aperto. La Ilha de Santa Caterina vista la sua vicinanza con la costa ha permesso ai portoghesi di fondare una città e diversi villaggi di pescatori lungo le lagune interne (baia norte e baia sul) e oggi l’area urbana di Florianopolis conta più di 500.000 abitanti e riguarda due penisole che quasi si toccano.
Come tutte le urbanizzazioni ha invaso spazi che non andavano toccati, come le baie vicino alla città o lungo la Praia dos Ingleses creando situazioni che stanno già ponendo problemi di rischio costiero.
Le dune sabbiose della Joaquina, a Florianopolis, Brasile
Sull’isola le urbanizzazioni lungo le strade denunciano un intenso consumo di suolo. Vi sono poi le dune che ne rendono evidente il grande patrimonio naturale. I loro nomi sono evocativi, geografici e culturali: dunas des Ingleses, duna do Santinho, ma tra queste due e l’oceano è cresciuta una densa urbanizzazione e oggi il mare avanza, erode la costa ed è lecito supporre che le dune non potranno salvare gli edifici turistici esistenti, sempre che non si costruiscano delle barriere artificiali.
Proseguendo troviamo delle spiagge sabbiose straordinarie dalle quali non si vedono le urbanizzazioni retrostanti come la dunas de Moçambique, e ancor più la Joaquina, uno dei punti più straordinari dell’isola con la sua lunghissima spiaggia sabbiosa, frequentata dai serfisti e delimitata da un sistema dunale che appartiene al Parque Natural Municipal das Dunas da Lagoa do Conceinção. Lungo 10 chilometri di costa si alternano vere e proprie colline sabbiose con vaste aree di vegetazione che le fanno sembrare delle foreste basse e arbustive, alternate a rilievi sabbiosi che rammentano il Sahara e quando piove intensamente gli avvallamenti si riempiono d’acqua che viene trattenuta e filtrata dalla sabbia rialimentando la falda. Fortunatamente qui l’edificazione è lontana.
Come progettare il territorio
Non si può parlare di “Nature Based Solution” in astratto: questo concetto, che dovrebbe diventare operativo nella nostra progettazione del territorio, deve alimentarsi della conoscenza dei siti e da quelli trovare gli stimoli per ripensarli. Si dovrebbe parlare di “Site Based Solution” e forse anche di “Historical Site Based Solution” visto che esempi non mancano di integrazione tra natura e artificio ma serve quel senso del limite e della misura che abbiamo perso da almeno centocinquant’anni.
Se Volano diventasse una piccolaJoaquina
Il nuovo governatore della Liguria ha recentemente affermato un pensiero non condivisibile, ma probabilmente vero:“affermare di bloccare il consumo del suolo è pura demagogia, non avverrà mai”, quindi nuova sabbia per modernizzare e rendere competitivo il paese e del resto tutti i progetti infrastrutturali che lo attraversano: dal ponte sullo stretto di Messina, ai nuovi passanti e autostrade per congiungere più facilmente le città pianura padana, avranno impatti devastanti sul lungo periodo anche se forse difficilmente percepibili perché coperti dalle retoriche dello sviluppo sostenibile. L’ISPRA ci conferma che Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto continuano ad essere gourmand di suolo da consumare (e dunque anche di sabbia) e con loro tutto il paese.
Con questi pensieri arrivo alla mia auto, parcheggiata dietro ciò che resta delle dune di Volano, che riguardo prima di salire pensando a come sarebbe bello se questo sito diventasse una piccola Joaquina, che non rifiuta il turismo balneare ma lo adegua alla fragilità del sito. In fondo non ci vuole molto, solo un po’ di volontà politica associata ad una adeguata cultura ambientale.
Cover: La mareggiata a Volano. Foto di Romeo Farinella. Del medesimo autore sono le foto che corredano l’intervento.
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Arriva Natale, i libri sotto l’albero sono la sorpresa più bella. E in questo periodo (ma non solo), “Tutto è possibile”, anche che un lupo e una pecora, nemici da sempre, si uniscano per realizzare un sogno. Giulia Belloni ci racconta questo miracolo, in un libro edito da Kite.
Non tutte le pecore sono uguali. La nostra non ha paura di nulla e un giorno propone al lupo, suo timido amico, di costruire una macchina volante. Certi sogni possono sembrare impossibili da realizzare, però è anche vero che ci sono poche pecore coraggiose e pochi lupi incerti, e che nella vita, comunque, non si sa mai. In fondo volare è un po’ come sognare, prima di tutto bisogna saper staccare i piedi da terra. Poi si vede.
“Tutto è possibile”,scritto da Giulia Belloni e illustrato da Marco Trevisan, edito da Kite, ha tanti messaggi che ci piacciono. Perché siamo sognatori e ammiratori dell’utopia. Noi adepti del “se puoi sognarlo, puoi farlo” amiamo queste storie.
Il viaggio di questo delicato albo aiuta i piccoli (e i grandi) lettori a comprendere che anche i sogni che sembrano impossibili possono, invece, realizzarsi nella vita, basta crederci e perseverare. Ma soprattutto spiega che collaborando e condividendo il proprio tempo e le proprie esperienze con gli amici (ma anche i nemici di sempre che si uniscano per realizzare un sogno), si possono raggiungere gli obiettivi più facilmente, anche divertendosi. Liberi di scegliere di vedere le cose da vicino o da lontano. Liberi di osare.
Un viaggio che esalta le idee e l’impegno, un viaggio oltre i propri limiti, alla ricerca della libertà. Verso i desideri, senza dubbi o paure.
Un albo ricco di speranza, perché chi sogna impara a volare.
Giulia Belloni, Marco Trevisan (illustratore), Tutto è possibile, Kite edizioni, Padova, 2021, 32 p.
La parola CLIMA ci porta un senso di stabilità, di qualcosa su cui possiamo contare. Ecco perché, quando attraversiamo il nostro presente, non trovo giusto parlare di cambiamento climatico, perché il clima l’abbiamo perso e viviamo un transitorio veloce. Le cose che un tempo erano ferme, almeno nell’arco di una vita umana, ora le vediamo muoversi.
Le piene del nostro grande fiume, divulgate dai media, danno portate di un terzo rispetto a pochi anni fa, e i rovesci che provocano le disastrose inondazioni sono locali, e non lo gonfiano. Nei lunghi mesi di magra il mare ne risale il corso, e i sedimenti deltizi scarseggiano. Tutto ciò che da terra alimenta il mare nostrum è diminuito: i ghiacciai alpini sono quasi estinti, tutti i fiumi che dovrebbero alimentarlo sono messi come il Po, e l’evaporazione è più intensa per l’aumento delle temperature di aria e acqua.
Si osserva invece all’opposto un aumento del livello del mare, sia pure di pochissimi centimetri. Le cause: la dilatazione termica dell’acqua, che si sta scaldando, ma il fattore preponderante è dato dai due ingressi: lo Stretto di Gibilterrae il Canale di Suez. Occupiamoci per ora solo del maggiore, trascurando Suez.
Sappiamo che gli oceani terrestri salgono, per effetto della fusione di tutti i ghiacci: Groenlandia, Antartide, e le coste delle regioni polari. La banchisa Nord è già nell’acqua, e fondendo ne lascia il livello inalterato. La velocità dell’aumento è destinata a salire, dato che le emissioni climalteranti crescono, causando un feed-back positivo: il permafrost inizia a fondere, e libera il metano che contiene in quantità, regioni come Siberia e Groenlandia sono un esempio. Il metano svolge un effetto serra pari a 40 volte quello dell’anidride carbonica.
Dunque l’Atlantico che sale travasa da Gibilterra le sue acque nel Mediterraneo, unitamente ai meravigliosi organismi che in esse vivono. Ancora non siamo riusciti ad estinguere i grandi mammiferi marini, ma ci stiamo provando: gli air-gun delle ricerche petrolifere, che devono fare un’ecografia dei fondali, provocano onde sonore subacquee di grande intensità. Esse danneggiano le membrane timpaniche dei cetacei, che sono epidermiche, adatte a captare i loro linguaggi sociali. Capodogli e balenottere perdono la capacità di orientarsi, e finiscono spiaggiati.
A questo punto non resta che sognare. Sognare che tutti i paesi del Mediterraneo si uniscano in un condominio “Mare Nostrum” per colmare gran parte dello Stretto, limitando il flusso di acqua oceanica in ingresso. Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Libano, Siria, Turchia, Grecia, Albania, Ex Iugoslavia, Italia, Francia, Spagna, possono contribuire alla colmata, ognuno secondo le proprie possibilità, per preservare le condizioni delle loro coste. La parte politica è la più difficile dell’operazione.
Cosa mettere sul fondale? Anche questa è politica, ma nella nostra civiltà dello spreco non dovrebbe essere difficile: rottami ferrosi, carrette dei mari, armi obsolete, cemento di risulta da rinaturalizzazioni ad esempio. Esportiamo rifiuti di ogni genere nel terzo mondo, soprattutto se ci comprano armi: sono morti giornalisti che volevano far luce su questi traffici. Bisognerà stare attenti che non siano rifiuti tossici o radioattivi, cosa all’ordine del giorno. Abbiamo anche industrie dismesse che rimangono in piedi come cattedrali nel deserto, in scenari da day after. Possiamo poi chiedere informazioni agli Emirati Arabi, che in mare ci costruiscono isole. Anche in Italia facciamo dighe foranee.
L’entità della colmata, che comunque deve lasciare un corridoio per le creature marine e per le navi, sarà poi da determinarsi per approssimazioni successive, e magari con una specie di MOSE aggiunto per la regolazione fine in corso d’opera.
Vorrei aggiungere un commento-sintesi per il lettore volonteroso che fosse riuscito a leggere fino a qui. Ci vuol poco a prevedere che non avverrà nulla di tutto questo programma, ed è per la stessa ragione che nulla di serio viene fatto per il riscaldamento globale.Lo si riconosce, ma essendo cosa sgradevole viene rimossa. Sarebbe perfettamente contrastabile, porterebbe una enorme quantità di posti di lavoro, ma il pensiero di abbandonare attività redditizie è così intollerabile per i titolari, che si preferisce organizzare il negazionismo. Questa opera sarebbe indubbiamente titanica, e costituirebbe una svolta epocale. Essa non si dovrebbe limitare all’abbandono dei combustibili fossili, ma investirebbe tutti i fondamenti del pensiero unico, il mito del guadagno e del successo, lo stile di vita, l’alimentazione, la sovrappopolazione. Se torniamo al Mare Nostrum, ci accorgiamo che anche questa Grande Opera non è che un tassello di quanto deve accollarsi questo Uomo Nuovo. Noi vecchi non possiamo che fargli gli auguri, chiedere scusa non serve.
Bilancio Campagna OSM (Obiezione alle spese militari) DPN 2024 a Ferrara
Si è conclusa per il ventesimo anno la campagna Osm a Ferrara rilanciata in città dalla Rete Lilliput e in qualità di coordinatore dell’iniziativa vi informo sul bilancio 2024.
Risultati:
le adesioni sono state 181 e i soldi raccolti euro 4655 (in allegato la ricevuta del versamento alla Fondazione Langer); sono numeri che si avvicinano moltissimo a quellli record dello scorso anno (nel 2023 182 aderenti e raccolti 4710 euro) . Per completare il quadro comunico che ci sono stati 11 rinunce, 1 rientro e 9 nuove adesioni.
Dunque possiamo parlare ancora di ottimo risultato anche se la realtà che ci circonda è purtroppo lontana dall’affermazione di una cultura di pace; in ogni caso il risultato della campagna è un bel segnale.
Voglio ringraziare particolarmente le persone che hanno collaborato fattivamente per la buona riuscita della Campagna: Mambelli Alessandra, Chiappini Cecilia, Chiappini Anna, Trabucco Paolo, Lugli Brunella, Rigosi Gian Luigi, Marchi Marzia e tutte le 181 persone che hanno aderito.
Ricordo che i nostri fondi sono fondamentali per la prosecuzione del progetto , per il recupero della memoria e il ristabilirsi di relazioni “umane” tra le persone delle diverse etnie, E’ dunque molto importante essere riusciti ancora una volta a raccogliere una cifra che consentirà a questi ragazzi (che hanno costituito un’autonoma associazione) di continuare nella loro opera, in particolare la gestione del Centro di documentazione della memoria.
Ci scrive Edi Rabini della Fondazione Langer: Da parte mia un grazie di cuore per la vostra generosità e continuità in questa donazione collettiva, più che mai preziosa in un momento ancora difficile per chi si impegna a Srebrenica.
Tempo del pittore, tempo del cineasta. Alcune riflessioni su liturgia e arti figurative
Pubblicato in: Il giornale di Rodafà
In un suo famoso libro, Tempo della Chiesa, tempo del mercante, J. Le Goffindividuava la fine della sovrapposizione, o meglio della perfetta coincidenza, fra tempo liturgico e tempo quotidiano che aveva caratterizzato l’Europa continentale – ad esclusione della Russia – per tutta l’epoca medioevale, facendo coincidere questo cambio di prospettiva e di percezione, con l’installazione dei primi orologi e delle prime campane sulle torri civiche delle città.
Questa improvvisa apertura verso un tempo “laico” impiegherà diversi secoli prima di concretizzarsi, specie nelle campagne. Qui, ancora nell’Ottocento, le campane delle chiese non avevano affatto perso il loro ruolo extra-liturgico, strettamente legato al quotidiano. Oltre a scandire ancora la Liturgia delle Ore, indicando Lodi, Ore Medie e Vespri, le campane chiamavano a raccolta gli abitanti in caso di incendio, inondazione e persino rivolte(1).
Allo stesso modo, la tradizione delle Vigiliae (i turni di guardia delle sentinelle sopra le mura), che si sviluppa in ambito cittadino nel Medioevo, ha dato luogo ai tre Notturni, riuniti poi in un’unica celebrazione – il Mattutino.
Esisteva quindi un legame, un interscambio fra vita liturgica e vita quotidiana. L’arte sacra, che pure di liturgia era permeata, impiegò meno tempo a liberarsi dei simboli liturgici veri e propri, anche se le rappresentazioni strettamente liturgiche, specie del sacramento della Comunione, ma anche di altri momenti del culto, si diffusero moltissimo grazie all’arte della stampa popolare, giungendo fino al tardo Ottocento.
Se prendiamo in esame una delle cosiddette natività di notte di Lorenzo Lotto, quella dipinta nel 1523 e conservata alla National Gallery, vi troveremo ancora una molteplicità di simboli sacri(2). Contrariamente ad un affresco, la cui collocazione ideale era all’interno delle chiese (absidi, navate, cappelle votive) o dei palazzi nobiliari, il quadro era quasi esclusivamente riservato al committente e alla sua famiglia.
Ciò che vi era dipinto doveva servire a richiamare l’attenzione del riguardante ai Vangeli, alla vita di Gesù e dei Santi, più raramente all’Antico Testamento, per farne memoria o suscitare in lui pietà e compassione (si pensi ad una Crocifissione o ad un Compianto di Cristo).
Diverso il caso dei richiami all’antichità classica, alla mitologia, al paganesimo antico – tanto per usare un’espressione cara ad Aby Warburg – presenti in tanta pittura del Rinascimento. Un insieme di figure, segni e simboli che metteva in gioco la cultura stessa del committente e dei riguardanti. Attraverso l’astrologia e la mitologia, richiamava poi un sistema di fedi, leggende e credenze rituali, in cui l’Oriente si fondeva con l’Occidente, mai del tutto abbandonato (3).
Torniamo alla funzione liturgica dell’arte sacra. Come si può intuire da quanto affermato, per collocazione e sistema iconico, essa costituiva anche un elemento o un’estensione dello stesso rito liturgico, a seconda che l’affresco o la tela si trovassero nella chiesa o nell’abitazione. L’introduzione della figura del committente nell’affresco e poi nel dipinto, inizia lentamente a disgregare questa funzione, ponendo l’accento sull’individuo: un elemento “laico” che acquisterà sempre più importanza.
Un altro elemento disgregante fu la volontà di rappresentare le scene religiose, come fossero vedute della vita cittadina o di corte (si veda, già nel Trecento, la Maestà senese di Simone Martini, o la più tarda cappella Brancacci a Firenze, ad opera di Masaccio e Masolino); elemento accentuato dagli intenti celebrativi delle Signorie (Camera picta e Ciclo dei mesi a Mantova e a Ferrara).
L’invenzione del ritratto volgerà poi ulteriormente la pittura verso la dimensione individuale, fino a giungere all’apoteosi, con la pittura fiamminga dei secoli XV e XVI, che T. Todorov considera un vero e proprio “elogio dell’individuo”(4).
L’irruzione nella scena della figura del committente e poi dell’individuo, finisce dunque per togliere sacralità all’arte, slegandola da quel sistema simbolico che ne faceva complemento ed estensione della liturgia. L’evoluzione artistica dei secoli successivi al XVII farà il resto, completando l’opera di laicizzazione delle immagini.
Sul finire dell’Ottocento però, e ancor più negli anni Venti e Trenta del Novecento, assistiamo alla nascita di una nuova forma di liturgia, una liturgia totalmente “laica”. Mi riferisco all’invenzione del Cinematografo e allo sviluppo successivo dello Star System. Il cinema inizia ben presto ad essere visto in modo collettivo: nelle sale si sviluppa una precisa ritualità, affatto sacra, come gli studi di G. Brunetta hanno dimostrato (5).
La pellicola proiettata sullo schermo è vissuta e partecipata dagli spettatori, che ruggiscono all’apparizione del leone della Metro, si scambiano effusioni durante le pudiche scene d’amore dell’epoca, mentre i bambini presenti fingono di sparare con le dita ai pellerossa che cavalcano sullo schermo, inseguendo la diligenza di turno. Una vera assemblea riunita per condividere; quasi una messa animata, potremmo dire.
Gli attori hollywoodiani più famosi poi, affiancano o sostituiscono i santi nell’immaginario e nella devozione popolare: nel Sud, accanto all’immagine di Santa Rosalia, compare quella di Rodolfo Valentino. Il cineasta diviene così una sorta di nuovo sacerdote, colui che mette in scena un rito collettivo nuovo. Proprio come un sacerdote, egli ha il compito di celebrarlo, di farlo funzionare, la venerazione spetta ad altri, agli attori, sostituti dei Santi.
Tuttavia i primi film di finzione che ottengono un grande successo di pubblico (si pensi aifilm d’art francesi), sono a carattere storico o religioso. Le Vite di Gesù prodotte nei primi trent’anni della storia del cinema sono innumerevoli e fra loro molto simili. Ricalcano infatti gli avvenimenti universalmente noti dei Vangeli, ma non hanno quasi più scopo celebrativo, come nell’arte sacra, né ancora riflessivo (come sarà per Il Vangelo secondo Matteo di P.P. Pasolini), solo intenti didascalici e morali.
Soltanto nel secondo dopoguerra il cinema inizierà a porsi interrogativi di ordine religioso. Un precursore può essere considerato C.T. Dreyer che, sin dalla Passione di Giovanna d’Arco (1928) e poi soprattutto con Ordet (1955), compie una riflessione profonda sul significato salvifico della parola evangelica.
Dreyer adotta uno stile essenziale, fatto di frequenti inquadrature ristrette, così da permettere allo spettatore di concentrarsi su piccole porzioni di spazio, che fanno a loro volta da contraltare all’esaltazione del dono profetico, visto in entrambe le pellicole come una sorta di zona d’ombra fra follia e santità.
Molti sono i film che trattano in modo esplicito, o contengono al loro interno, argomenti a carattere religioso, e non è mia intenzione occuparmene, quanto piuttosto fornire alcune riflessioni sul ruolo e l’immagine della liturgia nel Cinema.
Ogni volta che una pellicola mostra scene liturgiche in senso stretto, ci troviamo davanti, per quanto detto sopra sulla ritualità della fruizione cinematografica, ad una sorta di cinema meta-liturgico, che mostra cioè una liturgia nella liturgia, un rito nel rito.
Quanto appena sostenuto, contribuisce a spiegare l’enorme successo di un’opera come Jesus Christ Superstar (N. Jewison, 1973). Il film mostra, demistificandola allo stesso tempo, oltre alla vita di Gesù, anche l’origine della ritualità liturgica cristiana (Domenica delle palme, ultima cena, passione e crocifissione), ma lo fa, per quanto affermato, all’interno della ritualità cinematografica.
Non è tutto. A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta (specie dopo Woodstock), si consolida una nuova forma di ritualità di gruppo, quella dell’happening musicale, del concerto all’aperto o negli stadi; una ritualità inneggiante alla demistificazione dei valori tradizionali, vissuta come forma estrema di libertà, anche dagli stessi riti sociali precedenti. Un nuovo rito insomma, un rito di “rottura” che ha, in piccolo, quasi la stessa forza eversiva sulla società, dell’assemblea cristiana.
Tornando al film, ecco allora che ci viene mostrata la nascita della ritualità cristiana, attraverso una doppia ritualità visiva e sociale: l’happening musicale ed il cinema. Gli effetti, fra loro sovrapposti, di queste tre forme di ritualità, fanno di Jesus Christ Superstar un film dotato di un’enorme potenza di rottura e di conservazione al tempo stesso.
Ne La messa è finita (N. Moretti, 1986), il protagonista, Don Giulio – che veste sempre, in modo significativo, l’abito talare tradizionale – al suo ritorno, dopo aver trascorso molti anni su di una piccola isola, si scontra con l’indifferenza, la solitudine, persino la crudeltà gratuita, della società odierna. Ogni suo tentativo di riportare il reale all’interno del sacro, è destinato a fallire.
Tra nevrosi tipiche di Michele Apicella (l’alter ego di Moretti nelle pellicole precedenti), relazioni familiari, amicizie e corsi prematrimoniali fallimentari, Don Giulio capisce che oggi non v’è più alcun posto per la sacralità: del matrimonio, dell’amore e della vita coniugale, dello stesso abito talare – la celebre scena della fontana (6).
Tornerà così alla sua isola, scegliendo la solitudine in modo consapevole, con l’unico risultato di aver impedito alla sorella di abortire. Significativa è qui la figura dell’amico sacerdote che ha rinunciato all’abito per farsi una famiglia. Appare inizialmente come l’unica persona felice del film, ma finirà poi per rivelare silenzi e assenze, sintomi certi di inquietudine e smarrimento.
Vorrei chiudere con alcune considerazioni sul ruolo salvifico della liturgia, intesa come ultima risorsa praticabile di fronte alle catastrofi. Il finale de La guerra dei mondi (B. Haskin, 1953), tratto dal celebre romanzo di H.G. Wells, ci mostra una folla di newyorkesi riunita in chiesa per pregare, di fronte alle distruzioni operate in città dalle macchine tripodi marziane.
L’esercito e l’aviazione non sono riusciti a fermarle, la preghiera collettiva è l’ultima ratio, l’ultima risorsa rimasta di fronte alla catastrofe inesorabile. Puntuale il miracolo si verifica: le macchine marziane si accasciano al suolo, gli alieni, già contagiati dai virus terrestri, muoiono tutti, ponendo così fine all’invasione.
Allo stesso modo, ma con diverso risultato, in 2012 (R. Emmerich, 2009), la folla riunita in San Pietro, per scongiurare la fine del mondo, riceve come risposta “divina”, il crollo della basilica stessa, che inizia con la formazione di una profonda crepa nel celebre affresco di Michelangelo, proprio nel punto in cui le dita dell’uomo e del creatore quasi si toccano, producendo così un suggestivo effetto di separazione delle due figure, presagio di estrema sventura – l’alleanza tra Dio e l’uomo si è spezzata.
Anche ne La notte di San Lorenzo (P. e V. Taviani, 1982), una parte degli abitanti del paese si riunisce in Chiesa e celebra l’eucarestia sotto la tacita minaccia delle truppe tedesche, il cui comandante ha promesso una salvezza effimera, a cui i fedeli vogliono credere (ma li uccideranno tutti). L’ostia consacrata non basta per i presenti, ed allora le donne iniziano a spezzare alcune pagnotte di pane.
È un ritorno ad uno dei significati originari dell’eucarestia, qui intesa come nell’ultima cena: forma estrema di condivisione e purificazione prima della morte. Valore tradito, ma anche esaltato, dalla crudeltà nazista, che avrà il suo riverbero nell’incredulità del vescovo, ferito dall’esplosione della bomba nella chiesa piena di gente, mentre aiuta una madre a raccogliere il corpo esanime della figlia.
Abbiamo visto come, nel periodo della pittura sacra, liturgia arte e quotidianità andassero di pari passo, mentre la nascita di una nuova ritualità dell’immagine, ha concretizzato ancor più quella sfasatura introdotta nella percezione del tempo, dall’abbandono della pratica condivisa della Liturgia delle Ore, in epoca moderna, ma anche dello stesso memento mori.
L’estrema spettacolarizzazione a cui tende il cinema contemporaneo dei blockbusters, considera sempre più la rappresentazione degli elementi liturgici come un sorta di rito contro il male, quasi fosse la manifestazione di un vecchio superpotere, un tempo efficace contro demoni e catastrofi, risolte oramai in modo individuale (si veda il finale di 2012, con le arche high tech costruite dai cinesi, o ancora quello di Constantine, il cui protagonista è così astuto da ingannare lo stesso Satana).
Una vecchia e superata forma di lotta contro il male dunque, di cui non si sente più il bisogno, perché i confini tra bene e male sono quanto mai incerti, e il rovesciamento di significato è pratica consueta, quando la stessa simbologia sacra è ridotta ad una scarna simbologia new age.
NOTE
(1) Si veda in particolare S. Cammelli, Al suono delle campane. I moti del macinato (1869), Franco Angeli, Milano, 1984.
(2) Vediamone alcuni. Ai piedi della culla di Gesù stanno, rispettivamente a destra e a sinistra, una piccola botticella di vino e un sacchetto rigonfio. Essi stanno a ricordare, a mio parere, l’inizio e la fine della vita miracolosa di Gesù: le Nozze di Cana e il tradimento di Giuda. La Vergine e S. Giuseppe, inginocchiati presso la culla, compiono due gesti significativi: la madre di Gesù ha le braccia incrociate sul petto nel gesto, identificato da C. Frugoni, dell’obbedienza. Le braccia formano una croce (quale miglior forma d’obbedienza?), ricordando così al riguardante la morte del Cristo, come del resto fa la grande croce in legno appesa al muro, alle spalle del terzetto. S. Giuseppe è invece ritratto manibus junctis, gesto che si diffuse a partire dal XII secolo, grazie all’influsso francescano e per analogia con la recommandatio feudale.
(3) Si vedano in particolare gli studi di A. Warburg e F. Saxl. (4) T. Todorov, Elogio dell’individuo. Saggio sulla pittura fiamminga nel Rinascimento, Apeiron, Roma, 2009.
(5) Si veda soprattutto: G. Brunetta, Cent’anni di passioni. Lo spettatore cinematografico in Italia, Marsilio, Venezia, 1989.
(6) Sceso dal furgone della sua parrocchia per protestare, in modo più che civile, contro un uomo anziano con due figli (o tirapiedi, non si capisce), che gli avevano sottratto il parcheggio, Don Giulio, che indossa l’abito talare, viene ripetutamente immerso in una fontana con la testa. La scena è agghiacciante: ogni volta che il sacerdote emerge chiedendo spiegazioni, in modo sempre civile, viene nuovamente immerso nella fontana dai tre, sempre più a lungo. Mentre compiono questo gesto umiliante, pur usando la forza, i tre continuano ad annuire con il sorriso sulle labbra, come se ascoltassero le parole di Don Giulio.
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Parte la collaborazionefra Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’ eLuoghi dell’Anima – Italian Film Festivaldi Rimini, Santarcangelo di Romagna e Pennabilli, nel nome di Tonino Guerra
La V Edizione di Luoghi dell’Anima – Italian Film Festival si terrà da martedì 10 a domenica 15 dicembre a Santarcangelo di Romagna, Rimini e Pennabilli.
Nato da un’idea e con la Presidenza di Andrea Guerra e la Direzione Artistica di Steve Della Casa e Paola Poli, il Festival di cinema sui territori e la bellezzaè promosso dall’Associazione Tonino Guerra e pone al centro i temi che sono stati al cuore della poetica del Maestro Tonino Guerra, tra grande cinema, poesia e letteratura.
L’edizione è dedicata ad Andrea Purgatori che,nella serata speciale di lunedì 9 dicembre, sarà ricordato, tra cinema e giornalismo d’inchiesta, al Cinema Fulgordi Rimini.
Andrea Purgatori, Andrea Guerra, Fulgor presentazione, Opera Omnia 2018, foto Associazione Tonino Guerra
Il 10 dicembre prenderanno il via le numerose attività. In programma, fra l’altro, la presentazione, a Santarcangelo di Romagna, de La vita accanto di Marco Tullio Giordana, premio per la regia, e una serie di film preceduti da incontri con l’autore, tra cuiIl tempo che ci vuole diFrancesca Comencini, premio per la sceneggiatura, Palazzina Laf,di Michele Riondino, premio tra cinema e tv, La valanga azzurra, diGiovanni Veronesi, premio Luoghi dell’Anima e Un mondo a parte, di Riccardo Milani, Premio Luoghi dell’Anima.
La vita accanto, di Marco Tullio Giordana, Viola Basso, Sonia Bergamasco, foto Angelo Turetta
La Vita accanto, di Marco Tullio Giordana, Paolo Pierobon Sonia Bergamasco, Valentina Bellé, foto Angelo Turetta
Fra i film in concorso ‘opere prime e seconde’, che avranno la loro presentazione a Rimini,ci sarannoDall’alto di una fredda torre, di Francesco Frangipane, Il ragazzo dai pantaloni rosa, di Margherita Ferri, Nottefonda,di Giuseppe Miale di Mauro, Familia, di Francesco Costabile.
Numerose le masterclass e gli incontri con gli autori, fra i quali Marco Tullio Giordana, Matteo Garrone, Francesca Comencini, Riccardo Milani, Michele Riondino, Giovanni Veronesi, Pilar Fogliati e Vinicio Marchioni.
Matteo Garrone ph. Ottavia Da Re courtesy Gruppo Editoriale
A Pennabilli, al Museo Tonino Guerra, dal 10 al 12 dicembre, sarà presentato Riflessi – corti in concorso,selezione curata dalla Direzione artistica di Luoghi dell’Anima in collaborazione con il Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’(FFCF).
I cortidella sezione Riflessi di FFCF saranno proiettati anche alC’Entro – Supercinemadi Santarcangelo di Romagna e alFellini Museum – Cinemino di Rimini.
Queste le 16 opere selezionate,provenienti dallascorsa VII Edizione delFerrara Film Corto Festival “Ambiente è Musica”, tenutasi nel mese di ottobre 2024.
Sezione Corti Italiani • “Tu quoque” (Italia, 11′) di Luca Fattori Giombi • “Benzina” (Italia, 20′) di Daniel Daquino • “50mm” (Italia, 18′) di Joseph Ragnedda • “Il binario morto” (Italia, 24′) di Antonio Maciocco • “Sui tetti di chi dorme” (Italia, 15′) di Antonello Murgia • “Il fagiano” (Italia, 11′) di Emanuele Giacometti • “Il treno speciale” (Italia, 10′) di Luigi Cianciaruso Sezione Corti Esteri • “Trinidad” (Messico, 11′) di José Manuel Azuela Espinosa e José Azuela • “It takes a village…” (Armenia, 23′) di OpheliaHarutyunyan • “The One Note Man” (Regno Unito, 22′) di Jason Watkins Sezione Documentari • “Vision d’eté” (Italia, 20′) di Anna Crotti, Lucrezia Giorgi e Anaïs Landriscina • “Dr. Vaje” (Italia, 20′) di Carmelo Raneri • “Home” (Italia, 17′) di Valerio Armati e Nina Baratta • “The fisherman, the alien, the sea” (Italia, 9′) di Elisabetta Zavoli • “Radio perla del Tirreno” (Italia, 17′) di Noemi Arfuso • “Orme” (Italia, 14′) di Andrea Fabbri e Lorenzo Fantini
Lo Short film on tour, che comprende la selezione dei cinque cortometraggi finalisti dell’European Film Academy per il 2024 avverrà, anch’esso, fra Pennabilli, Santarcangelo di Romagna e Rimini.
Le premiazioni del Concorso opere prime eseconde e di Riflessi – Corti in concorso avverranno sabato 14 dicembre sera a C’Entro – Supercinema di Santarcangelo di Romagna.
Luoghi dell’Anima – Italian Film Festival è realizzato con il supporto di: Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna attraverso la Film Commission, Comuni di Pennabilli, Santarcangelo di Romagna e Rimini, Visit Romagna, APT Servizi Emilia-Romagna, Fondazione Culture Santarcangelo, Fellini Museum e Cineteca di Rimini.https://www.luoghidellanima.it/ Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’ èsostenuto e patrocinato dal Comune di Ferrara attraverso l’Assessorato alla Cultura e all’Ambiente, dalla Provincia di Ferrara e dalla Regione Emilia-Romagna. L’obiettivo è di esplorare il tema dell’ambiente in tutte le sue connotazioni, non limitandosi al tema del cambiamento climatico, ma considerando l’ambiente come luogo di connessione. Pone attenzione al cinema indipendente e ai suoi giovani autori, nonché all’innovazione come linguaggio delle nuove generazioni.https://www.ferrarafilmcorto.it/
Domenica 24 novembre la possente ma elegante Rocca dei Bentivoglio di Bazzano (Bologna) ha fatto da cassa di risonanza al canto variegato di donne impegnate in un laboratorio corale nella mattinata e successive esibizioni nel pomeriggio. Al laboratorio hanno partecipato le coriste e anche amiche e mamme delle coriste, provenienti da Ferrara, Schio, Adria e diverse donne di Bologna e Bazzano. Un evento organizzato dalle donne per la Giornata contro la violenza delle donne e che è giusto raccontare.
In apertura si è parlato della violenza sulle donne, di quanto grave sia un fenomeno che, nonostante le campagne di sensibilizzazione, continua a crescere in maniera allarmante in tutte le fasce della società. Si sono condivise preoccupazioni e riflessioni, prima di dare spazio alla musica e all’intreccio delle voci.
Protagonisti, sul piano musicale, tre cori femminili che in più occasioni si sono incontrati in rassegne corali nel territorio; questa volta il valore aggiunto è stato rappresentato appunto dalla formula vincente del laboratorio, già sperimentata qui e altrove in anni passati, sempre in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne.
Ospite e promotore dell’evento il Coro “Mosaico”, diretto da Marco Cavazza; il coro è nato a Monteveglio (Bo) nel novembre 2008 grazie ad un’iniziativa dell’omonima Commissione Pari Opportunità per creare un luogo di incontro e di scambio di molteplici tradizioni culturali e musicali. Dalla nascita è composto esclusivamente da donne di diverse provenienze (Italia, Romania, Marocco, Tunisia, Repubblica Ceca, Kosovo, Perù, Francia, Norvegia).
Dal 2014 il Coro organizza la Rassegna “DiamociVoce” interamente dedicata alla coralità femminile e dal 2018, in occasione della “Giornata mondiale contro la violenza alle donne”, realizza un laboratorio corale l’ultima domenica del mese di novembre aperto a tutte le donne che per un giorno vogliono stare insieme nel canto. Dal 2018 il gruppo fa parte delle iniziative culturali proposte in Valsamoggia (Bo) dalla Fondazione Rocca dei Bentivoglio.
Il Coro Femminile SonArte è un progetto artistico dell’Associazione Musicale e Culturale SonArte, nato nel 2010 e diretto dalla sua fondazione da Sonia Mireya Pico. È costituito da 38 donne impegnate in diversi ambiti professionali e di volontariato sociale e solidale che hanno l’interesse per il canto corale. Dal 2015 è iscritto all’AERCO. Dai suoi inizi si è proposto come uno spazio di aggregazione musicale aperto alle donne che hanno il desiderio di imparare a cantare in stile polifonico. Il coro si distingue per l’interpretazione di brani e melodie di genere tradizionale, folkloristico e popolare provenienti dalle diverse culture del mondo. Il Piccolo Ensemble SonArte è un progetto corale nato all’interno del Coro Femminile SonArte nel gennaio del 2023. L’organico vocale da camera, diretto da Sonia Mireya Pico, è costituito da 10 donne che hanno il desiderio di eseguire altri repertori, siano essi di genere tradizionale, popolare, antico e moderno realizzati in stile polifonico da differenti compositori e arrangiatori.
La storia del Coro Le Dinamiche comincia nel 2012, a partire da un corso di canto collettivo per ragazzi promosso dalla Scuola di Musica G. Fiorini di Bazzano, dalla Fondazione Rocca dei Bentivoglio di Bazzano e dalla Scuola di Musica “Banda Zanoli” di Castello di Serravalle (Bo). Da sempre, una grande attenzione è riservata alla preparazione vocale e alla scelta di brani, adatti alle giovani voci in formazione del gruppo originario, che negli anni sono cresciute e cambiate con il coro stesso. Il repertorio è principalmente pop/etnico, con riferimenti alla musica blues, a quella sudamericana e folk, con incursioni nella musica barocca o nel pop contemporaneo.
Rocca di Bazzano
Rocca di Bazzano ha una storia lunga e interessante: a dispetto della leggenda che la vuole costruita da Matilde di Canossa, le sue origini risalgono ad una data incerta ma sicuramente anteriore al Mille, nel periodo in cui in tutta l’area padana sorgevano castella o castra in difesa dalle invasioni barbariche. Le prime mura della fortezza vennero costruite nel 1218.
Nel corso del Duecento la Rocca viene assediata dai Bolognesi per ben due volte: nell’ultima (1247) essi riuscirono ad espugnarla e diedero ordine di demolirla completamente facendo trasportare le pietre a Monteveglio, dove furono utilizzate per una casa torre destinata ai funzionari bolognesi di quel borgo. La fortezza fu in seguito ricostruita da Azzo VIII d’Este tra il 1296 e il 1311, con successivi ampliamenti delle mura.
L’aspetto attuale dell’edificio risale però all’epoca rinascimentale, quando Giovanni II Bentivoglio lo trasformò in “delizia” signorile destinata alle vacanze in campagna.
Sia il laboratorio corale della mattina che le esibizioni dei tre cori nel pomeriggio si sono svolti nella Sala dei Giganti, la maggiore della Rocca, che presenta una partitura architettonica di colonne, entro le quali sono inquadrati paesaggi (forse raffiguranti Bazzano e altre terre dei Bentivoglio) e grandi figure di armati con gli stemmi dipinti sugli scudi.
Nella Sala dei Giganti
Le voci abilmente guidate e ispirate dai due diversi direttori (Sonia Pico e Marco Cavazza) si sono un po’ alla volta amalgamate e intrecciate nella polifonia dei brani proposti nel laboratorio (un canto tradizionale colombiano, una ninna nanna dell’Europa orientale, uno spiritual e un canto tradizionale scozzese) nella cornice delle pareti affrescate con i giganti quasi in attento ascolto.
In copertina: Esibizione del coro “Le Dinamiche” alla rocca di Bentivoglio di Bazzano, 24 novembre 2024
Per leggere gli articoli diMaria Calabresesu Periscopio clicca sul nome dell’autrice.
c’è un fiore
Che si accarezza
E provi
Tremore
Ma rara bellezza
Ti coglie
Nel suo bianco
Ricordo
Della neve
E unica sola
Un po’ nascosta
Nei prati
Inusi
L’aria fina
La luce dove cresci
Stella alpina
Stellantis: come erogare dividendi scintillanti senza vendere automobili
Stellantis: in latino, “scintillante”. Il logo, secondo i creatori, è «la rappresentazione visiva dello spirito di ottimismo, energia e rinnovamento di un’azienda diversificata e innovativa, determinata a diventare uno dei nuovi leader della prossima era della mobilità sostenibile».
Le prime pagine di notiziari, giornali e social network pullulano in questi giorni della notizia secondo cui il dimissionario/dimissionato AD di Stellantis (società nata dalla fusione tra Fiat Chrysler e PSA-Peugeot Citroen), Carlos Tavares, incasserebbe una buonuscita di 100 milioni di euro dopo avere gestito in maniera industrialmente sciagurata la società, in caduta libera sia nei ricavi, sia nel numero di auto vendute – con particolare crollo nel settore elettrico – sia, ovviamente, nel numero degli addetti, quando non già licenziati, spesso in cassa integrazione; per tacere dell’altrettanto grave problema di tutto l’indotto.
Non mi permetto in questa sede di fare considerazioni sulla crisi dell’industria nel nostro paese e in particolare del settore dell’ automotive in Europa, dentro la quale la situazione di Stellantis è un drammatico “di cui” (siamo anche alla vigilia di un imponente sciopero in Wolkswagen ad opera del più rappresentativo sindacato metalmeccanico europeo, la IG Metall). Sono talmente tante le variabili e le concause di questa crisi che mi sentirei inadeguato a fare un ragionamento non banale su uno dei processi economici che rappresentano in modo plastico – questo si può dire – i morti e i feriti lasciati sulla strada della “transizione ecologica”, quando non viene gestita con la indispensabile capacità strategica. Peraltro, gestire in modo appropriato, che si faccia gli ingegneri, i manager, i climatologi o i politici, un processo di questa portata non è affatto uno scherzo.
Quello che invece vorrei focalizzare è il rapporto, da molti considerato (giustamente) immorale, da molti ritenuto (meno giustamente) inspiegabile, tra gli emolumenti di Tavares – ricordiamo anche il suo ultimo stipendio annuo da 23 milioni di euro – e i pessimi risultati industriali del gruppo che ha guidato per quattro anni. Chi lo giudica immorale, disgustoso, fa una elementare considerazione umana, anche se forse figlia di un umanesimo naif, vista la spietatezza connaturata al rapporto globale tra capitale e lavoro. Chi lo giudica inspiegabile commette un errore di correlazione: pensa, sbagliando, che il valore attribuito dal Consiglio di Amministrazione a Tavares sia correlato unicamente ai risultati industriali dell’azienda. Non è così.
Se ti viene dato un obiettivo non prevalentemente industriale, ma prevalentemente finanziario, cioè garantire ai tuoi azionisti di riferimento dividendi stellari, tanto per stare in tema, e tu lo fai, il tuo obiettivo principale lo hai raggiunto. Negli ultimi quattro anni Stellantis ha fatto distribuire dividendi per circa 23 miliardi di euro. Negli stessi anni, tra il 2021 e il 2024, negli stabilimenti italiani dell’ex Fiat si è passati da 53.000 a 40.000 dipendenti: -25%. Senza minimamente preoccuparsi di distrarre i soldi (6,3 miliardi) prestati dal governo Conte 2 dallo scopo industriale cui erano destinati, Tavares senza alcuna opposizione distribuì 5 miliardi di utili agli azionisti – primo tra tutti Exor, la cassaforte degli Agnelli ed Elkann, primi responsabili di questa deriva. C’è un dato che racconta il succo della faccenda: lo Stato italiano ha erogato a Stellantis, in tre anni, 703 milioni in ammortizzatori sociali (cassa integrazione). Nello stesso periodo di tempo, Tavares si è portato a casa da solo un settimo di quella cifra, e la Exor circa due miliardi in dividendi.
Quando un amministratore delegato riempie le tasche degli azionisti di soldi e contemporaneamente sposta le produzioni fuori dall’Italia, peraltro commettendo gravi errori strategici – ma non tattici, se guardiamo alla consistenza del suo portafoglio – appare evidente che la sua mission principale aveva a che fare con la finanza, non con l’industria. Questa mission viene trasfusa negli accordi privatistici tra l’AD e la società, e questa “trasfusione” viene operata prima di conferirgli l’incarico: bonus legati all’andamento dell’azione nel breve termine, non solo nel medio e lungo. Bonus legati alla misura dei dividendi erogati ai soci. Patti chiari, amicizia lunga: lunga quel tanto che basta per diventare tutti ricchi sfondati, dove per tutti si intendono i contraenti del patto che privatizza i profitti e socializza le perdite. Molte aziende hanno aggiornato in questo senso da tempo le politiche di remunerazione del top management, e quelle che lo stanno facendo adesso seguono la cresta di un’onda scellerata. Questi patti indicano che la proprietà fa una scelta netta e inequivocabile a favore di uno stakeholder (se stessa) a scapito degli altri due: clienti e dipendenti(diretti e indiretti). Infatti, come si fa ad erogare utili monstre rischiando di mandare a picco le prospettive industriali di un’azienda? Si fa aumentando i prezzi delle auto e tagliando i costi, alias delocalizzando dove la manodopera costa meno ed espellendo personale. Peccato che poi le tue auto sono troppo costose, i clienti se ne accorgono e preferiscono comprare veicoli cinesi, e tu te la cavi dicendo che la colpa è del fatto che gli incentivi statali europei per favorire l’acquisto di auto elettriche sono troppo bassi.
Ci sarebbe qualcosa di osceno in questa ostentazione spudorata della propria arrogante autodifesa, se non fosse che è il concetto stesso di oscenità che va rivisto alla luce degli ultimi decenni di capitalismo finanziario. Abbiamo salutato con favore l’evoluzione libertaria del costume che ha spostato molto in avanti la frontiera del comune senso del pudore, ma forse abbiamo esagerato. Adesso il senso del pudore è morto, e con esso il ritegno e la vergogna.
La poesia è la danza del linguaggio.
La danza è la poesia del corpo.
Il corpo e il linguaggio che parla il tutto:
Ascolta, senti e vedi.
(Doris Kareva, In sogno ho visto il mondo, Bompiani, Firenze-Milano 2024, 263).
Porterò come me in quest’Avvento e lungo l’anno giubilare oramai alle porte come sogno d’ametista – quel saper vedere l’Oltre, oltre l’orizzonte degli occhi – una poesia dell’amico Daniele Borghini: Attendo il Tuo sguardo eterno, 4 maggio 2000. Ad ogni lettura, i suoi testi me lo ridonano al vivo, e tra le righe della pagina ascolto, sento e vedo il non ancora detto e il non scritto di quella danza del linguaggio che è la poesia, e con lei la speranza che è la poesia “del pellegrino sfiancato e claudicante”.
Attendo il Tuo sguardo eterno
il paterno abbraccio
ristoro senza fine
Quando giungerò a Te
pellegrino sfiancato e claudicante
avrò il cuore pieno di ruggine
ma in un battito d’ali
ogni cosa sarà pacificata
ogni lacrima seccata
La Croce sarà un diadema
incastonato nell’eternità
(La direzione dei miei passi ubriachi. Racconti e poesie, Nuove Carte, stampa Grisignano [VI], 167).
Noi pure pellegrini d’Avvento, perché la poesia rompe il guscio delle parole e, come da contorto e tormentato gheriglio, un germoglio spunta.
Noi pellegrini d’Avvento, perché la speranza, come da scorie di rugginoso e indurito ferro in fuoco di crogiolo, rende nuovamente incandescente la promessa antica: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra, vieni camminiamo nella luce del Signore» (Isaia 2, 4).
«Ecco, a te viene colui che è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato» (Zaccaria 9,9-10),
La poesia, come la speranza, è l’altro sguardo. È persistenza dell’umano nel disumano, della resistenza nell’annientamento. Poesia e speranza vanno infatti insieme e non sono evasione, illusione di cammino, anche quando questo si compie nei camminamenti di una trincea sul Carso nella prima Guerra mondiale.
Ce lo ha insegnato ancora una volta Giuseppe Ungaretti in quel Pellegrinaggio nelle trincee della sua omonima poesia. Il biancospino che prosperava nei giardini di Alessandria d’Egitto dov’era nato, lo ritrova in una «budella di macerie», ora immagine di se stesso: «sono cresciuto/ come un crespo/ sullo stelo torto/ mi sono colto/ nel tuffo/ di spinalba» (Annientamento, Versa il 20 Maggio 1916, Vita d’uomo, 49).
Seme di spinalba perenne sono la poesia e la speranza. Spinalba, spina argentata, bianco riccio (Eryngium spinalba), e pure il suo colore, quando muta, come quarzo d’ametista (Eryngium amethystinum). Pietra d’ametista il cui nome ἀμέϑυστος significa “contrario all’ubriachezza”, forza interiore, antidoto all’ubriachezza del potere e dell’inumana violenza di ogni genere.
In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascicato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinalba Ungaretti
uomo di pena
ti basta un’illusione
per farti coraggio
Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia
(Pellegrinaggio, Valloncello dell’Albero Isolato il 16 agosto 1916, Vita d’uomo, 46).
“Uomo di pena perennemente in agguato“
Uomo di pena come Ungaretti, il “nomade d’amore”, è chiunque non rinuncia alla propria bontà; chi resta umano nello scempio e nella liquefazione brutale del disumano, chi resiste nella sua spirituale corporeità come suola pur logorata e strusciata dal fango.
Così annota Ungaretti: «S’ingannerebbe chi prendesse il mio tono nostalgico, frequente in quei miei primi tentativi, come il mio tono fondamentale. Non sono il poeta dell’abbandono alle delizie del sentimento, sono uno abituato a lottare, e devo confessarlo – gli anni vi hanno portato qualche rimedio – sono un violento: sdegno e coraggio di vivere sono stati la traccia della mia vita.
Volontà di vivere nonostante tutto, stringendo i pugni, nonostante il tempo, nonostante la morte. Potrei così commentare Agonia, Pellegrinaggio, quelle poesie del primo momento, di Lacerba, o quelle già del Porto Sepolto, dove mi scopro e mi identifico, dentro gli orrori della guerra, nell’uomo di pena e, come tale, Ungaretti, uomo di pena, mi parrà di dovermi anche in seguito, sempre, identificare» (Note a L’Allegria, ivi, 518).
È con questa pena che m’inoltro anch’io nell’Avvento. Spinalba, un fiore di eringio violaceo, sarà mia compagnia anche nel pellegrinaggio dell’incipiente Giubileo. Che non è per la chiesa, né per se stessi: è per la povera gente, per l’umanità squarciata dal moltiplicarsi delle guerre. Un anno di grazia per i poveri, per le genti, un cammino in loro compagnia, durante il quale forse scoprirò come «i loro occhi sono pieni di tramonto,/ i loro cuori sono pieni d’alba» (Iosif Brodskij).
Indicibilmente e instancabilmente, senza sosta, perenni pellegrini con il viatico spirituale della speranza. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19).
Preghiera d’Avvento quando sbianca la speranza
Perché non ritorni
tra le nostre rovine
nella notte infinita
che fa impallidire le speranze?
Vieni
a lanciare il Grido
e che sia fermo
unico
impetuoso.
Fai tacere
queste nostre assurde battaglie.
Non più Croce
ma luce subito.
Istante eterno.
…
Saprò riconoscerTi
anche tra gli affanni
e
nel buio del mio orizzonte?
Riuscirò a vederTi
umile tra gli umili
Croce tra croci?
(Borghini, ivi, 157; 159).
Sempre in cerca di speranza perché “Spes non confundit”
La Lettera pastorale 2024-2025 del nostro vescovo Gian Carlo Perego titola Segni dei tempi, segni di speranza. Tra Sinodo e Giubileo. In essa si indicano i segni di speranza che ci interpellano oggi come singoli e comunità: la pace, apertura e cura della vita, la visita e il perdono ai detenuti, la visita agli ammalati, l’attenzione ai giovani, l’ospitalità ai profughi, migranti, rifugiati. Il settimo segno di speranza sono gli anziani.
In una parola: “dare speranza ai poveri”: «È un tempo per dare speranza, soprattutto ai poveri, che sono milioni di persone che soffrono per la fame, la sete, lo sfruttamento della loro terra e di loro stessi. Come cristiani che vivono il Giubileo che è libertà e liberazione, non possiamo guardare altrove e fingere di non vedere i poveri del mondo, o abituarci a loro. I poveri ci sono anche vicini: di casa, di lavoro, in parrocchia. Per i poveri vicini e lontani dobbiamo impegnarci nella carità e nella giustizia, nella condivisione delle risorse, anche della terra».
Tra le pagine del vescovo Gian Carlo si legge, in filigrana, anche la stessa lettera di papa Francesco per il Giubileo “Spes non confundit”/ la speranza non delude (Rm 5,5). Così scrive il vescovo Gian Carlo: «Sono segni di speranza i gesti e i progetti di accoglienza anche nelle nostre Chiese, segni di una cultura dell’incontro che va contro la cultura dello scarto e del rifiuto, ancora troppo presente e troppo alimentata da certa politica e comunicazione.
Gli esuli, profughi e rifugiati, li vediamo arrivare con i barconi (dopo una traversata del Mediterraneo per chi riesce) sulle nostre coste o attraversare i Balcani per giungere in Europa, costretti da guerre, cambiamenti climatici, miseria a lasciare il loro Paese.
Molti nelle nostre comunità, li vedono come degli sfaticati, degli approfittatori. Alcune donne di loro sono state anche fermate con delle barricate in un nostro Paese. Chiusure e pregiudizi sembrano alzare nuovi muri dentro e fuori. Invece è un popolo della vita – fatto di neonati, bambini, giovani, donne e mamme, uomini e padri, famiglie –, che è partito dalla sua terra animato solo dalla speranza di un futuro diverso, ma anche di incontrare un mondo diverso.
Le nostre comunità, la Caritas diocesana, hanno regalato bei segni di accoglienza in questi anni. Occorre che questi segni facciano cultura e diano speranza a noi e ai migranti, non restando momenti occasionali, ma segni a cui far seguire, la tutela, la promozione e percorsi di integrazione che riguardano non solo chi viene accolto, ma anche chi accoglie».
“Pellegrini di speranza”
È il motto scelto da papa Francesco per il Giubileo. Egli ricorda che «Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante. Per questo ho scelto il motto Pellegrini di speranza. Tutto ciò però sarà possibile se saremo capaci di recuperare il senso di fraternità universale, se non chiuderemo gli occhi davanti al dramma della povertà dilagante che impedisce a milioni di uomini, donne, giovani e bambini di vivere in maniera degna di esseri umani».
Il pellegrino di speranza, come il poeta Iosif Brodskij, non si ferma ad alcuna meta, né in se stesso, né in un luogo: «oltre Mecca e Roma,/ arsi da un sole livido/ vanno per la terra i pellegrini./ Storpi, gobbi,/ affamati, mezzo vestiti,/ i loro occhi sono pieni di tramonto,/ i loro cuori sono pieni d’alba».
Credere è non fermarsi alla propria fede e nemmeno a un Dio nel tempio. Nessuna meta né oceano né continente può fermarli. Essi riprendono infinitamente il loro andare verso ciò che brilla ancora oltre. Al poeta solo resta la speranza che della via è il canto.
Sulla pelle
ho sperimentato due oceani e due continenti,
mi sento quasi come il globo: non
c’è più un posto dove andare. Solo stelle
più in là. E brillano.
(Poesie 1972-1985, Adelphi, Milano 1986, 89).
Pellegrini
Oltre arenghi, tempietti,
oltre chiese e bar,
oltre monumentali cimiteri,
oltre grandi bazar,
oltre mondo e mare,
oltre Mecca e Roma,
arsi da un sole livido
vanno per la terra i pellegrini.
Storpi, gobbi,
affamati, mezzo vestiti,
i loro occhi sono pieni di tramonto,
i loro cuori sono pieni d’alba.
Davanti a loro cantano i deserti,
lampeggiano bagliori lontani,
le stelle ardono sopra di loro
e rauchi gridano per loro uccelli:
che il mondo resterà lo stesso,
sì, resterà lo stesso,
accecante di neve
e difficilmente tenero,
il mondo resterà falso,
il mondo resterà eterno,
forse, comprensibile,
ma tuttavia infinito.
Il che significa che non avrà senso
credere in se stessi e in Dio.
… Il che significa che rimarranno solo
le illusioni e la strada.
E siano tramonti sulla terra,
E siano albe sulla terra.
I soldati la concimino.
I poeti la cantino.
(Iosif Brodskij, Pellegrini. Strofe del secolo. Antologia della poesia russa Minsk-Mosca, 1995 in L’Osservatore Romano del 27 maggio 2024, 12).
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Quante volte noi donne ci siamo chieste se siamo abbastanza belle o in forma? Se la giacca evidenzia troppo i fianchi o il pantalone non scende abbastanza bene su delle gambe non così da Barbie, oppure diamo di matto se i capelli, ormai annichiliti dagli infiniti colpi di piastra, non sono perfettamente lisci come appena uscite dal parrucchiere? Quante volte ci siamo paragonate ad inarrivabili icone di bellezza degli anni ‘90, o peggio, a icone di bellezza “anni Plastica” dei giorni nostri?
E non si è neanche capito se in fin dei conti ci preoccupiamo di apparire al meglio per noi stesse, oppure per gli altri… forse entrambi. E poi al meglio SECONDO CHI?? Chi vogliamo vedere riflessa allo specchio? La nostra immagine o direttamente l’immagine di qualcun’altra?
Vorrei citare l’audacia di quel “Pensati libera” dell’edizione del festival di Sanremo 2023, diligente tentativo di racchiudere tutto il femminismo nozionistico del 21esimo secolo, che, così strutturato, a mio parere, avrebbe avuto più senso sulle divise carcerarie di condannate all’ergastolo rinchiuse ad Alcatraz, ma tutto sommato una bella frase, che comunque, se riformulata, può risultare di ispirazione.
Il punto infatti non è “pensarsi” libere, ma esserlo, e magari, rendercene conto, perché di fatto lo siamo, e sta solo a noi mettere in pratica quel meraviglioso diritto, che ci appartiene sin da quando siamo al mondo, che è la sacrosanta LIBERTÀ, diritto inviolabile dell’essere umano.
Sta a noi prendere coscienza dell’effettivo potere che abbiamo su di noi con la nostra libertà, il potere di scegliere, di vivere ogni singolo attimo della nostra vita coscienti che solo ciò che facciamo determina chi siamo, non gli altri e i loro giudizi, non la prevedibile banalità di uno stereotipo, non l’astratta perfezione ostentata dai social, non le campagne promozionali di un nuovo cosmetico miracoloso o vestito.
La nostra libertà è un diritto e un dovere, perché saremmo dei folli a non viverla a pieno, dall’inizio fino al nostro ultimo giorno di vita: liberi dai dettami di una bellezza prettamente estetica, liberi dal pregiudizio (verso sé stessi e verso gli altri), liberi dall’insicurezza di non essere abbastanza, derivante dal logorante paragone con gli altri, con i quali entriamo inconsciamente (ma nemmeno troppo) in competizione, con la sciocca pretesa di dimostrare quanto valiamo (e in realtà per mascherare quanto crediamo di non valere), liberi dalla gelosia, dall’invidia, dalla superficiale convinzione che “l’erba del vicino è sempre più verde e allora la voglio verde anche io, e magari nel frattempo sulla sua ci mando il mio cane a concimare la terra”.
Uno dei bisogni essenziali che dovrebbe ossessionarci fino all’ottenimento dovrebbe essere la totale libertà di essere semplicemente noi stessi, con tutte le fragilità, le paure, e la forza che ne conseguono… non se i boccoli ci incorniciano perfettamente il volto tanto da fare invidia a Shirley Temple.
Crescere con la consapevolezza di essere belle per ciò che siamo e facciamo, e non per come appariamo, è un dono inestimabile, che ci deve ricordare che ogni giorno noi possiamo e dobbiamo vivere diversamente belle, liberamente felici. Perché la bellezza, quella vera, è determinata dalle nostre azioni, da ciò che facciamo per noi stesse e per gli altri, ed è unica per ognuna di noi, per un’infinità di motivi. Dobbiamo ricordarci sempre che il dolore lo proviamo tutte, come anche la stanchezza o l’insicurezza, e solo per questo dovremmo sentirci unite in una bellezza che accomuna tutte, una bellezza che è la nostra forza.
È il modo con cui sappiamo rialzarci dopo essere state schiacciate dalla sofferenza che ci rende belle, il modo con cui sappiamo prenderci cura di noi stesse e di chi amiamo ci rende belle, il coraggio con cui riusciamo a guardare negli occhi chi ha sparlato alle nostre spalle, la forza di tacere quando si vorrebbe urlare, o la forza di parlare quando all’altro farebbe comodo il nostro silenzio, la forza di rispettare in ogni momento le nostre emozioni rimanendo fedeli a noi stesse ci rende belle.
Dovremmo capire in cosa consiste realmente la bellezza per poterci sentire, a piccoli passi, degne di tale mitizzata qualità, capire chi siamo e cosa possiamo concretamente fare nel mondo, nel nostro piccolo, per poterci sentire davvero belle, di una bellezza che non sfiorisce con gli anni, ma che migliora… Per poi scoprire che magari già lo siamo, solo che non lo sapevamo.
Non sono di certo il trucco e parrucco a conferirci una concreta, strutturata bellezza, di quelle eterne, che non rischiano di essere scalfite nemmeno dai secoli, e liberarci di quella fin troppo idolatrata quanto fittizia immagine di perfezione estetica, a cui siamo ormai assuefatti, è difficile quanto doveroso, per noi stesse e per le future generazioni.
Ormai sembriamo pendere dalle labbra del mezzo dio Narciso, che proprio una cima non era, essendo morto affogato per aggiustarsi i boccoletti. Gareggiamo a chi è il più bello e il più brutto, il vestiario è il nostro biglietto da visita e sembriamo tralasciare ciò che conta davvero: ci lasciamo guidare da dei bias cognitivi che sono ben lontani dalla realtà dei fatti, e l’abitudinarietà che ci affligge, derivante da “l’abito che fa il monaco”, non ci fa porre domande se quello sia davvero un monaco o solo un uomo con un sacco e una corda in vita.
Diffidiamo della perfezione, che non esiste e non è mai esistita, perché non fa parte della nostra natura umana. Smettiamola di dipendere da una mera superficiale immagine, dietro alla quale si cela un cuore, una mente, un vissuto: è proprio quell’immagine a renderci insicuri, più di quanto già non fossimo, proprio perché è fragile quanto astratta, rappresenta una superficie labile che ci rende schiavi di un’apparenza ben lontana da ciò che siamo, incapace di soddisfare i nostri bisogni. Sono invece le nostre azioni a reggere, dietro quell’immagine, che è destinata a sgretolarsi al primo accenno di vento, alla prima avversità, al trascorrere degli anni: è la concretezza dei nostri gesti e la coerenza delle nostre scelte a donarci il fascino della vera bellezza.
Rivolgo queste riflessioni non solo alle donne, ovviamente, che possono rappresentare solo metaforicamente il volto emblematico di questa sorta di accanimento estetico, che sembra dominare a livello mondiale le vite delle persone, quasi come se, senza un determinato aspetto, atteggiamento o modo di vestire, venisse a mancare un’identità, finta o vera poco importa, a cui aggrapparsi disperatamente per sentire di meritare un posto nel mondo, o meglio un ruolo da interpretare, come se il peso della propria personalità, seppur meno “etichettabile”, meno inquadrabile in un ruolo hollywoodiano ben definito, non bastasse a definire chi siamo e a darci un valore.
Rivolgo questi pensieri anche agli uomini, ovviamente. A tutto il genere umano, in quanto UMANO, nella sua complessità. Perché anche gli uomini si lasciano trasportare dalle insicurezze estetiche che questa società, questa specie di fiera della vanità senza tempo, ci impone in modo neanche poi tanto indiretto. Anche gli uomini non sembrano poi tanto liberi da sé stessi, dal proprio giudizio e pregiudizio, dalla critica sociale interiorizzata come propria, anche loro sembrano assuefatti e inglobati in quei canoni tossici di perfezione artefatta e contorta, stomachevoli quanto fuorvianti. Non è una questione di genere, ma appunto di genere umano.
Per carità, tenerci al proprio aspetto e curarsi è sintomo di amore per sé stessi, e ben venga, ma che siano gesti che servono ad arricchire e non a distruggere, nascondere chi siamo, senza sentire la costrizione inconsulta che ci spinge ad ingabbiarci in costrutti sociali privi di significato, che relegano la nostra autostima ad un circolo vizioso di insoddisfazione e senso di inferiorità perpetuo, destinato a sopraffarci, lasciandoci alla mercé di emblemi estetici irreali, inconsistenti, che ci portano a dei paragoni nocivi e svilenti per la nostra reale identità.
Mi rivolgo quindi a tutti coloro che hanno un cuore che batte e che quindi sentono di poter dare qualcosa al mondo che li circonda, al di là dei costrutti sociali, scarnificati di ogni senso logico, e al di là di imbellettamenti e banali apparenze: siate ciò che siete destinati ad essere sin dal momento del vostro concepimento, siate liberi, liberi di esprimere le vostre emozioni, che siano tante, che siano intense, che siano vere, liberi di accogliere le vostre fragilità, i vostri sogni, abbiate il coraggio di essere belli, ma a modo vostro, e non secondo degli stereotipi stantii o i nuovi stentati tentativi di labeling del borioso marketing di oggi. Siate liberi di vivere la vostra libertà, perché vi appartiene, è vostra sin dalla nascita, assaporatene ogni attimo.
Ovviamente qualcuno ( probabilmente più di qualcuno), ancora schiavo di una misera immagine, continuerà sempre a etichettarci, in qualche modo a sminuire la nostra complessa identità in una macchietta riduttiva, tentando di incatenare la nostra libertà: ma noi intanto ce la saremo spassata, perché ce ne saremo fregati, e alla grande! Mentre l’influencer di turno proverà a dirci cosa è in e cosa è out, noi ci godremo a pieno chi siamo, non come dovremmo essere secondo una bozza di realtà parlante, biondo platino e succinti vestitini griffati.
E mentre chi giudica etichettando gente a caso continuerà ad essere schiavo della propria frustrazione nel non voler essere libero, chi invece avrà scelto la vera libertà, semplicemente si godrà la sua vita, senza desiderare quella di qualcun altro, esattamente per quella che è.
E il segreto della libertà è proprio qui: nel momento in cui l’avremo riscoperta, saremo in grado di accettare anche quella degli altri. Un individuo libero, pienamente cosciente di esserlo, accetterà più facilmente la libertà altrui, perché sarà talmente impegnato a godersi la propria che non avrà né vorrà avere tempo di limitare o giudicare quella degli altri.
Siamo fortunati ad essere liberi, dovremmo solo rendercene conto, per poter essere più solidali, gli uni con gli altri, sostenendo la libertà di ciascuno, imparando ad essere più umani.
Se ci liberassimo dall’ossessione di sembrare perfetti, o migliori di qualcun altro, della spasmodica devozione all’apparenza, non alimenteremmo in modo così maniacale le nostre insicurezze, e non saremmo più così ossessionati dalla stupida “necessità” di puntualizzare quelli che secondo noi sarebbero i difetti negli altri.
Libertà vuol dire anche staccarsi dalle nostre insicurezze più superficiali, ed evitare quindi di causarle anche negli altri. È facile, in una società così dedita all’estetica? No, affatto. Si può fare? Sì, e dovremmo incominciare, presto. Smettendo di dipendere dagli stereotipi imposti da altri, ben lontani dai nostri reali bisogni, non sentiremmo più la prepotente e convulsa esigenza di imporli anche altri.
Siate liberi di essere voi stessi, esattamente come il vostro cuore vi dice di essere, senza più sentire il bisogno di doversi per forza identificare in un qualcosa che non vi appartiene, solo per uniformarvi ad uno standard, per limitarvi, fuggendo dalla reale bellezza di ciò che siete!
Perché è proprio nel coraggio di godere di ogni attimo della propria libertà risiede la nostra più intima ( e solo apparentemente surclassata) bellezza, le nostre imperfezioni, e quindi la nostra unicità, la nostra umanità!
Siamo umani, per natura pieni di difetti, fragili, insicuri, e nel momento in cui impareremo ad accettare e accogliere la nostra umanità nella sua interezza, nella sua labile essenza destinata ad estinguersi velocemente, rischiando di non lasciare traccia, potremo apprezzare il suo valore a pieno, un valore che va ben oltre le apparenze, per cui non verremo di certo ricordati, ma che raccoglie in sé l’importanza di dare il meglio di noi stessi, di quanto è in nostro potere per fare ed essere qualcosa di buono per il mondo, puntando ad una perfezione (anche se pure in questo caso irraggiungibile, forse ancora di più) che non è di certo estetica, ma interiore, che non dipende da ciò che appariamo ma da ciò che effettivamente siamo.
Che “umanità” non sia semplicemente la definizione di una specie di esseri viventi, ma che sia nel nostro cuore, che identifichi una serie di caratteristiche che ci rendano davvero una specie “superiore”, che i concetti di coscienza, razionalità, intelletto siano legati alla consapevolezza che l’essere umano è “umano” proprio perché in grado di rendersi conto delle proprie emozioni, di provarle e di essere circondato da quelle degli altri. Che “umano” significhi il bisogno di capire e accettare le proprie e di voler comprendere e rispettare anche quelle degli altri.
Che l’umanità sia la nostra fonte di ispirazione, la nostra unica vera bellezza.
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Per giorni, le nostre regioni e la Siria nel suo complesso sono state sottoposte ad attacchi diffusi e sfaccettati. Il popolo siriano, soprattutto ad Aleppo, è stato lasciato di fronte a un grave rischio di sterminio. Contemporaneamente, questi attacchi hanno preso di mira le nostre regioni nel Nord e nell’Est della Siria. Negli ultimi giorni, è stata dimostrata una resistenza senza precedenti contro questi assalti, con il nostro popolo, in particolare le donne, che hanno mostrato un’eccezionale capacità di recupero, soprattutto nelle regioni di Shahba e Aleppo.
Gli abitanti di Sheikh Maqsoud e Ashrafieh, ad Aleppo, hanno una notevole esperienza di lotta e resistenza nel corso degli anni. Per far fronte a questi attacchi, si sono riorganizzati sotto il nome di Forze di Protezione di Sheikh Maqsoud e Ashrafieh e hanno respinto numerosi assalti da parte dei mercenari dello Stato di occupazione turco.
Indubbiamente, questa guerra dalle mille sfaccettature sta infuriando ferocemente. Di conseguenza, diversi giovani uomini e donne delle Forze di protezione di Sheikh Maqsoud sono stati feriti e catturati dai mercenari. Questi mercenari, che non hanno alcun senso dell’etica o delle leggi di guerra, hanno umiliato gravemente la dignità delle giovani donne catturate, usandole come mezzo di propaganda nei loro media per promuoversi. Con affermazioni come “Vi venderemo di nuovo nei mercati”, hanno rivelato la loro posizione nei confronti delle donne. Questi atti sono anti-umani e non devono essere tollerati in nessuna circostanza.
Noi, nelle Unità di Protezione delle Donne (YPJ), condanniamo fermamente le pratiche barbare dei mercenari dell’occupazione turca contro le giovani donne catturate. Dichiariamo che le vendicheremo. Allo stesso tempo, invitiamo le istituzioni per i diritti delle donne e per i diritti umani ad adottare la causa delle giovani donne catturate che stavano difendendo i loro quartieri e la loro città. Ribadiamo con forza la necessità di proteggere i loro diritti di prigioniere.
Le pratiche dei mercenari dell’occupazione turca contro queste giovani donne catturate oggi sono le stesse commesse dall’ISIS nel 2014 contro migliaia di donne a Shengal, Mosul e Raqqa, vendendole nei mercati degli schiavi. Senza dubbio, queste azioni riflettono la mentalità patriarcale, che ha raggiunto il suo apice nell’ISIS e nei mercenari di Erdogan. Conoscono bene la leggendaria resistenza che le donne curde hanno dimostrato contro queste pratiche brutali, resistendo fino alla fine. Attraverso queste azioni disumane, esprimono la misura della loro ostilità nei confronti delle donne.
Pertanto, chiediamo alla Croce Rossa Internazionale, ad Amnesty International, a tutte le organizzazioni per la tutela dei diritti delle donne, alle istituzioni della società civile, alle figure democratiche e ai sostenitori della libertà di adottare la causa delle giovani donne catturate, di esporre la realtà del terrorismo e della brutalità dello Stato di occupazione turco e dei suoi mercenari sia a livello mediorientale che globale e di ritenerli responsabili delle loro azioni. Riteniamo lo Stato turco responsabile di quanto sta accadendo alle giovani donne catturate.
Ancora una volta, noi delle Unità di Protezione delle Donne condanniamo la prigionia delle giovani combattenti delle Forze di Protezione di Sheikh Maqsoud. Dichiariamo che riterremo lo Stato di occupazione turco e i suoi mercenari responsabili sui fronti di battaglia. In questi giorni storici, mentre le nostre regioni e la Siria nel suo complesso affrontano attacchi diffusi, continueremo a lavorare nelle trincee della resistenza per proteggere le donne e il nostro popolo. Invitiamo inoltre le giovani donne di tutto il mondo a unirsi ai ranghi della resistenza nelle loro regioni e alle Unità di protezione delle donne (YPJ). Solo così potremo proteggere noi stessi e la nostra terra”.
2.12.2024 Comando generale Unità di Protezione delle Donne (YPJ)
L’Unità di Protezione delle Donne o Unità di Difesa delle Donne (curdo: Yekîneyên Parastina Jin; AFI: /jɛkiːnɛjeːn pɑːɾɑːstɯnɑː ʒɪn/) (YPJ) è un’organizzazione militare fondata il 4 aprile 2013 come la brigata femminile della milizia di Unità di Protezione Popolare (YPG)[2]. L’YPJ e l’YPG sono l’ala armata di una coalizione politica curda che ha preso de facto il controllo su una buona parte della regione settentrionale della Siria a maggioranza curda, il Rojava[2].
“Un mondo senza letteratura si trasformerebbe in un mondo senza desideri né ideali né disobbedienza, un mondo di automi privati di ciò che rende umano un essere umano: la capacità di uscire da se stessi e trasformarsi in un altro, in altri, modellati dall’argilla dei nostri sogni“.
(Mario Vargas Llosa)
LUNA PERDUTA
Ieri notte ho perso la Luna.
Era la Luna piena di luglio,
in Capricorno congiunta a Plutone.
Non era una Luna da fotografare
per questo se n’è andata –
troppo severa e austera
disperatamente vera –
consapevole come pochi
del mondo che soccombe,
del tempo che scompare.
Così se ne è andata esule
perduta nei giorni perduti –
nascosta nel pozzo dello spirito
dove risuona il silenzio abissale –
sulle tracce di una stella caduta
e il muto rimpianto di risate,
tra i gelsomini notturni
esplosi dai cespugli della memoria,
di pallide visioni nel giardino
che non so come fare
a disegnare.
*
RICERCA
Un angelo è caduto in mare
e nessuno se n’è accorto,
mentre riflesso rotea piano
un rosso sole distorto.
E ti chiedi se questa vita
sia la replica
di un mostruoso inganno,
oppure una speranza immane
quando abbiamo perduto ogni speranza.
Poi vorresti svelare il mistero
nei muti corridoi della notte
mentre varchi la soglia del sonno,
eppure sai di vegliare
negli interstizi scovati
dai puri occhi dei gatti
nelle parole ormai spente
dagli avvolgibili abbassati
e nelle oasi della sete
col tuo vestito bianco
sempre da stirare.
E il sole resta sommerso
ancora sanguinante,
e tu cerchi in ogni angolo la sua voce
sullo sfondo di questo cielo terso,
nel cosmo di cenere e sabbia.
*
A CENTO SECONDI DALLA MEZZANOTTE
Sembra non sia successo niente,
questa sera, davanti al mare.
Tutto come sempre.
Tutto tranquillo, stranamente eterno.
Come sempre il sole tramonta –
una magia che ormai non ci sconvolge
e la spada di luce va sfumando
nel canto sempre uguale e sempre nuovo
dell’onda che ritorna.
E Dio resta sempre lì
in mezzo a una natura confortante,
che dicono creata per amore…
Eppure, manca poco al disastro –
appena cento secondi alla mezzanotte –
La Terra sta per collassare
travolta da una vampa di calore.
La credevamo un caso o un miracolo,
ma non ci era mai stata consegnata.
L’Apocalisse era già scritta,
ma è tutta nostra la colpa
se i ghiacciai si sciolgono
e il mare sta avanzando.
Se i pesci e gli uccelli piangono
e anche Dio piange con loro.
*
A JEAN JAURÈS
A Jean Jaurès
che non voleva la guerra
e morì in piazza urlando
contro le torce accese dei nazionalismi –
ora che la guerra è di nuovo qui
con gli eserciti veri e i morti per strada
e sempre più profughi in fuga.
Pensare che credevamo di esserne fuori,
mentre distruggevamo il mondo in altri modi –
e pare non sia servita a nulla
nemmeno la terribile pandemia.
Così la GUERRA si traveste da GUERRA
nel carnevale impazzito di chi non vuole sapere –
mentre si attende inutilmente una tregua,
tra le macerie di un mondo sbagliato
pronto a saltare in aria.
Mentre le stelle
stanno ancora a guardare.
*
PAX MARINA
Un mare in salita:
mare di droni galleggianti
mare di gocce e stracci
e inutili plastiche
difficili da smaltire
come la guerra in corso,
mare del sogno permanente
o della dissoluzione – Propizio è attraversare la grande acqua,
dice la saggia sentenza –
e tu soltanto sai cosa vuol dire –
mare di profughi in fuga
con diritto di asilo
temporaneo ed eterno –
in attesa della pace
e del mare universale
di tutti e di ciascuno…
Senza confini.
Giusy Frisina viene dalla Magna Grecia ma vive a Firenze, dove ha insegnato Filosofia. Ha scritto articoli e racconti nella rivista online Domani Arcoiris TV diretta da Maurizio Chierici, ma ha sempre avuto la passione della poesia. I suoi testi sono presenti nel blog Alla volta di Leucade, diretto da Nazario Pardini, sul sito “La Recherche” e in diverse antologie poetiche. Ha pubblicato le seguenti raccolte: Il canto del desiderio (Edarc,2013), dedicata al cantautore-poeta Leonard Cohen, Onde interne (ilmiolibro, 2013), Dove finisce l’amore (Teseo, 2015), Percorsi effimeri (Aracne, 2016), prima classificata al XIV Premio Internazionale “Voci-Città di Roma, Profughi per sempre (Blu di Prussia, 2019), Sul confine (Blu di Prussia, 2020). Ha inoltre pubblicato un testo teatrale dal titolo: “Il sogno di Marsilio a Firenze” (Aracne, 2016). Nel 2024, per l’Edizione Setteponti è uscita la sua ultima fatica “Luna perduta“.
Ringrazio l’autrice per avere autorizzato la pubblicazione di questi versi.
NOTA REDAZIONALE: “Parole a capo” è una iniziativa dell’Associazione culturale “Ultimo Rosso”. Per rafforzare il sostegno al progetto invito, nella massima libertà di adesione o meno, a inviare un piccolo contributo all’IBAN: IT36I0567617295PR0002114236
La redazione di “Parole a capo” informa che è possibile inviare proprie poesie all’indirizzo mail: gigiguerrini@gmail.com per una possibile pubblicazione gratuita nella rubrica.
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 261° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.
Il Piano Urbanistico non disegna concretamente la città futura.
Vogliamo una città non privatizzata, libera dal traffico e dal cemento, per la tutela dei beni comuni.
Ci stiamo avvicinando al momento in cui il Consiglio comunale, la prossima settimana, discuterà e deciderà l’approvazione o meno del PUG ( Piano Urbanistico Generale). Nelle settimane scorse si sono svolte diverse riunioni della Commissione consiliare Urbanistica propedeutica al passaggio in Consiglio comunale.
Abbiamo assistito ad un dibattito “burocratico”, nel senso che, in primo luogo, non si è potuto discutere di tutte le circa 290 osservazioni che sono arrivate da Associazioni e cittadini al PUG e, soprattutto, da parte della maggioranza, sono state ripetute le controdeduzioni già espresse a suo tempo sulle osservazioni.
Arriviamo così alla discussione in Consiglio comunale già con un primo “vulnus”: infatti, nella delibera che andrà in discussione, sta scritto che ci si sarebbe attivati per svolgere forme di contraddittorio con i soggetti che avevano visto le proprie osservazioni “non accoglibili” o “parzialmente accoglibili”, fatto che non è avvenuto almeno rispetto al Forum Ferrara Partecipata e ad altre Associazioni che avevano presentato osservazioni rientranti in quelle categorie. A riprova di una concezione della partecipazione, da parte di quest’Amministrazione, assai ristretta, per usare un eufemismo.
Soprattutto, però, ci troviamo di fronte ad un’impostazione del PUG costruita su “maglie larghe”, ossia basata sull’affermazione di principi generali previsti dalla legge regionale, diversi dei quali in sé anche condivisibili, che non si traducono poi in indicazioni precise e stringenti, lasciando così alle future trattative tra l’Amministrazione e singoli soggetti privati la loro attuazione, con il rischio molto concreto che la pubblica utilità venga subordinata a logiche privatistiche e di mercato. Considerato che la rigenerazione del territorio urbanizzato e le nuove urbanizzazioni si attueranno principalmente tramite lo strumento degli “Accordi Operativi “ con i privati, accordi fondati sull’ “urbanistica negoziata”, risultano evidenti i rischi conseguenti a una negoziazione non supportata da stringenti regole dettate dal Piano Urbanistico. Regole che definiscano concretamente i criteri di priorità, i requisiti minimi e i limiti in base ai quali valutare la rispondenza all’interesse pubblico delle proposte di Accordo Operativo.“
Inoltre, nel PUG compaiono scelte, in diversi casi, assolutamente regressive: ci riferiamo alla vocazione del Parco Urbano, ridotto a contenitore di attività ludiche e di svago, facendogli perdere la sua connotazione di nodo ecologico, alla mancata indicazione del Parco Sud come luogo di possibile svolgimento di grandi eventi, alla sottovalutazione del tema della mobilità, all’aver lasciato nell’indeterminatezza il futuro della ex Caserma di via Cisterna del Follo, alle lacune rispetto alla valorizzazione agricola del forese, all’insufficienza degli interventi previsti nell’area Est della città e a diverse altre ancora.
Insomma, non possiamo che dare un giudizio negativo, sia sul piano del metodo che su quello del merito, del PUG che andrà in discussione in Consiglio comunale. Da qui la nostra richiesta che la discussione che lì si svolgerà possa modificarlo nel senso da noi tratteggiato, dando a Ferrara una prospettiva utile per il suo futuro urbanistico.
Per parte nostra, continueremo a lavorare e a farci sentire perché le nostre ragioni possano essere prese in considerazione e affermate.
Tornare nel Delta al tempo della crisi climatica è stato distribuito per la prima volta in forma di opuscolo il 31 ottobre 2024, alla Factory Grisù di Ferrara, durante la prima presentazione del romanzo di Wu Ming 1 Gli uomini pesce. La diffusione del documento è proseguita a novembre, cogliendo le occasioni di altri eventi nel basso ferrarese, in Polesine, nella bassa bolognese. Oggi appare per la prima volta on line e ci auguriamo che viaggi, faccia discutere, solleciti prese di parola in altri territori. Lo ha scritto un’informale e multidisciplinare accolita ed è il primo frutto di un biennio di discussioni, letture condivise e soprattutto erranze nei territori qui descritti. Buona lettura, buoni vagabondaggi. WM
di Sandro Abruzzese (insegnante e scrittore); Marco Belli (insegnante, scrittore e fotografo, direttore artistico di Elba Book Festival); Davide Carnevale (ricercatore e docente di antropologia visuale, Università di Ferrara); Cassandra Fontana (ricercatrice in studi urbani, Università di Firenze); Sergio Fortini (architetto-urbanista, co-fondatore di Metropoli di Paesaggio); Marco Manfredi (attore, viandante, studioso dei rapporti tra cinema, narrazioni e territorio); Michele Nani (storico, ricercatore Consiglio Nazionale delle Ricerche – Ferrara); Giuseppe Scandurra (antropologo, Università di Ferrara) e Wu Ming 1 (scrittore e saggista, originario del Basso Ferrarese)
Si tramanda che nel secolo scorso, nelle miniere di carbone di varie parti del mondo, a fronte del pericolo rappresentato dal grisù e in assenza di sistemi di ventilazione, i minatori portassero con sé un canarino in gabbia. Molto più piccolo e dunque più sensibile al gas, il canarino cominciava ad agonizzare ben prima che i minatori sentissero gli effetti di quel che stavano inalando. Quando l’uccello cominciava a soffocare, era segno che la miniera andava evacuata.
Da qui la nota metafora del «canarino nella miniera», usata anche dal meteorologo Luca Mercalli durante una conferenza di alcuni anni fa, in un centro del Basso Ferrarese [1]. Il Delta è il canarino, ovvero l’area più esposta, quella a cui guardare per capire meglio gli effetti del cambiamento climatico.
1. Per Delta del Po qui intendiamo
Per Delta del Po qui intendiamo il Delta storico, o Delta grande, l’area geografica plasmata nel corso dei secoli dalle piene ed esondazioni del fiume, e dal progressivo spostarsi verso Nord del suo ramo principale.
Il Delta grande è un ventaglio di alvei in cui il fiume ancora scorre, di altri che il fiume ha abbandonato, spesso invisibili a occhio nudo, e di altri ancora divenuti artificiali, ovvero trasformati in canali, com’è accaduto al Po di Volano.
Il Delta grande non ha confini tracciati con esattezza, ma di sicuro include la parte orientale del Polesine rodigino, la parte orientale della provincia di Ferrara e parte della provincia di Ravenna. Lungo la costa si estende dal confine settentrionale del comune di Rosolina – ovvero l’ultimo tratto dell’Adige – fino al confine meridionale del comune di Cervia. In quest’area, contando solo i residenti, vive quasi un milione di persone.
Il Delta è un’area geostorica, geoeconomica, geoculturale con caratteristiche proprie, caratterizzata dalla presenza di zone umide residuali, scampate alle bonifiche, e dalla pericolosità idraulica, e distinta dal resto d’Italia – paese in prevalenza montuoso e collinare [2] – dalla presenza assoluta della pianura.
2. Vicoli ciechi in comune
I territori del Delta hanno storie e problemi simili. Ad accomunarli è anche il fatto di aver imboccato vicoli ciechi, di aver scommesso su modelli di sviluppo locale che ora vanno ripensati: turismo balneare di massa, una certa agricoltura intensiva, un certo sviluppo industriale. Alcuni modelli si sono rivelati da tempo fallimentari, e i territori li hanno pagati con emigrazione e spopolamento; altri hanno generato ritorni economici per qualche decennio, ma ora si rivelano insostenibili, anzi, catastrofici.
È il caso della trasformazione, avvenuta a partire dal XIX secolo, della bassa padana da zone umide in distesa di terre coltivabili. Un processo che non può mai dirsi concluso, sempre aperto e reversibile, che rende la zona del Delta particolarmente fragile sotto vari aspetti ambientali e sociali.
3. In terra di bonifiche
Federica Letizia Cavallo (1973-2023)
Siamo cresciuti o ci siamo trasferiti o lavoriamo in terra di bonifiche. Vivevamo o transitavamo ogni giorno accanto agli impianti idrovori e ad altre tecnologie di gestione delle acque, ma a lungo non ci abbiamo pensato, a lungo abbiamo dato per scontato quest’assetto del territorio, questo complesso «territorio-macchina», per citare la geografa Federica Letizia Cavallo[3].
Davamo per scontata la terra, l’emerso, il paesaggio bassopadano, e invece vivevamo dentro una parentesi tra sommerso e, mutatis mutandis, di nuovo sommerso.
4. Parentesi si aprono e si chiudono
Rapportando ogni durata a quella delle nostre vite, percepiamo come di lungo corso fenomeni che in realtà si sono manifestati solo di recente, magari poco prima che nascessimo. Per gli stessi motivi, diamo quei fenomeni per scontati e avvertiamo come compiuti, definitivi i processi da cui dipendono, anche quando sono ancora in corso e più che mai aperti.
Già nel secolo scorso l’idea di una temporalità unica e lineare è stata messa in crisi in ogni campo del sapere. Sopravvive solo nell’idea di sviluppo che impregna le politiche economiche. Le temporalità sono multiple, parentesi si aprono e si chiudono e stanno dentro o accanto ad altre parentesi. La storia del mondo è compresenza di tempi.
5. Non capiamo davvero le bonifiche se non…
Non capiamo davvero cosa siano state le bonifiche, nelle loro diverse fasi, e cosa ci abbiano lasciato, se non teniamo conto delle loro contraddizioni interne, di come si imposero, di quali resistenze dovettero sbaragliare e da quali altre resistenze furono fermate al mutare della situazione e delle sensibilità.
Nei discorsi correnti sulle bonifiche agisce un errore di ragionamento noto come survivor bias o «pregiudizio di sopravvivenza»: per valutare una situazione si prendono in esame solo gli elementi rimasti dopo un processo di selezione, che non necessariamente veicolano più informazione di quelli non sopravvissuti. Ciò che è stato soppresso, ed è rimasto a lungo fuori dalla rappresentazione dominante, nondimeno è oggetto di ricerca storica e portatore di sapere. Una volta recuperato ci parla, arricchisce la nostra conoscenza e la nostra presa sulla realtà.
Nel XIX secolo, il Delta e l’area Nord-Adriatica in generale conobbero resistenze popolari alle bonifiche, che con violenza cancellavano usi civici ed economie locali e disgregavano comunità. Grazie allo storico Piero Brunello, conosciamo la lotta contro le bonifiche delle valli di Cona e Cavarzere, oggi nella città metropolitana di Venezia, durata dal 1853 al 1861 [4]. Nota è anche l’opposizione di parte della popolazione di Massa Fiscaglia, nel Basso Ferrarese, alla bonifica della valle Volta, battaglia condotta con ogni mezzo e durata dal 1874 al 1880 [5].
Altre lotte, stavolta condotte da associazioni ambientaliste e per la tutela del territorio, come Italia Nostra, furono combattute esattamente cent’anni dopo, a metà degli anni Settanta del XX secolo, nel Delta ferrarese, quand’era ormai chiaro che l’Ente Delta Padano stava procedendo col pilota automatico, con l’intento di prosciugare ogni zona umida ancora esistente, in primis le valli di Comacchio, in nome di modelli di sviluppo che oramai mostravano la corda. La mutata percezione e consapevolezza fu un fattore determinante, le ultime bonifiche in programma non ebbero luogo [6].
6. Conoscenza “aumentata”
Questa conoscenza “aumentata” si arricchisce di quanto allora non si sapeva; oggi è acclarato: le zone umide sono tra gli ecosistemi che meglio immagazzinano anidride carbonica: una palude ne sequestra cinque volte più di una foresta. Le zone umide coprono solo l’1% della superficie del pianeta, ma catturano CO2 cinquecento volte più di quanto facciano gli oceani [7].
Col senno di poi, le bonifiche di paludi e valli salse hanno contribuito ad accelerare il riscaldamento globale. Questa consapevolezza, fra molte altre oggi ineludibili, suggerisce la necessità di studiare le esperienze di ripristino di zone umide nel territorio deltizio come in altre zone del mondo, per configurare prassi di intervento future.
7. Un’altra parentesi: vivere sulla costa
Anche la “litoralizzazione” della popolazione, fenomeno perlopiù avvenuto nel Novecento, sta dentro una parentesi. Oggi vediamo che il mare si innalza, e il suo innalzamento è un problema anche perché il fenomeno colpisce centri abitati, talvolta densamente abitati. Un tempo, quando, fatta eccezione per alcune località portuali, i litorali erano liberi da presenze umane, non ce ne saremmo accorti, mentre oggi questa parentesi di coste popolate rischia di chiudersi in modo catastrofico.
8. Wasteocene
Allo storico dell’ambiente Marco Armiero dobbiamo il concetto di wasteocene[8], a intendere non solo l’era dell’immane accumulo di spazzatura ma l’era incentrata sugli scarti, intesi come relazioni di esclusione, dentro le quali determinate comunità e località sono designate come sacrificabili. Su queste comunità vengono scaricati, spesso letteralmente, i “costi esterni” dello sviluppo, ovvero l’inquinamento, i residui tossici, le merci giunte alla fine del loro ciclo e divenute immondizia.
Per sua natura e collocazione, il Delta è oggi il penultimo ricettacolo – l’ultimo è il mare Adriatico – dei costi esterni dello sviluppo della val Padana. Lo è materialmente, perché il Po e gli altri corsi d’acqua arrivano al mare pieni di scarichi di industria e agroindustria, e culturalmente, in quanto espressione di un’Italia minore, subalterna.
Nella storia d’Italia, i pubblici poteri hanno spinto per fare della val padana l’area industriale per eccellenza. Per ottenere questi risultati si sono spinti alla migrazione milioni di persone, prima dalle aree interne dello stesso Nord, poi dal meridione, esacerbando i già esistenti squilibri tra Nord e Sud Italia, poi dall’Est Europa e dal Sud del mondo.
Ora il territorio paga quelle scelte, fa i conti con politiche economiche che lo hanno devastato e con concentrazioni mefitiche di particolati. La pianura padana è di gran lunga la zona più inquinata dell’Europa occidentale e tra le più inquinate dell’intero continente [9]. È l’area con più morti premature causate da eccessive concentrazioni di ozono, NO2. (biossido di azoto) e pm2.5 (polveri sottili)[10]. È la zona di gran lunga più cementificata del Paese[11].
Il Basso Ferrarese
9. Un focus territoriale preciso
Occorre un focus territoriale preciso per pensare e agire in un luogo determinato. Al tempo stesso, lavorare in modo centripeto ha senso solo se ha esiti anche centrifughi. Partire dal Basso Ferrarese e al contempo allargare il focus a tutto il Delta e oltre.
Il Basso Ferrarese va dal capoluogo di provincia al mare, con il Po a settentrione e il Reno a meridione. Po e Reno sono confini aperti: torniamo a concepire i fiumi come erano un tempo: luoghi di attraversamento e scambio.
La Fossa dei Masi («La Masia») fotografata nei pressi di Maiero (FE), da ovest verso la valle del Mezzano.
10. Il territorio con meno consumo di suolo
La grande anomalia del Basso Ferrarese, anomalia che oggi può essere rovesciata in vantaggio, è che per vari motivi – non per le virtù di chi ha amministrato, ma per dinamiche storiche complesse – è rimasto il territorio con meno consumo di suolo di tutta la val Padana, esclusa ovviamente la ferita dei Lidi, speculazione edilizia partita negli anni Sessanta e accelerata a partire dagli Ottanta.
11. «Niente da vedere»?
Quello del Basso Ferrarese è un paesaggio in larga parte “ingegnerizzato”, costruito con le bonifiche, e a una prima occhiata sembra perfettamente vuoto e liscio, privo di segni particolari, di quelli che il geografo Eugenio Turri chiamò «iconemi»[12].
«Non c’è niente da vedere» è il cliché che rovesciamo nelle nostre perlustrazioni. Perché è alle occhiate successive che questo territorio sorprende, mostrandosi pieno di dettagli, striato, sottilmente corrugato da dislivelli (argini, catini di valli bonificate, paleoalvei di fiumi), realtà nascoste e “aree di incertezza”. E gli iconemi abbondano, dai manufatti della bonifica alle case abbandonate, di cui la provincia oggi è gremita.
Inoltre, le aree naturali e protette coprono il 13% del territorio della provincia. In gran parte sono zone umide sopravvissute alla febbre prosciugatrice.
L’oasi di Cannevié, valle salmastra nel Delta ferrarese.
Per non dire di certi anfratti lungo il grande fiume, interzone senza alcuna giurisdizione dove chissà cosa accade, luoghi dove si fermano e si formano comunità inaspettate.
12. Spaesamenti
L’emigrazione, la conseguente rarefazione sociale e la perdita del senso dell’abitare hanno creato spaesamento. In parole povere, chi vive in queste lande non conosce più il territorio. C’è un bisogno di ri-conoscerlo, perché, anche senza esserne del tutto consci, ci si sente espropriati.
Territori di margine, territori inespressi
13. Senza voce
Il Delta del Po è un territorio di margine, un territorio inespresso. I territori di margine sono subalterni – economicamente, socialmente, culturalmente – al mondo urbano e agli immaginari metropolitani, a un’unica idea di modernità. Subalterni, perciò inabilitati – usiamo qui una categoria del sociologo Franco Cassano – a essere soggetti di pensiero. Faticando a trovare una voce propria pur avendo proprie specificità e peculiarità, sono territori il cui futuro rimane inespresso.
In queste zone le disfunzioni della modernità vengono spiegate non con ragioni strutturali, ma attraverso stereotipi e pregiudizi. Ne derivano complessi di inferiorità e spinte all’emulazione: dalle città e dalla civiltà tecnologica si mutua l’amore per il potere e il «successo» in ogni loro manifestazione. Dalle zone di prosperità economica si desumono modelli congetturalmente «esportabili»: ne è esempio calzante la storia dei Lidi Ferraresi, goffa e tardiva riproduzione di un modello di turismo ad alto impatto ambientale [13].
Per l’incapacità di rispondere all’immaginario mediatico, a una rappresentazione del mondo unidimensionale e alle aspettative delle generazioni più giovani, i territori di margine sono afflitti da spopolamento, abbandono, depressioni, anomia. Subiscono i processi e i progetti dall’alto e barattano la chimera del lavoro con l’inquinamento, le grandi opere impattanti, magari col diventare discarica per rifiuti speciali. I territori di margine sono sugli Appennini, sulle Alpi, su isole, lungo frontiere, nella bassa depressa.
14. In perenne attesa di pseudosoluzioni
Nella crisi climatica, i territori di margine sono percossi e attoniti. Ne subiscono le conseguenze in modo immediato, partendo da situazioni già svantaggiate. Sono vittime di modelli eteronimi. Influenzati da pesanti interdipendenze, non vengono resi autonomi soggetti di pensiero. Possono solo attendere soluzioni da fuori, sempre pensate come tecno-rattoppi.
Ǫuello che incombe
15. Il ritorno del mare
Tutta la costa occidentale dell’Alto Adriatico e il suo entroterra di pianura sono territori in bilico di fronte all’aggravarsi della crisi climatica. Sempre più studi confermano che nel corso del XXI secolo l’innalzamento del livello dell’Adriatico (eustatismo) – unito alla subsidenza del suolo e ad altri fenomeni in corso – sconvolgerà l’intera area che va dalle Marche al golfo di Trieste.
16. Il MOSE e il veneziacentrismo
Da decenni il discorso pubblico nazionale si incentra su Venezia, luogo emblematico quando si parla di «acqua alta».
C’è chi spera che con le dighe mobili del MOSE il problema sia in gran parte risolto. Questo approccio è viziato nelle premesse da quello che Evgenji Morozov chiama «soluzionismo tecnologico», la soppressione dei sintomi senza diagnosi del male, l’illusione che si possano mitigare gli effetti senza intervenire sulle cause[14].
Inoltre, il dibattito sul MOSE è sempre stato “veneziacentrico”, come se la laguna di Venezia non fosse parte di un ben più vasto sistema di zone umide e territori in bilico tra terra e acqua. Invece, se il caso Venezia ha un valore, lo ha come sineddoche, come parte per il tutto. A nord e a sud della città, lungo più di trecento chilometri di costa, il territorio rischia la medesima sorte. La differenza è che la rischia nel silenzio e nell’inconsapevolezza diffusa. E a che servirà il MOSE se l’acqua entrerà e dilagherà tutt’intorno?
Venezia, una diga mobile del MOSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico).
17. Al di qua della cifra tonda
Le stime vanno dai +80 ai +140 centimetri di innalzamento dell’Adriatico entro il 2100[15]. Carte topografiche realizzate ad hoc mostrano l’ipotetica situazione in quell’anno: l’attuale linea di costa è svanita, l’acqua ha fatto ingresso nell’entroterra, anche – in alcune fasce di territorio, come nei polesini veneti e ferraresi – per decine di chilometri. Va ricordato che il 44% della provincia di Ferrara è sotto il livello del mare.
La cifra tonda, 2100, aiuta a produrre uno scatto, nella molteplice accezione del termine: sussulto improvviso, rapido passo in avanti nella percezione del problema e fotografia di un momento che permette uno sguardo d’insieme; al tempo stesso, però, distoglie l’attenzione dal fatto che tali processi stanno già avvenendo e continueranno anche dopo quella data.
18. Le conseguenze
Le conseguenze. Abbandono degli insediamenti costieri e del vicino entroterra. Migrazioni climatiche verso altre parti d’Italia o verso l’estero. Perdita di migliaia di ettari di terreni agricoli. Perdita di falde d’acqua potabile. Distruzione di ecosistemi d’acqua dolce e di aree naturali e protette, come quelle dei due parchi regionali del Delta del Po, della laguna di Venezia, della laguna di Marano e Grado, ecc. Un cambiamento climatico epocale.
19. Non è solo «acqua»
È importante tenere in mente che non stiamo parlando di “acqua”, ma di melma tossica e infetta. Il litorale nordadriatico è densamente urbanizzato e industrializzato. Il mare attraverserebbe aree edificate, ergo farebbe scoppiare fognature, trascinerebbe con sé rifiuti, prodotti chimici, carburanti, plastiche di ogni genere, carcasse di animali, come ha fatto nel 2023 e nel 2024. Quel che si è visto a Conselice, cittadina romagnola rimasta soffocata per settimane da fango pregno di ogni sorta di veleni e cocktail batteriologici, va elevato a diversi ordini di grandezza.
La più impetuosa piena di un corso d’acqua appenninico è niente se paragonata alla massa d’acqua di un mare: non solo l’inquinamento dell’Adriatico aumenterebbe esponenzialmente, ma si creerebbero delle “grandi Conselice”, vaste aree “anfibie” prigioniere della melma, i cui miasmi arriverebbero a molti chilometri di distanza.
La melma di Conselice, maggio 2023.
20. Intanto…
Questo lo scenario ipotizzato in completa assenza di interventi. Intanto l’innalzamento del mare è già in corso e ritenuto, in larga misura, ineluttabile. Sta già avvenendo.
Ǫuel che sta già avvenendo
21. Avanguardie del mare che avanza
Cuneo salino, nubifragi sempre più intensi e mareggiate sono le avanguardie del mare che avanza, e manifestazioni della stessa crisi climatica.
i. Cuneo salino: nei periodi di siccità i fiumi si indeboliscono, il mare risale i loro corsi e li riempie di sale, con gravi ripercussioni sugli ecosistemi, sull’agricoltura e sulle falde di acqua potabile.
ii. Nubifragi, spesso del tipo downburst, spesso confusi con le trombe d’aria. La loro maggiore intensità e frequenza è sintomo del nuovo clima. L’Adriatico è sempre più caldo: nel corso dell’estate 2024 ha raggiunto più volte i 30°. Aumentano così l’evaporazione e l’umidità nell’atmosfera. Quando arrivano correnti più fredde, il loro impatto con l’aria calda e umida sprigiona grandi quantità di energia e causa precipitazioni violente. Quelle che i media chiamano «bombe d’acqua».
iii. Subsidenza ed erosione della costa: mentre il suolo continua ad abbassarsi per un concorso di cause naturali e antropiche, la cementificazione e l’impatto del turismo intensivo erodono il litorale, che è sempre più vulnerabile di fronte a mareggiate e altri eventi «estremi», in realtà ormai ricorrenti e parte di una nuova “normalità”.
22. Le «notizie» sono un problema
I mezzi d’informazione “spacchettano” la crisi climatica in unità discrete, in episodi distinti chiamati «notizie» e trattati con attenzione ed enfasi diverse. Ad esempio, siccità e «bombe d’acqua» sono momenti di un unico fenomeno, detto effettowhiplash o colpo di frusta, ma la prima colpisce l’attenzione meno delle seconde.
La siccità ipoteca il nostro futuro in maniera differita, le si dedicano notizie illustrate con foto di fiumi in secca, ma non fora lo schermo, soprattutto in città, lontano da dove si coltiva il cibo e dagli ecosistemi in sofferenza. Finché dal rubinetto di casa esce l’acqua, il problema non è adeguatamente percepito.
Nubifragi e alluvioni, invece, ci colpiscono subito e direttamente. I loro effetti sono visibili e tangibili, quindi la loro copertura giornalistica è gridata, emotiva, sensazionalistica e di norma scollegata dalla siccità. Questa separazione impedisce di cogliere l’intimo nesso tra i due fenomeni, e la totalità del processo.
23. Non va difeso il territorio com’è oggi
Quello che incombe non si può affrontare prolungando le stesse logiche del presente che hanno generato il disastro, confidando in espedienti di corto respiro ed escamotages tecnologici. La crisi climatica non è un problema di momentanea inadeguatezza tecnologica: è crisi sociale, esito di un modello socioeconomico sbagliato, accumulo di contraddizioni dell’attuale modo di produzione.
La logica del rattoppo, del soluzionismo tecnologico a difesa dell’esistente è del tutto inadeguata.
La risposta più facile e frettolosa a quello che incombe consisterà nell’installare dighe e paratoie mobili in stile MOSE, nell’aumentare e potenziare gli impianti idrovori ecc.
Tutto ciò per difendere il territorio com’è oggi. Ma «com’è oggi» è parte del problema. Quel che ci dice la crisi climatica è che il territorio va radicalmente ripensato e trasformato.
Una “federazione” dei territori inespressi sarebbe il soggetto più qualificato per tale ripensamento, in grado di disegnare una linea d’orizzonte plausibile d’intervento.
24. Inconsapevolezza
Nei territori che da qui al 2100 subiranno l’avanzata dell’Adriatico, la consapevolezza della situazione va dal minimo all’inesistente. L’inadeguatezza della conoscenza e della percezione di fronte al disastro climatico non è certo un problema solo locale: è planetario. Ma nelle zone di cui ci stiamo occupando presenta caratteristiche peculiari.
25. Quattro messe a fuoco
Stiamo ragionando e ipotizzando modalità di intervento, alternando quattro diverse messe a fuoco.
Territori di margine → Area Nord-Adriatica → Delta del Po → Basso Ferrarese
Il Delta come luogo di sperimentazione nel vivo della crisi climatica (Appunti)
26. Quando il Delta era una causa per cui lottare
All’inizio degli anni Cinquanta del XX secolo una nuova generazione di intellettuali e artisti ferraresi e non solo decise di occuparsi del Delta per farne un grande tema nazionale. Quelle figure fecero del Delta la loro «questione meridionale». Viaggiando verso est scoprirono un Sud, un territorio di margine a poche decine di chilometri dalla loro città.
Di quella campagna culturale e politica resta attuale l’intento di trasformare la percezione di un territorio “marginale” in un luogo centrale per l’analisi, il cambiamento e il riscatto sociale.
Fotogramma del documentario Delta padano di Florestano Vancini (1951).
27. Settant’anni dopo
Settant’anni dopo è di nuovo necessario fare del Delta padano un grande tema, nazionale e non solo. Le condizioni sono drasticamente mutate e ne siamo consci: negli anni Cinquanta dietro gli intellettuali “deltizi” c’erano partiti di sinistra, forze sindacali e altri soggetti collettivi vicini al movimento operaio, alla grande forza del bracciantato di massa. Alle spalle nostre, al momento, non c’è nulla di paragonabile. Ma questo non può essere un alibi.
28. Fare leva sulle peculiarità del territorio: riallagare, naturalizzare
Oggi, a differenza di allora, non si tratta certo di richiedere bonifiche. Semmai l’opposto; il territorio trarrebbe grande giovamento – in termini di biodiversità, di cattura della CO2, di inaugurazione di diversi modelli socio-ambientali – dal riallagamento incrementale e dalla rinaturalizzazione controllata almeno delle aree bonificate nel secondo Novecento, come le valli del Mezzano. Certo, quelle terre dovrebbero prima diventare di proprietà pubblica; dopodiché andrebbero bonificate nella seconda accezione del verbo: «restituire a condizioni di equilibrio naturale un territorio molto inquinato» (Dizionario De Mauro della lingua italiana).
29. Decementificare, ripristinare
Altrettanto urgente sarebbe decementificare la costa, per scongiurare lo scenario di cui al punto 19. Nelle zone decementificate, andrebbero ripristinati il più possibile gli ecosistemi precedenti, il che significa liberare le dune superstiti dalla pressione dell’urbanizzazione, e riformarle dove furono sbancate. Questa sarebbe una delle migliori difese dall’innalzamento dell’Adriatico.
Lido degli Scacchi, riviera ferrarese. Dune che resistono. Dove resistono, vanno liberate dal cemento intorno. Dove non ci sono più, vanno ripristinate.
A chi domanda: «E l’economia dei Lidi?» si può rispondere che i posti di lavoro nel turismo intensivo – spesso lavoro precario, supersfruttato, sottopagato, in nero – sarebbero sostituiti da nuovi e meno frustranti impieghi, quelli generati da una grande riprogettazione ecologica del territorio e da un grande recupero, seguito da una cura continua degli ecosistemi: attività in sintonia con le caratteristiche contestuali dei luoghi.
30. Sono solo alcuni esempi
Sono solo alcuni esempi di come si possa far leva sulle specificità del territorio, sulla sua conformazione e la sua storia, persino sulla sua fragilità, per farne un grande luogo di sperimentazione nel vivo della crisi climatica, anche sul piano della progettazione territoriale.
31. Non servono “trovate”
Tutto ciò non ha nulla a che vedere con il soluzionismo tecnologico. Quelle che stiamo prefigurando non sono “trovate”, gimmick, escamotages, ma soluzioni aperte, lente e non finalizzate al profitto. Soprattutto, partono dall’individuazione delle cause sociali e politiche della crisi e svoltano rispetto ai modelli fin qui seguiti.
32. Rapporti di forza
È una questione di rapporti di forza. Proprio perché vanno a cozzare con l’esistente, questi scenari possono sembrare inaccettabili alla grande maggioranza degli amministratori, e soprattutto ai vertici di molte associazioni di categoria. Va ricordato, tuttavia, che tutte le riforme sociali, anche quelle oggi più banali (l’istruzione di massa? le pensioni? il suffragio universale?), sono nate da proposte che di primo acchito suonavano sovversive e utopistiche.
33. Estendere
Queste proposte, tarate sulla parte emiliano-romagnola del Delta, si possono estendere, rimodulandole, al Delta grande e all’intera area nord-adriatica.
Questo modo di inquadrare le questioni e prefigurare soluzioni può essere utile a chi si muove in altri ambiti di margine, territori inespressi in Italia e altrove nel mondo.
34. Far piovere all’insù
Attraverso una lotta consapevole, i territori di margine possono restituirci parte di ciò che abbiamo perso: ambiente, ecologia delle relazioni, sostenibilità dei modi di vivere. In un mondo dove tutto arriva e piove addosso dall’alto, agendo nei territori di margine è possibile, per citare il compianto Luca Rastello, far «piovere all’insù»[16]. Opporre, ad esempio, il mondo come dimora comune all’esclusione, il sapere come forma di partecipazione all’imposizione tecnocratica, la cura dell’umano e del suo ambiente di vita all’incuria neoliberale.
35. Un percorso lungo
Questo documento vuole essere il passo iniziale di un percorso lungo, multidisciplinare e interstiziale al tempo stesso, nato per generare dubbi ancor prima che risposte, nella consapevolezza che non è facile, sotto il profilo emotivo, accettare l’urgenza di un cambiamento sensibile quanto inarrestabile.
Stili di vita, dinamiche lavorative, relazioni sociali sono destinate a trasformarsi: diventa dunque cruciale che le comunità – a partire da quelle apparentemente più marginali, in realtà avamposti conflittuali determinanti – rivendichino la propria centralità nel processo di governo ed indirizzo dell’inevitabile cambio di paradigma, rivestendosi di una responsabilità sociale e culturale, fondamento di una società che vuole pensarsi come “civile”.
NOTE
1. Mercalli tenne una conferenza nell’ambito della 71a edizione della Fiera di Migliarino, settembre 2018. Un riferimento al «canarino d’allarme« anche nella Canzone della nocività di Paolo Ciarchi e Dario Fo, per lo spettacolo Ordine! Per DI0.000.000.000 (1972).
2. I dati ISTAT relativi alle zone altimetriche, provenienti dagli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio (che a sua volta li trae dalle mappe catastali), dicono che le zone collinari e quelle montuose costituiscono rispettivamente il 42% e il 35% del territorio, per un totale di 77%. (Istat., 2023. Annuario statistico italiano, «Territorio», cap.1, p. 8).
3. Cfr. Cavallo, Federica Letizia. (2011). Terre, acque, macchine: Geografie della bonifica in Italia tra Ottocento Novecento. Diabasis.
4. Cfr. Brunello, Piero. (2011 [1981]). Ribelli, questuanti e banditi: Proteste contadine in Veneto e in Friuli 1814-1866. Cierre edizioni.
5. Cfr. Roveri, Alessandro. (1972). Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo capitalismo agrario e socialismo nel Ferrarese, 1870-1920. La Nuova Italia.
6. Non esiste ancora una pubblicazione monografica sulla vicenda. Cfr. Bassani, Giorgio. (1970). «Il litorale emiliano-romagnolo: Problemi e prospettive», Bollettino di Italia Nostra, XII, 75-76, settembre-ottobre 1970, Associazione Italia Nostra, Roma, pp. 27-29. Ora in Id., Bassani, Giorgio. (2018). Italia da salvare: Gli anni della Presidenza di Italia nostra (1965-1980) (D. Cola & C. Spila, A c. Di; Nuova edizione accresciuta). Feltrinelli; e Dagradi, Piero. & Menegatti, Bruno. (1979). Ricerche geografiche sulle pianure orientali dell’Emilia Romagna. Pàtron.
8. Cfr. Armiero, Marco. (con un contributo di Chiesara, M. L.). (2021). L’era degli scarti: Cronache dal Wasteocene, la discarica globale. Einaudi.
9. Matthew Taylor e Pamela Duncan, «Revealed: almost everyone in Europe is breathing toxic air», The Guardian, 20 settembre 2023. «La situazione in Europa orientale è significativamente peggiore che in Europa occidentale, fatta eccezione per l’Italia, dove più di un terzo degli abitanti della pianura padana e delle aree circostanti nel nord del Paese respira il quadruplo della quantità-limite indicata dall’OMS per i particolati più pericolosi» (corsivo nostro).
10 Stando alla Relazione 2023 dell’Aea (Agenzia europea dell’ambiente), nel 2021 in Italia si sono registrate circa 46.800 morti causate dal particolato pm2.5, di cui ben 14.000 nella sola pianura padana (89 ogni centomila abitanti).
11. Le quattro regioni italiane che in ogni rapporto annuale dell’Ispra sul consumo di suolo risultano le più cementificate – Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna – sono proprio quelle nei cui confini amministrativi si estende la pianura padana.
12. Cfr. Turri, Eugenio. (2014). Semiologia del paesaggio italiano (1. ed). Marsilio. Cfr. anche il suo contributo nel collettaneo: (a cura di) Jodice, Mimmo., & Turri, Eugenio. (2001). Gli iconemi: Storia e memoria del paesaggio. Electa, Milano.
13. Cencini, Carlo. (1994). Il litorale ferrarese: dai Lidi al Parco del Delta, in Forme del territorio e modelli culturali in Emilia-Romagna: per una nuova geografia regionale, Lo Scarabeo, Bologna.
14. Cfr. Morozov, Evgeny. (2014). Internet non salverà il mondo: perché non dobbiamo credere a chi pensa che la rete possa risolvere ogni problema. Mondadori, Milano.
16. Rastello, Luca. (2017). Piove all’insù, Bollati Boringheri, Torino.
Nota di redazione: un grazie agli autori per questo importante lavoro e a Giap per l’autorizzazione alla pubblicazione. Tutti i lettori potranno leggere e rileggere in ogni momento l’intervento nella rubrica Vecchia talpa di Periscopio. (La redazione di Periscopio)
Vite di carta. 26 donne geniali, libere, coraggiose nel libro Senza paura di Dalia Bighinati
L’8 marzo del 1996 suor Rita Giaretta e altre sorelle orsoline portano in dono una piantina di primule alle ragazze, per lo più nigeriane, che si prostituiscono nel Casertano, vittime della tratta e del giro criminale gestito da africani e italiani.
Da un libro corposo e pieno di storie forti come Senza paura, il libro che Dalia Bighinati ha scritto nei duri mesi del lockdown ed è uscito presso Book Editore nell’aprile di questo 2024, traggo proprio questa immagine di donne come suor Rita che omaggiano altre donne dando loro un fiore. Mi piace come segno di rispetto e di solidarietà e mi intenerisce.
Nella stessa pagina leggo le parole di suor Rita: “Queste ragazze hanno cominciato a fidarsi di noi, a credere nella possibilità del nostro aiuto”. Leggo, poi, cosa ne è nato: è nata da quel gesto solidale l’idea di Casa Ruth, una struttura che ha sottratto alla strada in venticinque anni seicento ragazze e i loro ottanta bambini.
Su suor Rita Giaretta ho rivolto a Dalia la prima domanda, davanti al pubblico intervenuto numeroso alla presentazione di Senza paura lo scorso venerdì 22 novembre, presso la Biblioteca di Poggio Renatico. Mi è sembrato di mettere subito in chiaro la grande qualità del libro, che fissasulla carta 26 figure di donne coraggiose, normali ed eroiche al tempo stesso, che prima di tuttoper rispetto di se stesse sono andate controcorrentee hanno perseguito i loro sogninonostante lo svantaggio culturale e sociale da cui sono partite.
Maria Calabrese è poi intervenuta con una sollecitazione originale su come l’autrice le ha collocate entro la struttura del libro; ha illustrato nell’indice le cinque sezioni a cui sono assegnate (1. Il poteredella parola: le scrittrici, le giornaliste 2. Controcorrente: le pioniere, le donne della politica 3. Il coraggio della genialità: le donne Premi Nobel, le religiose 4. Senzapaura: le impavide, le fotoreporter 5. Leadership al femminile: le innovatrici) e ha notato come vadano a formare un accordo musicale.
Il principio costitutivo è dunque l’armonia: un respiro che dà al libro la sua ossatura e al tempo stesso è il soffio che si avverte in ognuna delle interviste che Dalia ha fatto negli anni. Alle donne che ha raggiunto in qualche punto dell’Italia e del mondo, oppure che sono intervenute nelle edizioni di Internazionale a Ferrara, il Festival del giornalismo mondiale che si tiene nella città estense dal 2007.
Dall’esempio concreto di Suor Rita, alle cui attività andrà parte dei proventi ricavati dalla vendita del libro, alle esperienze di Ansalda Siroli, storica presidente dell’UDI di Ferrara e fondatrice del Centro Donna Giustizia. A sostegno del Centro andrà il ricavato del progetto Viva Vittoria che halastricato di coperte multicolori la piazza Castello sabato 23 e domenica 24 novembre. Ce lo ha ricordato Nicoletta Bellini, la coordinatrice del gruppo di Poggio Renatico, intervenendo a ricordare con entusiasmo le finalità del progetto e la grande capacità di aggregazione che ne è scaturita tra donne, e non solo.
Dalla fotoreporter Letizia Battaglia a Rita Levi Montalcini e a Dacia Maraini ha poi spaziato il dialogo a tre, per entrare nelle “complicate alchimie” di cui sono fatte le vite. Nell’atto della scrittura Dalia vi si è intrufolata con sensibilità e con rispetto, come portando a sua volta una piantina di primula.
Restituirle attraverso le parole le ha richiesto grande “dedizione”, come afferma nella dedica iniziale del libro, Alle lettrici e ai lettori. Ha richiesto la cura di ogni espressione per non tradire la sostanza umana di ognuna, e il ricorso alla Storia del Novecento per mostrare i gangli in cui avviene l’intersezione di ognuna delle vite con il proprio tempo.
Le domando come è stato ascoltare le altre donne ed entrare nelle loro storie così scottanti. Mi piace sentire la sua risposta, che è consapevole e profonda e sembra incantare i presenti.
Guardo Maria che mi è complice una volta di più nel viaggio dentro i libri e la catena delle idee. Su suggerimento dell’autrice, stiamo leggendo “a sentimento” i ventisei ritratti, senza seguirne necessariamente l’ordine e pur sempre guidate dalla struttura di cui si diceva prima, che offre una cornice di senso senza troppo vincolare la lettura.
Dove ci sta portando leggere Senza paura? Alle parole della “pioniera” Vittoria Tola: “Senza la presenza delle donne nei ruoli dove si decidono i destini del mondo, non ci potrà essere nessun vero cambiamento”.
Se ben ricordo, è di Dalia la frase che dice: quando le donne si occuperanno del mondo si prenderanno cura di tutti. In questo libro la frase è riferita a ventisei donne esemplari e viene declinata così (cito ancora la dedica): “mi sembrava un grande spreco non far conoscere ad altri le loro storie di intelligenza, amore e coraggio”.
Ora Maria sorride con me e insieme chiudiamo l’incontro ringraziando le persone intervenute, la bibliotecaria Giulia Aguzzoni che ha organizzato l’evento con la consueta passione, e in particolare lei, Dalia Bighinati, la ventisettesima donna.
In copertina una immagine della presentazione: Maria Calabrese, Dalia Bighinati e l’autrice
Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice
Nel conto alla rovescia che ci avvicina al Natale torna RACCOLTO, il programma di eventi culturali al Fienile di Baura.
Il primo appuntamento di questa quinta edizione è una pagina di poesia. Anzi, sono 123 pagine di poesia, perché vi presenteremo C’E’ URGENZA DI AZZURRO (LietoColle, Ronzani Editore), nuovo libro dell’attore e poeta Vasco Mirandola.
Questo potente titolo risponde, forse, ad una muta domanda che in molti sentiamo nelle nostre coscienze, da tempo.
È esattamente quello il bisogno, quella l’urgenza, in questi tempi annuvolati. Urgenza d’azzurro, di uno spazio sgombro e leggero, uno spazio di respiro.
Dalla premessa dell’autore:
Siamo scivolati piano piano in queste facce da piantati in asso. Il mondo, che sembrava così rotondo e accogliente, esplode in ferite, solchi, è attraversato dalla follia di un disordine nuovo. È arrabbiato, il mondo, con noi, con le nostre mani voraci, gli occhi distratti; è arrabbiato l’uomo con l’altro uomo. Da dove si ricomincia?
dalla fionda dal sasso o dal pane? da che preghiera da quale canzone da quale poesia?
Io ci provo a sentire il buono intorno, io ci provo.
Partire dalla mano che ogni giorno ti salva.
Si chiede ai verbi di riverberare ricucire riparare riordinare ricominciare riaccordare riaccendere rigenerare riequilibrare riprovare risanare risarcire…
…e solo dopo se c’è tempo riposare.
In queste parole che Mirandola rivolge al lettore nella sua premessa al libro, c’è molto di quello che si fa al Fienile, luogo in cui si ripara, si riaccorda, si rigenera, si risana. Per questa ragione regaliamo a noi e a voi, al Fienile di Baura, l’incontro con quest’anima implume, delicata e bella (così lo definisce Simona Garbarino in chiusura di prefazione) e con l’incanto del suo mondo poetico, per inaugurare questa nuova stagione di RACCOLTO.
Dialogherà con l’autore, Marino Pedroni.
Per l’occasione sarà possibile acquistare copie del libro sul posto, visitare l’emporio con i prodotti artigianali del Fienile e restare a cena con menu alla carta.
Sia per la partecipazione all’incontro che per l’adesione alla cena, obbligo di prenotazione entro il 10 dicembre scrivendo a info.lstferrara@gmail.com oppure compilando il modulo di adesione:
È un mondo lieve quello di Vasco, impalpabile come lo zucchero a velo, bello come la neve, come una promessa antica. C’è levità, si, ma c’è anche profondità nei versi di questo poeta, un poeta che sa giocare, che sa cantare l’irrinunciabilità e la serietà del gioco, dello sguardo obliquo che capovolge, che osa guardare la vita a testa in giù. Ed è lì che le cose si rivelano perché sanno di non essere aggredite. Vasco non ha uno sguardo predatore, non possiede lo sguardo di quello che tutto vuole capire o afferrare.
Vasco sa aspettare, dà il giusto tempo affinché le cose si manifestino ed è solo allora che la sua poesia affiora, evoca, bisbiglia, dipinge piccoli grandi acquerelli, piccole storie da incorniciare.
Quando ci affacciamo al suo mondo, si ha la sensazione di uscirne rinnovati, bonificati, generati all’inusitato, alla meraviglia.
La poesia di Vasco è una finestra sull’incanto. Si apriranno tante porte, scenari multiformi che hanno un unico lucente obiettivo: accompagnarci alla bellezza del possibile per comprendere che si può, ancora si può, provare stupore. La sua penna sembra voler dire che basta poco per trovare riparo, basta poco per abbracciare la nostra umanità.
Vasco Mirandola
Lavora al cinema (premio Oscar con Mediterraneo di Gabriele Salvatores, con Carlo Mazzacurati ne Il Toro e Il Prete Bello, per citarne alcuni), in televisione, in teatro.
Ha pubblicato sei libri di aforismi e poesie: Non urlare che mi rovini il prezzemolo (edizioni Studio Tesi), Il solito tram tram, il 16 il 16 (edizioni Comix), Carpe Diem Trote Gnam e E se fosse lieve (edizioni Cleup), 100 Poesie in Gioco per so/stare poeticamente nel mondo (edizioniCampi Magnetici), Volevo solo scriverti accanto (edizioni AnimaMundi).
Ha scritto per la rivista Comix e per il quotidiano Il Mattino di Padova.
Da alcuni anni si occupa in particolare della diffusione della poesia con reading e spettacoli che utilizzano vari linguaggi: il teatro-danza (E se fosse lieve, omaggio ai grandi poeti), i concerti/poetici (Ci sono notti che non accadono mai – omaggio ad Alda Merini – Ballate per il Nord/Est con la Bottega Baltazar, Era l’inizio di una sedia con il duo Purple Mist, A Morsi con il gruppo musicale Mattatoio5, Mancamento Azzurro – omaggio ad Andrea Zanzotto – con le musiche di Sergio Marchesini e le canzoni di Erica Boschiero,Volevo solo scriverti accanto con il maestro Ivan Tibolla, Per sempre proteggo con Erica Boschiero) e le video/poesie Zuggerimenti poetici realizzati con Marco Zuin.
Seguiamola dalle origini. Il cronista risiede dal 1944 nelle immediate vicinanze del vecchio ponte di Final di Rero, ma ancora in comune di Ferrara. Siamo attorno al 1960, quando gli amministratori dell’epoca ravvisano l’opportunità di un collegamento fluviale fra Porto Garibaldi e il Polo Chimico di Ferrara. Quindi l’intera tratta, che va dal porto canale per Valle Lepri, per le chiuse di Tieni, e passa per Massafiscaglia, per le chiuse di Valpagliaro, per l’attuale Diversivo del Volano, Ponte Bigoni, tratto urbano fino alla Darsena, e infine Canale Boicelli fino alla conca di Pontelagoscuro, è interessata da questa ipotesi.
Un’opera titanica, dai costi miliardari, per diversi fattori, primo fra tutti un fattore storico-ambientale. Siamo in un territorio rubato alle valli, dove ogni metro di terra è sacro, e le vie d’acqua vengono costrette fra argini ripidi, soggetti a smottamenti che non tardano a riempire l’alveo.
Si pensa così di dragarne il fondo, per ripristinarne la il fondale. Un primo stanziamento consente di appaltare all’ impresa Benini, siamo nel ’60, il lotto fra le chiuse di Valpagliaro e il ponte di Final di Rero. I fanghi di risulta rialzano il piano di golena corrispondente, in destra di Volano. Si comincia così ad agire per piccoli tratti, strategia adottata ancora oggi lungo il tratto di 50 km totali, che consente di drenare cospicui fondi, facendo balenare il miraggio dell’idrovia, quando invece basta un solo tratto ancora interrato per impedire il transito ai grandi natanti di classe 5 . Chi avrà il coraggio e il danaro per ribaltare una tradizione secolare, con larghi espropri e demolizioni in destra e sinistra idrografiche, per creare le basse pendenze arginali che non consentano la colmata dell’alveo ?
L’alternativa è quella, attuata in tutta Italia, di cementificare il fiume, magari con argini verticali, privando così la falda freatica della naturale alimentazione, e creando i presupposti di esondazioni e altri disastri, in occasione di precipitazioni intense o quando il mare si rifiuta di accogliere le acque. Quando invece si attraversano le stagioni della siccità, e il Volano è soggetto al forte prelievo agricolo per irrigazione, il mare alimenta l’ingressione salina che sterilizza i terreni, e i pesci risalgono tutti i rami del Po, talché si parla di barriere anti-sale.
L’occasione di queste mie note è l’ultimo lotto di lavori “puntuali” in corso da qualche anno, diretto allo scavo del breve diversivo per mitigare l’Ansa di Final di Rero, per rendere quel tratto di Volano percorribile dai famigerati natanti di Classe 5.
L’isola a spicchio di luna compresa fra il vecchio tracciato e il nuovo raccordo sarà accessibile per l’attuale ponte provvisorio, che consente ora il traffico fra Tresigallo e Ferrara, da quando il vecchio ponte è stato demolito. L’isola a spicchio verrà adibita a parco pubblico, mentre il nuovo raccordo fluviale verrà attraversato da un secondo ponte, in linea col rifacimento del vecchio ponte sul vecchio tracciato. Ho riportato uno schizzo.
Il messaggio principale che voglio trasmettere è che gli scopi e i metodi dell’Operazione Idrovia, avente in realtà carattere utopistico, appaiono diretti più a movimenti finanziari (reperimento di fondi e loro distribuzione con appalti), che non al soddisfacimento di effettive esigenze comuni di pubblica utilità.
Elezioni Regionali Emilia Romagna: non serve cantar vittoria.
Nei giorni scorsi si è votato per le elezioni regionali in Umbria e in Emilia-Romagna. Ormai come una litania che si ripete, sono subito partiti i commenti sull’incremento forte dell’astensione, salvo dimenticarsene il giorno dopo e, soprattutto, senza mettere in relazione questo dato con il risultato elettorale.
Mi spiego meglio: si è passati, con molta disinvoltura, per stare alla situazione dell’Emilia-Romagna – alla quale farò riferimento anche per i dati successivi – a sottolineare come il 46,42% di affluenza al voto, con una diminuzione di più del 20% rispetto al 67,87 delle elezioni regionali del 2020, rappresenti un valore preoccupante, per poi, subito dopo, misurare i risultati elettorali dei singoli candidati o liste in termini percentuali su quell’affluenza, per cui, ad esempio, si è evidenziato il forte balzo positivo registrato dal candidato De Pascale rispetto al consenso arrivato a Bonaccini nel 2020, che si attesta a più del 5%.
Niente di più sbagliato o, perlomeno, guardato con una lente distorta. In realtà, per capire sul serio quello che è successo, come sanno tutti quelli che svolgono analisi sul voto, occorre ragionare sui voti raccolti in termini di valori assoluti.E allora, a meno che non si voglia continuare ad utilizzare un approccio autoreferenziale da parte delle forze politiche per continuare lungo le strade consolidate, ci appare un panorama un po’ diverso da quello che è stato largamente propinato.
Intanto, in termini appunto assoluti, il calo dell’affluenza di più di 20 punti percentuali, fermatasi, come già detto al 46,42%, significa una perdita in 4 anni di più di 700.000 voti, dai circa 2milioni e 370mila del 2020 ai circa 1 milione e 660mila di oggi.
Lo schieramento di centrosinistra, che ha appoggiato De Pascale, sempre per stare all’illusione ottica di prima, avanza di di circa il 5,3%, ma perde più di 270.000 voti (e sia detto per inciso, il 56,77% dei voti ricevuti calcolati sull’insieme del corpo elettorale significa che il centro-sinistra ha un consenso pari al 26,3% dei cittadini emiliani aventi diritto al voto, poco più di 1 su 4!). Peggio va alla destra, che perde circa 360.000 voti rispetto alla tornata precedente e cala anche in termini percentuali del 3,5%.
Arrivando ai risultati dei singoli partiti, registriamo che al +8,25% del PD, giudicato da tutti come grande avanzata, fino ad aver fatto parlare di “cannibalizzazione” degli altri alleati, diventati “cespugli”, corrisponde un saldo negativo di circa 108.000 voti;
il M5S cala di più di un punto percentuale (dal 4,74% quando nel 2020 si era presentato da solo al 3,55% di oggi) e di ben quasi 50.000 voti.
Anche Alleanza Verdi-Sinistra non va meglio, comparandola, ovviamente, con la somma dei voti di Europa Verde e Emilia-Romagna Coraggiosa, che nel 2020 erano andati separatamente alla prova elettorale: la perdita è dello 0,42 in percentuale, dal 5,72% al 5,3%, ma di ben più di 44.000 in termini assoluti ( da 123.000 circa a poco più di 79.000 circa). A sinistra, in controtendenza, c’è solo la lista “Emilia-Romagna per la pace, l’ambiente e il lavoro, che, rispetto al 2020 ( anche qui sommano i voti delle forze che si presentavano separatamente) cresce dello 0,73%, arrivando all’1,94%, e di circa 5000 voti, che, però, denota poca capacità di espansione in relazione al bacino elettorale “classico” di questa formazione.
Insomma, uno sguardo attento ai processi reali non può che concludere che la crisi della rappresentanza politica ed elettorale continua e si aggrava, che si ingrossano le file di chi pensa che la politica è distante dalla loro condizione di vita. Che al voto si recano sempre più le persone che hanno già una convinzione radicata, tendenzialmente di appartenenza ad uno schieramento politico (e infatti lo scambio di voti tra centrosinistra e destra è praticamente inesistente).
Ancora, ma questa è ovviamente una mia valutazione politica: l’appannamento delle distanze delle politiche tra centrosinistra e destra, in particolare per quanto riguarda le scelte di politica economica e sociale (mentre rimangono sul piano “ideologico”, con riferimento soprattutto al tema dei diritti civili e all’idea di maggiore o minore dose di autoritarismo come leva di governo della società complessa) determina, contemporaneamente, disaffezione e motivazione del voto, più in termini di contrasto allo schieramento avversario che di condivisione delle scelte politiche concrete.
Ciò, a me pare valga ancor più per il voto che si indirizza al centrosinistra: un voto che mette insieme l’intenzione di allontanare la destra dal governo, che si traduce nell’enfatizzazione della spinta a costruire uno schieramento unito e che si nutre anche di una pessima legge elettorale regionale ( vince chi arriva primo al turno unico) che appare costruita su misura per rafforzare le due tendenze appena evidenziate.
Sbaglierebbe, e non poco, il centrosinistra e il PD, che ne è diventato ancor più parte determinante, se, come ha fatto la presidenza dell’ ex Bonaccini, scambiasse per consenso reale alle proprie politiche le motivazioni che pure l’hanno premiato sul terreno elettorale. Soprattutto perché le tendenze strutturali che hanno determinato la crisi del modello emiliano, su cui ho già avuto modo di scrivere, non solo continuano, ma, anzi, sono destinate ad aggravarsi.
In specifico, una struttura produttiva che si finanziarizza sempre più e diventa dipendente da un livello decisionale internazionale, distanziandosi in termini progressivi dal sistema di piccole e medie imprese autocentrate, un welfare che si assottiglia, anche perché costretto dalla camicia di forza di una nuova stagione di austerità che proviene dall’Europa e dal governo nazionale, e l’approfondirsi della crisi climatica ed ambientale, che non si ha il coraggio di affrontare con la necessità di una radicale conversione del modello produttivo e sociale, produrranno un ulteriore acuirsi delle contraddizioni che già oggi percorrono intensamente la società emiliano-romagnola. A cui si aggiunge, appunto, la crisi della partecipazione e della rappresentanza elettorale, assieme all’incapacità di misurarsi con forme più avanzate della democrazia, come quella partecipativa, ben esemplificata dalla mancanza di volontà emersa nell’ultima legislatura di discutere le proposte di legge di iniziativa popolare regionale.
Di tutto questo la politica dovrebbe rendersi conto e decidere conseguentemente di mettere in campo una svolta profonda, che non è direttamente venuta dal pronunciamento elettorale, ma che viene reclamata dalle tendenze reali del corpo sociale. E che, a questo punto, dovremmo provare a rafforzare con il rilancio della partecipazione e della mobilitazione sociale.
Cover: Eraclea 280 a.C. Pirro, per vincere i Romani, utilizzò per la prima volta gli elefanti.
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Più libri più liberi, dal 4 all’8 dicembre, presso La Nuvola a Roma. La misura del mondo
Dal 4 all’8 dicembre torna a Roma Più libri più liberi, la fiera Nazionale interamente dedicata alla Piccola e Media Editoria. La manifestazione, promossa e organizzata dall’Associazione Italiana Editori (AIE), come ogni anno si terrà nello scenografico edificio de La Nuvola dell’Eur.
Quest’anno 597 espositori, provenienti da tutto il Paese, presenteranno al pubblico le novità e il proprio catalogo.
Cinque giorni e più di 700 appuntamenti in cui ascoltare autori, assistere a letture, confronti, dibattiti e incontrare gli operatori professionali.
Più libri più liberi è promossa e organizzata dall’Associazione Italiana Editori, con il sostegno del Centro per il libro e la lettura del Ministero della Cultura, Regione Lazio, Roma Capitale, Camera di Commercio di Roma e ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, con il contributo di SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori e di Poste Italiane. È realizzata in collaborazione con Istituzione Biblioteche di Roma, ATAC azienda per i trasporti capitolina, EUR Spa, Dior e si avvale della Main Media Partnership di Rai con il Giornale della Libreria. La manifestazione è presieduta da Annamaria Malato e diretta da Fabio Del Giudice. Il programma è a cura di Chiara Valerio.
IL TEMA: LA MISURA DEL MONDO
Il tema di questa 23° edizione è La misura del mondo e rende omaggio alla ricorrenza dei 700 anni dalla morte di Marco Polo, viaggiatore e autore de Il Milione. Da questo capolavoro della letteratura di viaggio ai romanzi classici contemporanei, l’edizione 2024 di Più libri più liberi è dedicata all’immaginazione che è misura esatta del mondo e di ciò che esso contiene. Se leggere è percorrere nuovi territori e pensieri, i libri ne diventano la carta geografica.
L’AUDITORIUM NELLA NUVOLA
Anche quest’anno nell’Auditorium della Nuvola si terranno gli eventi con i protagonisti del mondo della cultura, dello spettacolo e dell’informazione.
Per la prima volta ospite della fiera, la scrittrice spagnola Alicia Giménez-Bartlett presenterà il suo ultimo libroLa donna che fugge in un dialogo con Chiara Valerioe approfondirà alcune tra le tematiche più ricorrenti della sua produzione letteraria, come la discriminazione di genere, i pregiudizi e l’emarginazione sociale.
Sarà intervistato da Licia Troisi il fumettista italiano più seguito sui social Sio, pseudonimo di Simone Albrigi, nell’incontro Un giga incontro su alberi e cani parlanti, e anche esseri umani parlanti. Fine.
Il professore Alessandro Barbero sarà in fiera per presentare il suo Romanzo russo, insieme a Loredana Lipperini,ambientato in Russia nel periodo immediatamente precedente alla caduta del Muro di Berlino.
Interverrà anche il fisico Carlo Rovelli, che in occasione dei 10 anni di Sette brevi lezioni di fisica ci guiderà attraverso alcune tappe inevitabili della rivoluzione che ha scosso la fisica nel XX secolo, in dialogo con Marco Motta.
In un virtuale gruppo di lettura Jonathan Bazzi, Gaja Cenciarelli, Roberto Saviano e Licia Troisi dialogheranno su quanto la rappresentazione di sé stessi dipende da noi, quanto dalla geografia, quanto dall’economia, quanto dagli altri, quanto dalla fantasia, in Pregiudizi, luoghi comuni e fior di fragola, moderato da Serena Dandini.
Lo storico Luciano Canfora terrà una lectio magistralis a partire dal suo nuovo libro La guerra del Peloponneso che ricostruisce l’origine e le conseguenze della più cruenta delle guerre combattute tra i popoli greci nel quinto secolo a.C., introdotto da Giuseppe Laterza.
Diego Bianchi e Nicola Lagioia parleranno di come si costruisce un palinsesto di un programma televisivo e di un giornale nell’incontro Fare e far fare: essere autori ed essere in una redazione di autori a partire da Propaganda e Lucy, moderati da Paolo Di Paolo.
The grocery and The publishing (house)– Riflessioni intorno all’editoria è il titolo del dialogo tra Chiara Valerio e Zerocalcare a partire dalla nuova collana Cherry Bomb diretta da Zerocalcare.
Nell’incontro Boccaccio e Petrarca in musicaEleonora Cardellini e David Riondino, insieme a Maurizio Fiorilla introdurranno dei brani musicali, eseguiti dal vivo da un gruppo di musicisti, tratti dai loro album dedicati al Decameron di Giovanni Boccaccio e al Canzoniere di Francesco Petrarca.
L’incontro di chiusura della fiera sarà dedicato anche quest’anno al ricordo di Michela Murgia, in una diversa ma sempre attesa presenza.
LA MISURA DEL MONDO: AUTORI STRANIERI
Tra i moltissimi ospiti di questa edizione molto atteso è il pluripremiato giornalista e scrittore Patrick Winn – ha ricevuto il Robert F. Kennedy Journalism Award, un premio del National Press Club e per tre volte gli Human Rights Press Awards di Amnesty International –, che sarà a Più libri più liberi per presentare il suo libro Narcotopia, in dialogo con Roberto Saviano e con la moderazione di Giovanna Pancheri.
L’intersezione tra studi femministi, queer e razziali saranno al centro dell’incontro con la scrittrice femminista e studiosa indipendente Sara Ahmed, che presenterà Il manuale della femminista guastafeste, insieme a Maya De Leo. Fra gli ultras. Viaggio nel tifo estremo è il titolo del libro dello scrittore e giornalista britannico James Montague, che ci aiuterà a comprendere cosa significhi essere ultras oggi.
Lo scrittore colombiano Andrés Felipe Solano presenterà insieme a Dario Ferrari il suo ultimo romanzo dal titolo Gloria, nel quale ripercorre uno dei giorni più significativi della vita di sua madre.
Incontreo con l’artista, curatrice e scrittrice Moshtari Hilal che presenterà il saggio e libro d’artista Bruttezza insieme a Igiaba Scego, nel quale viene scardinata l’idea che brutto e bello siano categorie reali, dimostrando che invece si tratta di concetti politico-economici, utili a veicolare l’odio nei confronti di corpi e identità non conformi.
Quando migrano, gli uccelli sanno dove andare è il terzo romanzo di Usama Al Shahmani, scrittore iracheno rifugiato in Svizzera anche a causa di una piéce teatrale che criticava aspramente il regime iracheno, presentato in fiera insieme a Saverio Simonelli.
La scrittrice americana Xochitl Gonzalez presenterà Olga muore sognando, un racconto familiare a cui si intrecciano temi politici. Si confronterà con ironia e profondità sul più antico dei dibattiti l’autore comico britannico David Baddiel, che interverrà in fiera insieme a Marino Sinibaldi per presentare Il desiderio di Dio. Chi non vorrebbe che esistesse?.
Lo scrittore e filosofo Didier Eribon presenterà Vita, vecchiaia e morte di una donna del popolo, testo nel quale la morte della madre in una struttura assistenziale per anziani diviene occasione d’indagine sociale, con Rosella Postorino.
Nel suo L’Africa non è un paese, il giornalista britannico di origine nigeriana Dipo Faloyin rifletterà con Francesca Mannocchi sulle differenze – culturali, sociali, economiche – e sulle singolari condizioni di ciascun paese africano, con l’intento di distruggere gli stereotipi superficiali con cui l’Occidente è solito guardare al suo continente d’origine.
La cronaca spietata e disillusa degli ultimi anni della giovinezza della protagonista di Tagliare il nervo verrà restituita dall’autrice spagnola Anna Pazos in dialogo con Valeria Montebello. Il filosofo e sociologo Geoffroy de Lagasnerie presenterà 3 (Tre), frutto dell’amicizia e del sodalizio intellettuale gli scrittori e sociologi Didier Eribon ed Édouard Louis, nel quale riflette su come al familismo si può contrapporre la potenza dell’amicizia, con Ilaria Gaspari.
Nella presentazione di Storia naturale del silenzio l’ecoacustico Jérôme Sueur ci spiegherà, in un dialogo con Andrea Colamedici,i silenzi nell’evoluzione, nel comportamento animale e nell’ecologia.
Lo studente del Divino è il titolo del romanzo d’esordio dello scrittore e insegnante Michael Cisco, considerato uno dei pionieri della weird fiction e del neogotico, che sarà presentato in fiera con Leonardo G. Luccone e Chiara Reali.
Sarah Bernstein presenterà Esercizio di obbedienza con Licia Troisi, un libro che esplora le oscure dinamiche familiari della protagonista, costretta a ritornare nel remoto Paese del Nord da cui proviene e dal quale era scappata.
L’abolizione delle specie è il testo dello scrittore tedesco Dietmar Dath, in cui costruisce un mondo dove la teoria dell’evoluzione, la matematica e la musica ridefiniscono i destini degli abitanti della Terra e dei loro discendenti, con Vanni Santoni e Paola Del Zoppo.
Da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia la giornalista e scrittrice Katerina Gordeevaha viaggiato tra i centri profughi per raccogliere le testimonianze dirette della guerra: Oltre la soglia del dolore è il resoconto di questa esperienza, in dialogo con Mario Caramitti. Fabian Scheidler presenterà il suo La fine della megamacchina, una genealogia che ripercorre cinque secoli di capitalismo.
Sarà in fiera per presentare il suo ultimo romanzo lo scrittore, regista e drammaturgo colombiano Efraim Medina Reyes, dal titoloLa miglior cosa che non avrai mai.
L’estate senza ritorno, opera iconica della letteratura balcanica contemporanea sfigurata in passato dai tagli imposti dalla censura comunista, sarà presentato dall’autore albanese Besnik Mustafaj con Roberto Alessandrini e S.E. Anila Bitri, letture di Paolo Manganiello.
Lo scrittore cinese Liu Zhenyun incontrerà il pubblico insieme a Patrizia Liberati in occasione della presentazione di Una frase ne vale diecimila, romanzo tradotto in oltre 12 lingue da cui sono state tratte una serie televisiva, un film e un’opera teatrale.
La scrittrice ceca Sylvie Richterová racconterà il romanzo Il secondo addio con Leonardo G. Luccone mentre la poetessa spagnola VirginiaAguilar Bautista ci condurrà lungo i sentieri di Seguire una buca,con Lia Ogno.
Lo scrittore argentino Edgardo Scott presenterà Viandanti insieme a Camilla Cattarulla, raccontando aneddoti e vite di autori e pensatori che hanno fatto del camminare la ragione più autentica della propria creatività.
LA MISURA DEL MONDO: AUTORI ITALIANI
Nei cinque giorni della fiera sarà possibile ascoltare e incontrare molti importanti autori italiani e assistere alla presentazione di speciali novità dai cataloghi dei piccoli e medi editori nazionali.
Camilleri 100 tra letteratura, radio, tv, cinema e teatro sarà l’incontro dedicato ad Andrea Camilleri uno degli scrittori più amati, letti e conosciuti in Italia.
Sarà presentato in fiera il romanzo di Barbara AlbertiDelirio, testo che stravolge il modo di raccontare il desiderio affermando che la vita è vita fino all’ultimo, con Olga Campofreda, Mavie Da Ponte e Greta Olivo.
Ne La passione secondo Maria il filosofo MassimoCacciari partirà dalla celebre opera di Piero della Francesca per riflettere attorno alla figura della madre di Dio.
Nella presentazione di Corpi che contano l’autrice Nadeesha Uyangoda indagherà insieme a Maura Gancitano il complesso tema del rapporto tra corpo e pratica sportiva, alternando il racconto autobiografico alla narrazione di alcuni momenti chiave della storia dello sport.
L’autrice Giulia Siviero rifletterà con la filosofa Giorgia Serughetti sulle pratiche militanti del femminismo a partire dal libroFare femminismo,invitando a recuperare desideri ed esperienze di sorellanza e sovversione.
Nella presentazione di Lettere sulla luce il filosofo Emanuele Coccia e il fotografo Paolo Roversi rifletteranno, ognuno a partire dai propri privilegiati strumenti di lettura del mondo, attorno alla luce.
Per fronteggiare il presente e le sue complessità l’autrice Silvia Ballestra nel suo Una notte nella casa delle fiabe ricominciadalla fiaba, il luogo privilegiato dell’infanzia ma soprattutto uno spazio di creazione libera e disinibita da cui partire per ripensarsi, ne parlerà insieme a Nadia Terranova.
L’autore Vanni Santoni presenterà Personaggiprecari con Giordano Meacci, nel quale trasponela narrazione del precariato dalla semplice cronaca alla stessa struttura del testo.
La cantautrice e scrittrice Erica Mou presenterà Una cosa per la quale mi odierai, insieme a Concita De Gregorio: la storia di Erica che, durante la gravidanza, trova il coraggio di leggere il racconto della malattia di sua madre.
L’isola dei femminielliè un libro coraggioso che narra un pezzo dimenticato della storia italiana: lo scrittore Aldo Simeone ricostruisce la vicenda di alcuni giovani che vennero puniti per la loro diversità, con Gianfranco Goretti e la moderazione di Sabina Minardi.
La storica Anna Foa spiegherà come qualunque sostegno ai diritti di Israele non possa prescindere da quello dei diritti dei palestinesi nella presentazione di Il suicidio di Israele, in dialogo con Marco Damilano.
Vittorio Sgarbi in Natività racconta il rapporto tra la Madre e il Figlio per come l’arte lo ha indagato nel corso dei secoli, con Vania Colasanti.
New York non è una semplice città: è un microcosmo a sé, una scoperta continua, un viaggio nel tempo che faremo nell’incontro La mia New York. Guida definitiva per non tornare ogni volta a Times Square di Alexio Biacchi e Alessandro Cattelan, in dialogo con Matteo B. Bianchi e Gianmario Pilo.
Lo scrittore Tommaso Pincio presenterà Panorama raccontandoci di come ci si può innamorare di qualcuno che non si è mai incontrato, con Antonio Gnoli e le letture di Galatea Ranzi.Si terrà in fiera una puntata extra del podcast Cose (molto) preziose della scrittrice e conduttrice radiofonica Loredana Lipperini: un podcast fatto di interviste settimanali a autori e autrici contemporanei o ripescaggi.
Sarà presentato in fiera Femminismo terrone. Per un’alleanza dei margini con le autrici Valentina Amenta e Claudia Fauzia in dialogo con le Karma B., uno spunto prezioso per chiunque voglia comprendere e combattere le ingiustizie che ancora oggi colpiscono il Sud e i sud.
La scrittrice Carola Susani tratteggia la storia di una famiglia, due genitori e cinque figli, dal fascismo al dopoguerra nella presentazione de Il libro di Teresa, con Teresa Ciabatti.
Valerio Mastandrea. Per caso ma non per sbaglio è il titolo del libro di Federico Pedroni e Federico Pommier Vincelli che ricostruisce il percorso artistico del più inafferrabile tra gli attori italiani, in grado di attraversare con naturalezza commedia e dramma, cinema popolare e film d’autore, inquietudine e disincanto, con Rosanna Carnevale, Fabio Ferzetti, Valerio Mastandrea ed Emiliano Morreale.
Lo scrittore Christian Raimo ricostruiràuna sorta di antistoria della scuola italiana e racconterà la nascita dell’educazione popolare nella presentazione di Scuola e Resistenza. L’attivismo pedagogico tra fascismo e democrazia, con Angela Gennaro. Si discuterà della storia delle pratiche pacifiste in Le tecniche della nonviolenza, testo pubblicato la prima volta nel 1967 e scritto sulla falsariga dei “manuali di guerriglia” che circolavano in quegli anni ma opposto nella vocazione, con l’autore Aldo Capitini e l’intervento di Goffredo Fofi, Piero Giacché e Nichi Vendola.
Due libri del filologo e biblista Piero Boitani saranno presentati in fiera: Plato’s poem con Paolo Febbraro e Filippo Laporta e Il grande racconto dei classici, un viaggio che muove dalla Grecia dell’epica omerica, della tragedia e della storiografia e approda poi a Roma e al suo prezioso lascito letterario, con Matteo Nucci.
Exit reality è il titolo di un incontro durante il quale Edoardo Camurri, Vanni Santoni e Valentina Tanni si confronteranno sulla realtà e sulle sue alterazioni, per scoprire alcuni aspetti dell’esistenza ancora inediti.
I romanzi e la musica è il titolo del dialogo tra Angelo Carotenuto, in libreria con Viva il lupoe Sandro Veronesi, autore di Settembre nero. Franceso Rutelli rifletterà sucome cambiano le città nel mondo e come restituire forza al modello italiano delle ‘cento città’ e dei territori in Città vince, città perde.
La presentazione del libro L’acquetta di Giulia di Simona Feci sarà occasione per scoprire insieme a Michele Di Sivo e Lisa Roscioni l’esistenza di una rete di mogli avvelenatrici nella Roma del Seicento.
Si rifletterà sul senso della valutazione all’interno del sistema nell’incontro La scuola ha ancora bisogno di voti?, in un confronto che partirà dal libro La valutazione che educa tra l’autore Cristiano Corsini e Gaja Cenciarelli.
Sarà approfondita l’intrinseca vocazione ecologista delle culture religiose durante la presentazione di L’ecologia dell’anima di Antonella Castelnuovo,con Roberto Della Seta.
Con l’hashtag #leparolevalgono l’Istituto della EnciclopediaItalianaTreccani si propone di raccontare l’evoluzione della lingua italiana attraverso i testi della nuova generazione di artiste e artisti.
Su Le parole dei romanzi è centrato l’incontro con la linguista e italianista Valeria Della Valle e lo scrittore Francesco Piccolo, moderato da Paolo Di Paolo, mentre su Le parole dell’arte quello con la scrittrice Melissa Panarello e la street artist, pittrice, illustratrice e scenografa Alice Pasquini.
Per Le parole del cinema i registi e sceneggiatori Fratelli D’Innocenzo saranno in dialogo con Tommaso Pincio.
La scrittrice Nadia Fusini presenterà il suo testo, radicalmente femminista, dal titoloChi ha ucciso Anna Karenina? insieme a Nadia Terranova.
Ci saranno suggestioni di paesaggi e di luoghi, storie di persone e di lupi dell’Appennino, riflessioni di solitudine e di comunità nella presentazione di Altritudini, il libro di Francesca Camilla d’Amico, in dialogocon Ilaria Canali.
Il frutto di un lungo decennio di esperienze vissute in Urss dalla professoressa Laura Salmon sarà al centro della presentazione di C’era una volta l’Urss, Storia di un amore, con Moni Ovadia.
La storia di Nora Ephron, straordinaria cuoca di piatti veri e di sentimenti sarà raccontata dall’autrice Angela Frenda in Una torta per dirti addio – Vita e ricette di Nora Ephron, con Sofia Fabiani alias Cucinarestancae Cristina Marconi.
Una versione paradisiaca del Festival di Sanremo verrà discussa in Il festival degli dei di Marino Bartoletti con Gabriele Corsi. Sarà presentata in fiera la collana Pennisole con Gilda Policastro e Dario Voltolini.
Lo scrittore e attivista Fabrizio Acanfora,conosciuto per la sua attività di divulgazione scientifica riguardante lo spettro autistico,presenteràL’errore. Storia anomala della normalità.
In Eppur ci siamo l’autrice Alexa Pantanella ci aiuterà a tracciare l’impatto sulle persone delle narrative e dei discorsi sulla disabilità, in dialogo con Claudio Arrigoni. L’autore Leonardo Caffo introdurrà alla vita mentale, all’etica animale e ai contesti sociali in cui si sviluppa l’agire come proprio biologico della specie Homo Sapiens nella presentazione del libroAnarchia. Il ritorno del pensiero selvaggio.
In fiera interverrà Aurelio Picca per presentare La gloria, un dialogo sullo sport come gesto atletico e poetico con Antonio Gnoli. Gli incarnati è il titolo dell’ultimo romanzo di Alessio Caliandro, che porterà in un presente distopico, sullo sfondo di una Roma grigia e alienante, con Mario Desiati.
Rifletteranno sullo strumento che avrebbe dovuto rilanciare l’economia italiana dopo le chiusure per il Covid Luciano Capone e Carlo Stagnaro in Superbonus. Come fallisce una nazione, con Tito Boeri.
In Noi e la macchina gli autoriPaolo Benanti e Sebastiano Maffettone rifletteranno sull’etica delle innovazioni digitali.
Invece di crescita economica, di sviluppo e di progresso di un Paese, ma soprattutto di lavoro, ci parleranno Raffaele Brancati e Carlo Carboni autori di Il lavoro in Italia oggi, in dialogo con Fabrizio Barca e Linda Laura Sabbadini.
La presentazione di Infinito Antonioni. Una ricerca rivoluzionaria sulle immagini a cura di Elisabetta Amalfitano e Giusi De Santis sarà un tentativo di restituire ad Antonioni la sua singolarità rispetto al panorama esistenzialista, con Enrico Magrelli.
La missione delle università generative che si concretizza nel conservare le qualità «umane» del pensiero è il centro della presentazione di Università generativa di Andrea Prencipe, con Paolo Di Paolo. Andrea Di Consoli sarà in fiera per presentare Dimenticami dopodomani e per parlare di una generazione di mezzo senza nascondere fallimenti e cadute, disincanti e amarezze, in dialogo con Franco Arminio.
In Trebisonda di Tommaso Braccini rivivono storia e leggenda di un impero, ne parleranno con l’autore Antonio Musarra e Chiara Valerio.
Il genere romance sarà protagonista di un dibattito dal titolo Il successo del romance come misura e creazione di mondi fantastici con la booktoker Elisa Alfano e le autrici Ella Archer, Jude Archer e Martina Ponente.
L’edizione 2024 di Un anno di storie, l’annuario che offre una fotografia della produzione narrativa italiana, sarà presentata in fiera da Tamara Baris, Paolo Di Paolo, Loredana Lipperini e Stefano Petrocchi.
Il dibattito dal titolo True Crime: i delitti che hanno stravolto la Capitale sarà occasione per ricostruire le storie degli omicidi di Cristiano Aprile e Alberica Filo della Torreinsieme a Manfredi Matteo Filo della Torre, RobertoMorassut,Igor Patruno e Fabrizio Peronaci.
Un vagabondaggio intenso e avvincente nella storia economica del calcio sarà condotto da Luca Pisapia nella presentazione di Fare gol non serve a niente, con Letizia Pezzali.
Il giornalista e viaggiatore Alex Corlazzoli ci racconterà ciò che ha vissuto a contatto giorno e notte con i monaci in Diario da un monastero, in dialogo con Eraldo Affinati e Peter Gomez. Michel Dessì e Andrea Indini presenteranno Liberi di pensare mentre Emanuele Mastrangelo si interrogherà sulle origini del wokeismo e delle sue prassi a partire dal libro Wokeismo cancel culture oicofobia,con Daniele Scalea,moderati da Pasquale Ferraro.
UNA DIVERSA MISURA DEL MONDO
La misura è anche uno spazio morale, in cui il pensiero e le azioni umane valutano i significati delle cose in modo equilibrato. Una serie di incontri sarà dedicata al confronto tra voci esperte che dialogheranno per provare a comporre un significato comune.
L’evento dedicato a La misura delle donne vedrà in dialogo Maria Grazia Chiuri, prima donna a ricoprire il ruolo di Direttrice Artistica delle collezioni donna Dior dalla fondazione della Maison nel 1946, la scrittrice Teresa Ciabatti, lo scrittore Liv Ferracchiati, la fumettista Fumettibrutti e la scrittrice Maura Gancitano, con la moderazione di Chiara Valerio.
Donne che parlano di soldi (dopo aver corso coi lupi) è il titolo del confronto tra Melissa Panarello, Letizia Pezzali, Azzurra Rinaldi, Linda Laura Sabbadini ed Elena Stancanelli, moderato da Annalena Benini.
Sul tema della misura del mondo saranno incentrati anche due incontri in collaborazione con Sisem – Società Italiana per lo Storia dell’Età moderna. Il primo dal titolo Il tempo dell’altra. Carte, misure, desideridurante il quale si discuterà, attraverso racconti e immagini, del corpo femminile come metafora del tempo e dello spazio ma anche come emblema dell’alterità, corpo scrutato, misurato e rinchiuso, con Fernanda Alfieri e Lisa Roscioni. Nel secondo incontro invece Storia, misura del mondo, dal titolo di un piccolo grande libro di Fernand Braudel scritto nel 1944 durante la prigionia in un campo di concentramento, è una riflessione sul senso civile della storia e sulla storia come termometro di dove va una democrazia, con Francesco Benigno, Giorgio Caravale, Vinzia Fiorino, con la moderazione di Ilaria Sotis. Si rifletterà suLe parole della guerra nell’incontro tra la sociolinguista Vera Gheno e la giornalista Francesca Mannocchi, mentre si converserà su Le parole della scuola in quello tra l’autrice e insegnante Stefania Auci, lo scrittore e insegnante Christian Raimo e la storica Vanessa Roghi.
LA MISURA DEL CONFRONTO: SCRITTORI CHE PARLANO DI SCRITTORI
Scrittori che parlano di altri scrittori è una nuova formula proposta da Più libri più liberi, nata per conoscere meglio gli scrittori che amiamo attraverso la lente di altri scrittori, ci permetterà di scoprirne aspetti affascinanti.
Jonathan Bazzi racconterà di Simone Weil, Ginevra Lamberti di Tommaso Landolfi,Antonella Lattanzi di Gustave Flaubert. Rossella Milone ci parlerà di Eudora Whelty,Francesco Pacifico di Friedrich Durrenmatt.
E poi ancora Valeria Parrella di Anna Maria Ortese,Letizia Pezzali di Michel Houellebecq e Andrea Pomella di Thomas Bernhard. Infine Christian Raimo ci avvicinerà a David Foster Wallace.
LA MISURA DELL’INFORMAZIONE: I GIORNALI
Anche quest’anno Più libri più liberi sarà il palcoscenico per incontri e dibattiti con i protagonisti del settore dell’informazione.
Con audacia e schiettezza il giornalista Fulvio Scaglione racconterà la parabola di Volodymyr Zelens’kyj tra luci e ombre, consensi e contraddizioni, alla scoperta dell’uomo e del politico, nella presentazione del suo libro Zelens’kyj. L’uomo e la maschera, in dialogo con il giornalista Lucio Caracciolo.
La scrittrice e giornalista Annalisa Camilli presenterà il podcast Taccuini, progetto ambizioso di ricostruire le molte sfaccettature della vita appassionata e complessa di Tiziano Terzani.
Una lezione sul giornalismo sarà tenuta dalla stessa Annalisa Camilli con Nello Trocchia che spiegheranno come si scrive un reportage e analizzeranno il contesto in cui si fa questo mestiere e i suoi strumenti.
Discuteranno di Ciò che sembra così lontano da noi. Di Hamas e di Gaza le giornaliste Paola Caridi e Francesca Mannocchi, da sempre impegnate sui fronti di guerra.
Il giornalista Marco Travaglio sarà in fiera per presentare il libroUcraina, Russia e Nato in poche parole, in cui analizza la Guerra dei Dieci anni di un Paese conteso.
Michele Gambino racconterà la sua esperienza di giornalista d’inchiesta e reporter di guerra nella presentazione di Un pezzo alla volta. L’educazione di un giornalista, in dialogo con Carlo D’Amicis,Claudio Fava e Giulio Gambino.
Il giornalista e scrittore Carmelo Sardo presenterà il romanzo Le notti senza memoria in cui ripercorre l’amore folle e delirante per una donna, insieme a Federica Benedittis e Costanza Calabrese, mentre un incontro sarà dedicato a Legami, il primo numero cartaceo della rivista multimediale Lucy. Sulla cultura dedicato al tema delle relazioni su cui si confronteranno Nicola Lagioia e Antonella Lattanzi, moderati da Elena Stancanelli.
Sulla base dei documenti d’archivio del Servizio federale di intelligence tedesco Gianluca Falanga farà luce suicriminali di guerra che furono assunti dai servizi segreti della Germania Ovest come “specialisti” per la lotta anticomunista in Gli uomini di Himmler, il passato nazista dei Servizi segreti tedeschi, con Tonia Mastrobuoni.
La Repubblica parteciperà alla fiera con una propria Arena Repubblica Robinson che ospiterà molti incontri con nomi prestigiosi del giornalismo, della cultura e dello spettacolo, tra cui il direttore Mario Orfeo, Stefania Aloia, CorradoAugias, Carlo Bonini, Stefano Cappellini,Lucio Caracciolo, Ascanio Celestini, Francesca Comencini, Concita De Gregorio, Massimo Giannini, Luigi Manconi, Ezio Mauro, Melania Mazzucco, Francesco Piccolo, Angelo Rinaldi e Paolo Rumiz.
LA MISURA DELLA SCIENZA
Una sezione del programma culturale sarà dedicata alla scienza, materia profondamente radicata nella nostra diretta esperienza del mondo, con esperti italiani e stranieri.
Saranno tre gli incontri in collaborazione con il Festival Scienza e Virgola organizzato dalla SISSA. Il primo farà il punto sull’editoria scientifica, moderato da Paolo Giordano e Chiara Valerio, partendo da uno struggente interrogativo: “ma perché nonostante l’alto livello delle pubblicazioni scientifiche tutti si iscrivono a lettere?” parteciperanno alcuni editori del settore, tra cui: Marco Bo, Isabella Nenci e Daniele Rosa. Nel secondo incontro, tra Valerio Magrelli e Paolo Zellini, si discuterà sull’infinito in poesia e matematica, con la moderazione di Paolo Giordano. Nel terzo lo scrittore e giornalista scientifico Ananyo Bhattacharya presenterà L’uomo venuto dal futuro, la biografia di John Von Neumann, matematico, informatico e ingegnere ungherese naturalizzato statunitense.
Ad arricchire la sezione anche una serie di incontri organizzati dal CNR– Consiglio Nazionale delle Ricerche, tra cui la conferenza in diretta streaming in contemporanea con la base CNR Dirigibile Italia a Ny- Ålesund (Artico), una stazione di ricerca che fornisce supporto a numerosi progetti e con la Stazione italo-francese Concordia in Antartide, considerata un sito strategico per gli studi del clima terrestre.
Trotula, medica rivoluzionaria è il titolo della presentazione del libro di Emilia Zazza, un romanzo sull’eccezionale figura della donna che nel Medioevo rivoluzionò la medicina grazie a una nuova attenzione all’universo femminile, con Silvia Bencivelli e Chiara Tagliaferri.
Andrea Colamedici, Ilaria Gaspari e Lorenzo Gasparrini parleranno di quanto le rivoluzioni scientifiche abbiano misurato il mondo partendo dalla presentazione del libro L’incommensurabilità nella scienza di Thomas Kuhn.
Eleonora Marocchini ci guiderà insieme a Maura Gancitano nella scoperta della neurodiversità umana e della sua complessità, temi affrontati nel suo libro Neurodivergente. Capire e coltivare la diversità dei cervelli umani.
Si rifletterà sui miti che legano alcuni cibi all’insorgenza di determinate malattie con la biologa nutrizionista di NoosElisabetta Bernardi e la conduttrice televisiva Sabrina Nobile nell’incontro Mangiare secondo la scienza. Nell’incontro Dio gioca a dadi con il mondo il professore di Fisica teorica Giuseppe Mussardo ricostruirà, in dialogo con il professor Giovanni Battimelli, la storia della meccanica quantistica attraverso i suoi protagonisti: da Heisenberg a Schrödinger, per arrivare ai suoi effetti travolgenti sulla scienza di oggi. L’astronomo e curatore scientifico del Planetario e Museo Astronomico di Roma Stefano Giovanardi presenterà il libro Passeggiate astronomiche portandoci a visitare metaforicamente il planetario, in un viaggio tra mitologia e psicologia, tra poesia e storia.
LA MISURA DELLE IMMAGINI: FUMETTI E ILLUSTRATI
Anche in questa edizione Più libri più liberi dedica una particolare attenzione al mondo del fumetto e del graphic novel.
Lo scrittore Daniele Mencarelli presenterà il suo nuovo libro C’era questa donna illustrato da Beatrice Bandiera, il racconto della madre di tutte le storie: la nascita di un bambino che è Re, nella povertà e nella solitudine.
Si intitola Infanzie e immaginari la presentazione della collana I Topi Immaginari e dei libri Dizionario segreto d’infanzia di Arianna Giorgia Bonazzi, A volte sparisco di Francesco Chiacchio eInfanzia di un fotografo di Massimiliano Tappari, con Paolo Di Paolo.
Sarà presentata in fiera la nuova collana di fumetti tascabili Chihuahua: le uscite di debutto, con interni in bianco e nero, nuovi disegni di copertina, saranno Il porto proibito di Teresa Radice e Stefano Turconi e La profezia dell’armadillo di Zerocalcare.
La storia di Lanciotto Gherardi, antifascista militante e combattente per la Libertà morto il 19 luglio 1944, la mattina stessa in cui Livorno è stata liberata dai nazi-fascisti, sarà narrata da Eva Giovannini nella presentazione de L’ultimo partigiano con Marianna Aprile e Luciano Tirinnanzi.
L’autore e illustratore Antonio “Sualzo” Vincenti presenterà il suo nuovo lavoro L’improvvisatore in dialogo con Vanessa Roghi. Si interroga su cosa è un corpo Ilaria Rodella, autrice di Corpi sapienti, un manuale illustrato di filosofia per bambine e bambini che riflette sul rapporto tra noi e il mondo e che sarà presentato in dialogo con Maura Gancitano e Ilaria Gaspari.
Attraverso la storia del suo alter ego, Marco Petrella racconta di sé e della sua città regalandoci un memoir collettivo in forma di graphic novel in Si muove la città, con Giulia Cavaliere e Maicol&Mirco.
Protagonista di un incontro dal titolo Il manifesto di Più libri più liberi: le matite colorate come misura del mondo sarà lo stesso illustratore Antonio Pronostico, in un dialogo con Stefano Cipolla e Francesco Pacifico.
RAGAZZE E RAGAZZI
Da sempre uno dei settori più dinamici della piccola e media editoria italiana, la letteratura per i giovani sarà al centro di diversi incontri con gli autori. La scrittrice svedese Jenny Jägerfeld presenterà Grande, bro!, un romanzo che esprime tutta l’energia della preadolescenza, affrontando con una scrittura divertente il tema degli stereotipi di genere, presentato insieme a Deborah Soria.
Il postino spaziale. Cosmobanditi motorizzati è il titolo del volume dell’illustratore e fumettista canadese Guillaume Perreault che insieme a Federico Appel ci farà scoprire le avventure di Bob, il postino dalla barba sfatta e dal carattere indolente che consegna posta nello spazio.
Sarà in fiera anche la scrittrice di origini cinesi Kelly Yang che presenterà insieme ad Annalisa Camilli e Liliana Liao il suo Motel Calvista, buongiorno! in cui racconta con tono leggero la storia di povertà e razzismo di Mia, emigrata dalla Cina, ricalcando le esperienze della scrittrice stessa.
Bitels di Giulio Fabroni è il titolo di un romanzo di formazione che intreccia la vicenda di un ragazzino scapestrato e intelligente con la grande avventura musicale dei Beatles.
L’agricoltura spaziale sarà il centro della presentazione di Piantare patate su Marte di Stefania De Pascale con Antonio Pascale. Susanna Mattiangeli presenterà con Roberto SciarroneLa Costituzione nelle parole, un progetto editoriale che contribuisce ad avvicinare i giovani alla Carta costituzionale e alla ricchezza della lingua italiana.
Atteso anche l’appuntamento con la giornalista Claudia Conte, autrice di La voce di Iside.
Partirà dal libro Stupore e poesia il dialogo tra l’autrice Lina Bolzoni e Mons. José Tolentino Mendonça, un excursus sulla tradizione magica della poesia e sul potere della parola.
Sarà presentata il graphic novel Uniti nella stessa lotta. Memorie di Giacomo Matteotti a cura di Stefano Catone, in cui è narrata la storia di Velia Titta e Giacomo Matteotti, in dialogo con Giuseppe Civati, Elena Matteotti e Amalia Perfetti. Alberto Cairo, lo scrittore che dal 1989 è delegato del Comitato Internazionale della Croce Rossa, sarà intervistato da Francesca Sforza per raccontare venti anni di esperienza professionale ed esistenziale in Afghanistan.
Il laboratorio che prende il titolo dal nuovo libro di Lilith Moscon, Xenia contro il tempo, condurrà i ragazzi in un’avventura tra il regno dei vivi e quello dei morti, tra vicoli, argini e palazzi da attraversare correndo a perdifiato.
E ancora, tra la serie di attività laboratoriali, un incontro dedicato al fumetto Brina, gatti a fumetti, con l’illustratore Christian Cornia e lo sceneggiatore Giorgio Salati.
Diciotto filastrocche, inno al divertimento condiviso tra adulti e bambini, sarà il tema del laboratorio a partire dal libro Con le mani posso di Mia Floridi, mentre sul tema dell’amicizia che supera stereotipi e pregiudizi sarà quello a partire dal libro Io e il mio cane di Felicita Sala e Luca Tortolini.
LA MISURA DELLA POESIA
I territori della poesia è il titolo dell’incontro curatodallo scrittore Gianni Montieri e della professoressa e scrittrice Anna Toscano durante il quale si leggeranno e racconteranno le poesie della poetessa israeliana Dahlia Ravikovitch e del poeta palestinese Ghassan Zaqtan.
Lo scrittore Alessandro Raveggi sonderà i temi del lutto e della morte nella presentazione di In caso di perdita, in dialogo con Paolo Di Paolo mentre Valerio Magrelli presenterà il libro Il mestiere della poesia del poeta argentino Jorge Luis Borges. A ridare voce alle cinquantasette poesie di Susana Chàvez Castillo, l’attivista che ha ispirato Non una di meno, sarà Concita De Gregorio nella presentazione di Prima tempesta. Non una donna di meno, non una morta di più.
Si intitola Ladri, poeti e fingitori e prende spunto dalla vicenda della scorsa estate del ladro entrato in una casa nel quartiere Prati di Roma per commettere un furto, e catturato perché distratto dal libro “Gli dei alle sei. L’Iliade all’ora dell’aperitivo”, il confronto tra l’autore Giovanni Nucci e Paolo Di Paolo sull’importanza oggi di avere una visione poetica del mondo.
Il poeta Stefano Dal Bianco, vincitore della seconda edizione del Premio Strega Poesia, sarà intervistato da Stefano Petrocchi. Sarà a cura del Comitato nazionale per la celebrazione dell’VIII centenario della morte di San Francesco d’Assisi l’evento Vivere il cantico delle creature, con Antonio Colinas, Jesùs Losada, Davide Rondoni e donAntonio Spadaro. Due gli incontri in fiera organizzati in collaborazione con Pordenone Legge. Il primo, dal titolo La viandanza in Friuli Venezia Giulia, un racconto di luoghi aspri e magnifici,riguarda il camminare, sull’esempio degli antichi pellegrini, lungo un percorso difficile, che affatica ma fa anche emergere sentimenti profondi, con Luigi Nacci e Gianmaria Nerli. Il secondo Dopo Pasolini. La poesia in Friuli Venezia Giulia in cui Roberto Cescon, Claudio Damiani e Paolo Febbraro faranno un giro d’orizzonte dei recenti anni della poesia in regione.
LA MISURA DEL FUTURO
Ricordare il passato è fondamentale per capire il nostro presente e prospettare il futuro.
Nascono così i tre incontri con Diego De Silva, Donatella Di Pietrantonio e Antonio Pascale che hanno pubblicato uno o più libri con case editrici indipendenti all’inizio della loro carriera. Primo battito sarà un dialogo sui loro primi passi nell’editoria, a cura di Più libri più liberi e della conduttrice e autrice di podcast e trasmissioni radio Margherita Schirmacher.
Se la riscoperta degli esordi di alcuni affermati autori ci riporta al passato, l’occasione per uno sguardo al futuro sarà offerta da un’esperienza immersiva senza precedenti dedicata a “Il Milione” di Marco Polo. Grazie al visore Apple Vision Pro, inedito in Italia, i visitatori potranno immergersi completamente nel mondo descritto dal celebre esploratore veneziano. Questa tecnologia permetterà di visualizzare in modo straordinariamente realistico le meraviglie e le visioni fantastiche incontrate da Marco Polo durante i suoi viaggi, trasportando il pubblico in un’avventura sensoriale unica attraverso le pagine di questo storico resoconto.
LE ISTITUZIONI
Continua la collaborazione tra Più libri più liberi e le istituzioni nazionali e locali. Il Centro per illibro e la lettura, istituto autonomo del Ministero della Cultura, sarà presente in fiera con una serie di eventi in uno spazio dedicato. Così come la Regione Lazio che sostiene e prende parte alla manifestazione con un ricco programma di eventi e incontri per tutti. Anche Roma Capitale con l’Istituzione Biblioteche di Roma rinnova la sua partecipazione con un fitto programma di iniziative, letture, laboratori e mostre, nella sua Arena e nello Spazio Ragazzi. Confermata la partecipazione della Camera di commercio di Roma che ha realizzato uno spazio per gli editori del Lazio. Prestigiosa anche la presenza nel programma del Ministero dell’Istruzione e del Merito e dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Hanno contribuito al programma culturale l’Ambasciata Argentina, Paesi Bassi, Svizzera e Uzbekistan. Confermata anche la presenza in fiera degli stand delle collettive regionali (Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Veneto e Umbria) e di partner come Biennale di Venezia, Biblioteca Paolo Baffi della Banca d’Italia, Cric, MAXXI, Polizia Moderna, Treccani e Uelci.
LA MISURA DEL RICORDO
L’edizione di Più libri più liberi 2024 è in memoria di Giulia Cecchettin, ammazzata l’11 novembre 2023, e di Giacomo Gobbato, ammazzato il 21 settembre 2024 per difendere una donna che era stata aggredita, e questo perché la violenza sulle donne non riguarda solo le donne ma riguarda tutti noi.
È dedicata a Patricia Chendi, editor della casa editrice Marsilio, che aveva portato in Italia, tra altri autori, Madeline Miller, grande passione di lettrici e lettori e di quelle lettrici e di quei lettori che sono i booktoker, e a Ernesto Franco, direttore editoriale dell’Einaudi, studioso e saggista. Più libri più liberi è la fiera dell’Associazione Italiana Editori, e grandi o piccoli, indipendenti o di gruppo, facciamo tutti lo stesso lavoro, ed è un mestiere prima di tutto fatto di persone. Ricordiamo i nomi. Misuriamo il tempo con i nomi, con le storie, con i libri.
La grande manifestazione del 23 marzo 2002 per difendere lo Statuto del Lavoratori
Quando tre milioni di persone in piazza salvarono l’articolo 18. Il 23 marzo 2002 “un lungo fiume rosso” invade le strade di Roma fino a riempire il Circo Massimo. Tre milioni di persone: è la risposta collettiva alla chiamata della Cgil per difendere l’articolo 18 dall’attacco del governo Berlusconi e di Confindustria.
“L’attacco all’art. 18 – scriveva Bruno Trentin nei suoi diari – che nasce dai giuslavoristi della destra neoliberale e non da un’iniziativa del padronato è stato il segno di un riflesso condizionato di tipo reazionario alla difficoltà di gestire le contraddizioni che sono insite in ogni fase di cambiamento e in una modernità sempre oscillante fra progresso e reazione. Perché nulla sta scritto, neanche che la modernità coincida con il progresso “sia pure con qualche inconveniente”. La contraddizione principale è quella fra responsabilità (che presuppone un minimo di autonomia e di libertà) e precarietà, l’assoluta incertezza sul futuro che nega quella libertà e rende vana ogni autonomia. Si può risolvere in tanti modi. Il riflesso condizionato di tipo reazionario reagisce con l’autoritarismo. Questo è il solo motivo ragionevole di un attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori con gli argomenti di sempre della reazione conservatrice, l’occupazione! La sicurezza dell’impresa!”.
Periscopio, anche se è un quotidiano online basato sul volontariato, aderisce allo sciopero del 29 novembre 2024. Domani riprende la regolare pubblicazione.
In copertina: Corato (Bari), un’immagine dello sciopero generale del 18 novembre 1847
È l’autunno caldo. Oltre 6 milioni di lavoratori aspettano il rinnovo del contratto. A quella rivendicazione se ne aggiungono altre come il diritto alla casa. Ed è proprio per questa ragione che il 19 novembre l’Italia si ferma. Un successo enorme con oltre 20 milioni di dipendenti pubblici e privati che incrociano le braccia e il Paese di fatto paralizzato per 24 ore.
Periscopio, anche se è un quotidiano online basato sul volontariato, aderisce allo sciopero del 29 novembre 2024. Domani riprende la regolare pubblicazione.
In copertina: Corato (Bari), un’immagine dello sciopero generale del 18 novembre 1847
14 novembre 1968: CGIL, CISL, UIL effettuano lo sciopero generale sulla riforma delle pensioni; è il primo sciopero unitario dal tempo delle scissioni del 1948. Nel 1968 l’esplosione della contestazione giovanile, radicale e irriverente, colse di sorpresa il sindacato e rese evidenti i limiti della sua azione. Un campanello d’allarme arrivò nei primi mesi dell’anno quando le Confederazioni chiusero un accordo per la riforma delle pensioni con il Governo Moro; quella intesa venne duramente respinta dalla base e la CGIL decise il 7 marzo di proclamare da sola lo sciopero generale che riscosse ampie adesioni. Da quel momento riprese il dialogo tra le Confederazioni, sostenuto con vigore dalle importanti conquiste operaie nella contrattazione aziendale in tema di organizzazione del lavoro, ambiente di lavoro e delegati (nuovi rappresentanti dei lavoratori in fabbrica). La nuova offensiva sindacale portò al primo sciopero generale unitario dai tempi delle scissioni (14 novembre 1968), proclamato per ottenere una nuova riforma previdenziale, ed ebbe un approdo positivo all’inizio del 1969 con la vittoria sindacale sulle pensioni e sull’abolizione delle zone salariali (cioè delle differenze salariali, a parità di lavoro, da zona a zona).
Periscopio, anche se è un quotidiano online basato sul volontariato, aderisce allo sciopero del 29 novembre 2024. Domani riprende la regolare pubblicazione.
In copertina: Corato (Bari), un’immagine dello sciopero generale del 18 novembre 1847
Nel corso di uno sciopero generale la polizia apre il fuoco contro i contadini uccidendo Diego Masciavè, sindacalista Cgil, il bracciante Pietrino Neri e la contadina Anna Raimondi. Altri 10 manifestanti rimangono feriti.
A Trani, nel corso del medesimo sciopero generale, la polizia carica ferendo gravemente due dimostranti. A Bisceglie (Lecce), la polizia apre il fuoco su una folla di disoccupati che chiedono lavoro.
Periscopio, anche se è un quotidiano online basato sul volontariato, aderisce allo sciopero del 29 novembre 2024. Domani riprende la regolare pubblicazione.
In copertina: Corato (Bari), un’immagine dello sciopero generale del 18 novembre 1847
Sciopero Generale contro la guerra 1915 (inizio 17 Maggio 1915 – fine 19 Maggio 1915)
Dopo una serie di manifestazioni di interventisti e contrari alla guerra, il 16 maggio 1915 si apre a Bologna il convegno nazionale del Partito socialista al fine di discutere l’opportunità di uno sciopero generale. A Torino, nonostante alcuni pareri contrari, alla Camera del lavoro si stabilisce di indire lo sciopero senza attendere la decisione di Bologna. Le manifestazioni dureranno 48 ore e saranno caratterizzate da un gran numero di partecipanti e da violentissimi scontri con la Cavalleria.
Periscopio, anche se è un quotidiano online basato sul volontariato, aderisce allo sciopero del 29 novembre 2024. Domani riprende la regolare pubblicazione.
In copertina: un’immagine dello sciopero generale del 18 maggio 1915
120 anni fa, “L’Italia del popolo”, quotidiano politico di orientamento repubblicano, dedica la prima pagina allo sciopero generale del 4 settembre 1904, il primo proclamato in Italia.
Oggi 29 novembre 2024 è sciopero generale. Se vi dicono che scioperare non serve, vi dicono una balla: scioperare costa l’Italia e la nostra vita è cambiata, ed è cambiata in meglio, perchè in tanti hanno avuto il coraggio di scioperare.
Periscopio, anche se è un quotidiano online basato sul volontariato, aderisce allo sciopero del 29 novembre 2024. Domani riprende la regolare pubblicazione.
In copertina: un’immagine dello sciopero generale 4 settembre 1904