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di Paolo Stegani

Avete mai provato quella magica sensazione di onnipotenza che ti coglie durante qualcosa di epico? Che sia un momento quotidiano o extra-ordinario, rimane dentro e per un bel pezzo. Se poi vi succede ad un concerto sarà indimenticabile. Di concerti in vita mia ne ho già visti (per mia fortuna) molti e di vari tipi ma quello che hanno tenuto i Foo Fighters in quel di Casalecchio Di Reno se non passa direttamente in cima alla mia lista dei favoriti poco ci manca.
Sold out da mesi tutte e tre le date italiane (considerando anche quella inizialmente non prevista che hanno aggiunto a Cesena dopo l’iniziativa estiva di Rockin1000), mi sono trovato davanti un pubblico variegato ed eterogeneo che solo i grandi gruppi possono vantare. Uno dei pochi concerti dove ho voluto concedermi il “lusso” delle gradinate, quando in genere amo il parterre, ma la visibilità era talmente ottimale da non farmelo assolutamente rimpiangere. La band di apertura termina poco dopo il mio arrivo e comincia invece l’attesa per l’entrata in scena del gruppo per cui siamo tutti lì, all’interno dell’Unipol Arena, a sopportare una temperatura molto (ma molto) caliente.
Poi stop. Basta. Tutto scompare, com’è giusto che sia.
Il grande tendone con sopra il logo del gruppo che oscurava il palco fino a un momento prima è bucato dalle luci stroboscopiche e da dietro di esso arriva assordante il suono del primo accordo della serata. Che sarà una concerto speciale, però, lo si capisce solo dopo, quando arriva implacabile il primo (e quindi il più difficile da dimenticare) urlo di quel pazzo di Dave Grohl che infiamma noi presenti, dal primo all’ultimo.
‘Are you ready? Are you fuckin’ ready?’
Al nostro urlo di risposta irrompe un riff, riconosciuto da tutti alla prima nota. Il tendone si affloscia e cade a terra.
Quattro musicisti gasati, più quello che ha l’aria di essere un sovrano sul suo trono di spade, si lanciano in una delle esibizioni più incredibili e spinte all’estremo del loro classico Everlong.
È una scaletta accurata, quella dei Foo Fighters, ma soprattutto non viene concesso nemmeno un attimo di pausa fra un brano e l’altro, cosa che contribuisce a rendere tutto più esaltante e facile per quelli che, come il sottoscritto, in quelle situazioni amano distruggersi le corde vocali. Ad Everlong seguono infatti brani altrettanto energici come Monkey Wrench e la celebre protagonista della già citata iniziativa di Cesena, Learn To Fly.
Le uniche pause cominciano a vedersi da metà concerto in poi, quando Dave spiega l’importanza che abbia avuto la città di Bologna nella sua gioventù.
‘Posso fare ciò che voglio? Sì? Allora la prossima canzone è per me’.
Così Dave introduce Big Me, unica vera ballad del concerto, dedicata a quei bolognesi che hanno avuto a che fare con lui in passato (il che comporta, inevitabilmente, lo sventolio di cellulari ed accendini al ritmo della sola chitarra utilizzata per il brano).
È alla fine di Walk che arriva la presentazione dei musicisti, a ognuno dei quali è concesso un momento di gloria personale, fra assoli e citazioni di brani celebri (propri e non).
Comincio a notare una cosa che non spesso ho visto in altri concerti: una partecipazione straordinaria del pubblico. Non solo dei singoli spettatori ma una grande coesione generale che genera cori e balli di un’ energia invitante, accogliente, rara.
Lo stesso Dave Grohl se ne accorge e si concede frasi come ‘Il pubblico di Bologna è il più bello di tutti’.
My Hero, Breakout ed una inaspettata Wheels (‘Non la facciamo spesso ma ve la meritate!’) danno il ritmo ad una serata che sembra un treno lanciato alla massima velocità, per giunta pronto a deragliare. L’intento evidente (poi infatti esplicitato) del gruppo è quello di eseguire brani di ogni singolo album del loro repertorio: grandi classici, naturalmente, ma anche pezzi meno scontati come Arlandria e White Limo (entrambi dall’album Wasting Light) e The Feast And The Famine, dall’ultimo album Sonic Highways, mai precedentemente introdotta in scaletta.
Un Dave Grohl con la gamba rotta dimostra più vitalità ed energia di tanti altri cantanti in circolazione e quello che non può fare, ovvero camminare, viene sostituito dal movimento avanti e indietro del suo trono, veramente degno di un re del rock’n’roll.
Si riprende con i brani legati fra loro, mitragliate di assoli e vari momenti introspettivi dove il vero show lo facciamo noi del pubblico, cantando ad un volume incredibilmente alto, di cui Dave Grohl continua visibilmente a stupirsi canzone dopo canzone.
‘Voi italiani siete pazzi, fate tutto quello che vi si chiede!’.
Forse provocati da frasi come queste, quando arriva la tranquilla Skin And Bones accade l’ impensabile, per noi quanto per la band.
A Dave scappa un ‘Manà Manà ‘ stile Muppets Show, che magari avrebbe potuto passare inosservato… e invece no.
La replica è immediata: ‘Tu-tu-rururu’.
Gli schermi mostrano l’espressione sorpresa e divertita di tutti, Foo Fighters compresi. Non l’avessimo mai fatto.
‘Manà Manà ‘.
E noi: ‘Tu-tu-rururu’.
Cara Skin And Bones, mi dispiace per te, ma ormai è fatta: un minuto buono di questo botta e risposta al termine del quale Dave Grohl non riesce più a trattenere le risate e noi gli applausi entusiasti. Come si fa a non amare un cantante del genere?
Ritorno in grande stile alle chitarre distorte con This Is A Call, e dopo la cover di In The Flesh? dei Pink Floyd arriva il brano di chiusura, da tutti atteso per la sua bellezza ma triste segnale che si è purtroppo giunti alla fine.
‘Non siamo soliti fare bis: saliamo sul palco e semplicemente suoniamo, suoniamo, suoniamo’ aveva detto Grohl qualche canzone prima.
Non ce n’è bisogno, se finisci un concerto così.
Best Of You l’ho ascoltata mille volte e non delude mai, ma in versione live è un’altra cosa. Non solo per la durata, che raddoppia, ma per quello che si genera fra loro e noi.
O meglio: non so se avvenga sempre, ma posso confermare che a Bologna è stato così.
I cori lenti, potenti, intensi di metà canzone sono i veri protagonisti di quello che sembra essere un inno: un inno al rock’n’roll e a tutto ciò che esso rappresenta.
Finisce fra i fischi degli strumenti, lasciati apposta al massimo volume, e gli applausi entusiasti di tutti coloro che come me hanno potuto assistere ad un’esibizione indimenticabile.
Quel fischio assordante sembra quello di una macchina d’ospedale, a simboleggiare la morte di qualcosa.
Strano a dirsi, dato che una volta usciti ci siamo sentiti più vivi di quando siamo entrati, ma forse inconsciamente racchiudeva già il dolore di noi tutti, ancora ignari, per le vittime di Parigi: un dolore che ha portato i Foo Fighters a decidere di annullare le prossime date del tour.
Ma non è così che voglio ricordare la serata di venerdì: mentre altrove la celebrazione della Vita veniva interrotta, mi piace pensare che invece, a Bologna, la Vita e la Musica siano state celebrate a dovere, un po’ per tutti.
Voglio citare la frase di un amico:
‘Andare al concerto dei Foo Fighters è come fare sesso. Quando la serata è quella giusta, tutto parte da una sguardo, e poi sono due ore e mezza di puro godimento. La mattina dopo ti alzi, ti guardi allo specchio, ridi e pensi: ‘Cosa diavolo è successo ieri notte?”.
Amen. E non solo, aggiungo io.
Ti guardi allo specchio e pensi: ‘Is someone getting the best of me?’

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