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NOTE DI VIAGGIO
Bretagna, dove la religione è severa

Articolo pubblicato il 9 Luglio 2015, Scritto da Franco Stefani

Tempo di lettura: 2 minuti


In Bretagna i campanili delle chiese sono dita aguzze verso il cielo. In molti piccoli centri la chiesa è all’ingresso del paese, per ribadire che il divino vien prima dell’umano.
Il patrimonio storico della cattolicità è conservato generalmente con cura. Le chiese – anche se oggi molto meno frequentate – sono un elemento costitutivo della cultura bretone, dal medioevo all’età moderna. Cultura in maggior parte gotica, solidificata dal XV secolo in poi, severa, slanciata e non di rado imponente, con edifici in cui sono esposte statue più che quadri e nei quali c’è dunque la personificazione della religione più che la sua rappresentazione. La statua, pur essendo immota, è più vicina all’uomo, esprime un carisma ed un potere maggiore dell’immagine dipinta.
Si ritrova questo carisma nelle sculture funerarie dei calvari che si trovano nei 23 enclos parrocchiali dell’alto Finistère. Negli enclos la parrocchia è un luogo chiuso, ben delimitato dentro l’agglomerato urbano dai suoi confini: un luogo di culto, di eterno riposo dei morti – in tutti gli enclos sorgono ossari – e di residenza del curato, o del vescovo in alcuni casi, che erano autorità indiscusse. I calvari sono rappresentazioni in pietra della Passione di Cristo, con scene drammatiche di persone a volte crudeli e ghignanti che assistono o partecipano alle ultime ore di Gesù.
Il cattolicesimo bretone – trovo scritto a Guimiliau, un paesino di 900 abitanti – è legato ai propri santi, alle proprie campane – che nei paesi battono ancora oggi le ore – ai propri morti ed è diverso dal cattolicesimo romano che storicamente ha inteso impressionare, educare, sedurre.
L’immagine sorridente di papa Francesco, ritratta in un manifesto affisso qui e in molte altre chiese, supera forse questa dicotomia e impersona il cattolicesimo del Ventunesimo secolo che cerca l’uomo, lo interroga e lo responsabilizza. E lo vuole abbracciare.

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Franco Stefani

Franco Stefani, giornalista professionista, è nato e vive a Cento. Ha lavorato all’Unità per circa dieci anni, poi ha diretto il mensile “Agricoltura” della Regione Emilia-Romagna per altri 21 anni. Ha scritto e scrive anche poesie, racconti ed è coautore di un paio di saggi storici.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani