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Allegro non troppo, nei suoi cartoni malinconici dai tratti arrotondati e boteriani, quadrati nella loro mediocrità piena di spigolature, Antonio Albanese si presenta in scena al Teatro Comunale a lato di una valigia rossa che simboleggia il pane e le rose di tutte le sue creazioni, che propone nello spettacolo “Personaggi”.
Paura e amore, combinate in salsa mista.
Sempre alla ricerca di qualcosa che nessuno (nessuno?) dei suoi personaggi sembra trovare.

Non il normale impiegato che si occupa di “gestione dell’analisi integrata”, medio-man che si chiede in cosa consista il proprio mestiere, completamente avulso dalla nomenclatura degli odierni mestieri-domanda dove l’importante è ragionare politicamente e conformarsi, diventando – o aspirando a diventare – bravi cittadini, sino a giustificare qualunque bassezza o mediocrità, come strisciare verso una valigia cercando di capire cosa fare del pericolo e del fuori posto, costretto in un fuori gioco dalle inesistenti voci umane di call-centeriana memoria.
Non il Ministro della Paura, inquietante Frank N’ Furter calvo e ingessato in tight anni ’90 e occhiali scuri che ordisce i suoi piani a metà tra l’esaltato e l’impunito, nell’apologia totale di quel sentimento che offusca tutti gli altri e che regna sovrano, rielaborandola e vomitandola nella rigorosa distinzione tra “noi” e “altri” e che fa propria la frase “Date un bacio ai vostri bambini” diventa l’apocalittica “Raccontate ai vostri figli il ministro della paura”.

Non Ivo Perego, bauscia e imprenditore di se stesso (termine così à la page nel mondo lavorativo di oggi) che si scontra con la potenza cinese che gli compra i capannoni in puro eternit, da lui amati più del tossicomane figlio Manuel, e che si rimette altrettanto velocemente in piedi elaborando una nuova aristocrazia del male, fatto proprio il gattopardiano motto “cambiare per restare uguali”, e il cui unico pericolo personale è la noia – la stessa che divorava già, per altri motivi, i personaggi di Alberto Moravia. Non Alex Drastico e la sua disastrata famiglia dalle tonanti S finali, spontaneo e verace, uxoricida convinto e fiero dispensatore di imprenditoria mafiosa nel laborioso Nord, il mito finalmente raggiunto. Non Cetto La Qualunque con il suo arrogante politichese, re del neologismo de-mente, sostenitore della democrazia del pilu e dei favori pubblici e privati su cui si campa per ottenere il posto fisso, ma solo a tot euro al mese – “e non abbiamo dovuto inventare niente, di questo personaggio” sottolinea l’artista.

Quando arriva Epifanio con Valeriana, amore all’ingrosso, impetuoso e straordinario, cade un silenzio dolce; lui, un Fortunello di Petrolini timido e indifeso, cappotto e occhiali nerd, camminata veloce e ritmata, manda in sordina baci a un mondo che ha gli occhi puntati su una pianta di valeriana, inconsapevole del fatto che quel vegetale è l’unico a stimolare l’empatia di un uomo comune, disperatamente aggrappato al pensiero di lei (“anche se si ciula poco”), e all’unico momento in cui troviamo non l’amore per la paura, né per se stessi, ma il suo esatto contrario.

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Giorgia Pizzirani



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