NOTA A MARGINE
Nella nuova Tangentopoli la politica prende ordini dai potentati economici
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“Non è cambiato niente. Le inchieste di oggi sono le stesse di ieri e le imprese tentano – ora come allora – di mettere le mani sugli appalti, usando ancora il meccanismo della corruzione. Mentre la politica resta al di sotto del ruolo che dovrebbe avere”. A dirlo, sconsolata, è Liana Milella, giornalista di Repubblica, che vent’anni fa, all’epoca di Tangentopoli, per Il sole 24 ore ha seguito passo a passo l’inchiesta del pool Mani pulite, di cui si è tornato a parlare non solo per le inquietanti ricorrenze della cronaca, ma anche a seguito del grande successo di pubblico della serie televisiva “1992” in onda su Sky, al cui patrocinio va ascritto l’odierno dibattito del festival del giornalismo di Perugia su politica e corruzione.
“Raccontare quel che è successo ai nostri ragazzi, che ben poco sanno di quegli avvenimenti, è un’opera di per sé meritoria”, ha commentato Goffredo Buccini del Corriere della Sera, citando fra l’altro un’eloquente scena della fiction. “Se allora – come viene fatto dire a un credibilissimo Marcello Dell’Utri – non si faceva ‘business senza politica’, adesso la cosa si è persino aggravata perché non si fa politica senza business”.
Il rapporto di forza, insomma, secondo Buccini si è capovolto. Allude evidentemente al fatto che oggi è la grande impresa a muovere i fili della politica e a condizionarne le scelte, piazzando direttamente i propri uomini nei gangli vitali dello Stato e delle istituzioni, oppure garantendosi la fedeltà di un personale politico di scarsa di levatura, che deve le proprie fortune e la propria carriera a chi ne patrocina l’ascesa elettorale.
Le tante inchieste in corso rivelano appunto retroscena di questa natura, con fili doppi che tengono insieme interessi economici (leciti e illeciti) e classe politica, con sconfinamenti nel campo della malavita organizzata. In questa temperie, i politici indagati per salvaguardare se stessi s’appellano alla presunzione d’innocenza sino a definitiva condanna. Ma il redattore del Corriere al riguardo sostiene che l’uomo pubblico “ha il dovere di essere sempre al di sopra di ogni sospetto: la carriera politica non è un obbligo e chi la intraprende non solo ‘deve essere’ ma deve anche ‘apparire immacolato’.” Insomma onori sì, ma pure qualche onere per i nostri rappresentanti…
Bruno Manfellotto, per molti anni direttore dell’Espresso, ha ricordato come “fino a Craxi la corruzione e i soldi erano funzionali ad alimentare la macchina dei partiti. Poi la cosa è degenerata ulteriormente e sono emersi gli interessi personali. Rivelatrice in tal senso fu una una celebre dichiarazione di Rino Formica, quando disse che ‘il convento è povero ma i frati sono ricchi’. Fu il segnale che qualcosa stava cambiando”.
Nel Paese, aggiunge con rimpianto, “c’era una grande tensione positiva, sembrava imminente la palingenesi. Invece si è messo in moto il processo opposto e le cose da lì in poi sono persino peggiorate”.
“Un ruolo cruciale in positivo – a parere di Maria Latella, moderatrice dell’incontro – lo ebbero i giornalisti che sostennero il lavoro dei magistrati, facendosi interpreti di un sentimento diffuso fra i cittadini”. Visto dai detrattori, quella commistione fu invece l’inizio del giornalismo giustizialista.
Controverso è pure il giudizio su Antonio Di Pietro, la figura più rappresentativa del pool di giudici. “È sempre stato il simbolo di Tangentopoli, ci ha sempre messo la faccia, non si è mai tirato indietro -sostiene MIlella -. Non fu brillante nella costruzione del partito, ma a quel passo falso fu indotto da una feroce campagna di denigrazione ai suoi danni. Contro di lui si scatenò la macchina del fango alimentata da una guerra a colpi di dossier, portata avanti dai partiti del centrodestra e sostenuta con sistematicità dei giornali fiancheggiatori”.
Ma Buccini non assolve comunque Di Pietro “per un errore (il suo ingresso in politica) che contribuì a gettare una luce sbagliata su tutta l’inchiesta”. L’altro fatto devastante che ha appannato l’immagine dei magistrati e del lavoro da loro condotto, a giudizio del giornalista del Corriere “fu la fuga all’estero di Bettino Craxi. Gli italiani, che di per sé sono un popolo già poco incline alla legalità, ricevettero dal suo comportamento un messaggio terribilmente negativo”.
Dalla cronaca alla ricostruzione televisiva, anche la fiction “1992” in onda su Sky è stata oggetto di considerazione da parte dei relatori. Liana Milella ha citato al riguardo il consiglio di un avvocato al suo assistito (un imprenditore inquisito): ‘Dagli quello che vogliono’. “E’ per me emblematica del metodo compromissorio che le imprese adottarono per cercare di tirarsi fuori per inchiesta, per poi ricominciare a fare ciò che facevano prima”.
Veronica Castelli, impersonata da Miriam Leon, è invece il personaggio rappresentativo segnalato da Maria Latella: “E’ la sintesi di tante donne oggetto che, con le loro insicurezze e il loro cinismo, hanno riempito le cronache ancora negli anni 2000”.
Secondo Goffredo Buccii invece “in Leonardo Notte – il personaggio interpretato da Stefano Accorsi, che della serie è anche ideatore – si riflettono i molti volti degli italiani: lui è un manager rampante, disinvolto, proveniente dalle fila degli extraparlamentari di sinistra. La sua figura è un’anticipazione della rivoluzione ‘dell’embé’, che rappresenta la definitiva rimozione del decoroso senso di vergogna. Prima, almeno, ci si vergognava quando si era presi con le dita nella marmellata. Dopo si è cominciato a dire con improntitudine: evado le tasse? Embè! Mi prostituisco per fare carriera? Embè!”. Una filosofia d’azione che ci è ben nota.
“Non abbiamo fatto sconti a nessuno e siamo stati spietati nell’analisi dei tipi sociali e dei tic comportamentali”, ha spiegato Alessandro Fabbri uno dei creatori della serie. “Abbiamo parlato con magistrati e inquisiti per trarre informazioni. Io allora ero un ragazzo e di quegli anni ricordo il clima che si respirava in casa. C’era aria di rivoluzione, ma quel vento durò appena un triennio, fra il 1992 e il 1994, e poi si esaurì”.
“La politica era stata messa in un angolo e sembrava davvero che potesse cambiare tutto. Ma non è successo”, fa eco Liana Milella.
Non è successo forse anche perché il problema non era mettere la politica in un angolo. Ma ridare dignità alla politica e senso alla sua funzione. E mettere invece i corrotti in un angolo. In un angolo o, meglio ancora, in galera.
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Sergio Gessi
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