DIARIO IN PUBBLICO
Elezioni e biblioteche: incontri e scontri
Attendevo il risultato delle elezioni americane. Siamo al 6 novembre e i contendenti ancora non sono d’accordo, se di accordo si può parlare. Ma probabilmente l’anno del covid-19 ha portato ad un totale stravolgimento di ogni pensiero antecedente alla diffusione del virus, o perlomeno attinente a quel modo di ragionare che la pandemia ha spazzato via. Ai milioni di visoni abbattuti nel mondo (sembra che i mustelidi incoraggino il diffondersi del virus), si aggiungeranno anche quelli italiani, di cui però nulla si sa. Insomma come nelle elezioni americane, dato il numero sterminato dei votanti. E finalmente oggi 7 novembre, dopo un intero pomeriggio cominciato alle 17.30 e proseguito fino a mezzanotte, per poi riprendere oggi con la lettura dei giornali, siamo (quasi) sicuri che il nuovo presidente può proclamarsi tale: Joe Biden.
Come in un vecchio film, in cui puoi recuperare il senso del passato attraverso il corteggiamento del ricordo (un metodo che piace molto a Carofiglio), riaffiorano alla memoria le esperienze delle elezioni americane e quella in diretta vissuta al tempo dell’elezione di Ronald Reagan. Era il 1981 e nella sala professori dello Smith College vicino a Boston, dove insegnavo, si udiva e si vedeva una valanga di suspiria e musi lunghi; ma si sa, sono stati proprio loro, gli americani, ad insegnarci le regole fondamentali di ciò che chiamiamo ‘democrazia’ e che avvenimenti tragici e a volte non proprio limpidi hanno scandito nel tempo.
Queste ultime elezioni, ancora più difficili e imbrogliate, hanno visto atteggiamenti risibili, spinti fino al grottesco, fino ad assistere alla sceneggiata di un importante uomo politico italiano, che tifava Trump applicandosi al viso una mascherina col nome e l’incitamento al voto per il presidente americano uscente. Eppure il sunnominato è italiano!
Comunque la nota più importante è data non solo dalla elezione di Biden, ma del trionfo di Kamala Harris. Come scrive Fiorenzo Baratelli in una nota sulla sua pagina Facebook: “Kamala rappresenta, innanzitutto, un cambio generazionale ai vertici della politica americana, così difficile da scalare per chi non è bianco, maschio e di lungo corso. E’ la prima donna ad entrare alla Casa Bianca come vice-presidente, ma è anche la prima afro-americana e la prima americana-indiana. Nessuno meglio di lei impersona l’America che ci piace, quella multietnica e multiculturale.” A questo si associa anche una ‘figura’ che riesce a coinvolgerci con l’aspetto esteticamente bello e col pensiero altrettanto importante: l’asio-americana Jhumpa Lahiri, che insegna a Princeton e per molti anni ha abitato a Roma, scrivendo romanzi nella nostra lingua. Una veramente rara coincidenza di fisiognomiche! Anch’ella è una rappresentante di quel coinvolgimento di razze che ha fatto la gloria degli USA. Ma Kamala ora è riuscita a raggiungere una posizione assolutamente inimmaginabile solo pochissimo tempo fa e ne preannuncia una ancor più eclatante: quella cioè di un ‘non bianco/a’ che potrebbe approdare al vertice della Casa Bianca. Ma soprattutto donna.
E mentre, sempre con estrema cautela, cerchiamo di interpretare le mosse del ‘Trump furioso’ ( e non ci sta male che ciò avvenga nella patria che ha dato i natali all’Orlando furioso), ecco che la nostra città, fino a poco tempo fa modello irreprensibile di cultura, ci sta coinvolgendo in un deludente e triste problema di aperture e assegnamenti delle biblioteche comunali sempre più affidati a servizi esterni, o ad altre strutture non afferenti al servizio comunale stesso. Tuttavia quello che mi rende sempre più incredulo e veramente offeso è il sistema con cui l’amministrazione sta portando a termine il ruolo e il servizio del Centro Studi bassaniani, di cui sono co-curatore. Il Centro, che ancora una volta va ricordato, è il dono generoso della professoressa Portia Prebys, ultima compagna dello scrittore ferrarese Giorgio Bassani, alla città di Ferrara, dapprima era stato affidato al servizio dei Musei comunali; successivamente con la nuova amministrazione, probabilmente per ragioni di utilità essendo il Centro soprattutto una raccolta di carte e documenti riguardanti la storia e l’attività di scrittore di Bassani, viene trasferito al servizio delle biblioteche comunali, specie alla Ariostea, che è situata esattamente dall’altra parte della strada rispetto al Centro. Da allora una confusa serie di operazioni tiene chiuso il Centro senza che esplicitamente ne venga dimostrata l’afferenza e il ruolo. L’assessore alla cultura tace, il direttore dell’Ariostea rimanda a lui, del Sindaco nulla sappiamo. E questo in presenza di preziosissimo materiale che solo di valore economico ha passato una cifra di due milioni di euro.
Si tratta di igienizzare materiali e ambiente? Si tratta di non trovare il personale per l’apertura? Si tratta di altro che forse si preferisce non mettere in luce? Tutto tace.
Eppure per anni, dal mio punto di vista di studioso, ho con entusiasmo supportato le ragioni che hanno spinto Portia Prebys e parte della famiglia Bassani a donare alla città dello scrittore la presenza tangibile del suo mai interrotto legame.
Leggo anche che nel salone del Municipio si è allestita una mostra che testimonia la presenza degli Ebrei nella prima guerra mondiale. Il Centro possiede documenti importantissimi di ebrei ferraresi e di famiglie ebree che parteciparono alla prima guerra mondiale. A nessuno è stato chiesto nulla.
Sono preso da una tristezza che nulla ha a che fare col covid-19. Sentivo questa sera Saviano che da Fazio presentava la sua raccolta di storie: Gridalo. Metteva in luce la funzione del libro, della testimonianza scritta, della storia e della memoria. Non vorrei che la vicenda orrenda della pandemia avesse strappato l’unico segno di vita che ancora rende la vita e l’agire sociale degni di essere vissuti: la memoria.
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