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NOTA A MARGINE
La finanza europea svuota l’utopia dell’Europa

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Le dichiarazioni dei rappresentanti delle istituzioni dell’Unione Europea, in occasione dell’imminente referendum greco, svelano con chiarezza la deriva sociale che sta investendo l’Europa del XXI secolo. L’arroganza di premier e presidenti nei confronti della situazione greca rivela lo stato reale dell’Unione, un progetto partito male e che, se il cittadino non farà appello alla sua ultima lacrima di umanità, finirà peggio.

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La bandiera greca fotografata da Vittorio Colamussi

E’ vergognosa la costante ingerenza dell’Unione Europea nella politica interna degli Stati membri. Juncker, che consiglia fortemente ai greci di accettare le proposte della Commissione e dei creditori, e Angela Merkel, che paventa disastri internazionali nell’ipotesi che l’uscita dall’Euro della Grecia si avveri, dimostrano i reali principi fondanti dell’Unione Europea: paura, ricatto e usura.

Dagli accordi di Bretton-Woods del 1944 fino al Trattato di Lisbona del 2007 è stato costituito un tessuto economico-sociale che sistematicamente prevede l’annullamento del cittadino privilegiando la logica ferrea del profitto capitalistico e la cieca adesione e fede nella dottrina liberistica imposta ai paesi europei dopo il disastro della Seconda guerra mondiale.

L’uomo da cittadino è stato riportato allo stato di suddito e si è concretamente realizzata quella totale alienazione profetizzata già a fine Ottocento, ma che nel XXI secolo assume i caratteri della sua deriva più inquietante. L’uomo è stato annullato in quanto soggetto creativo e lavoratore e in quanto soggetto razionale e coscienziale. Analogamente alle api virgiliane private del frutto della loro attività, la maggior parte degli uomini, integrati nell’elefantiaco apparato burocratico, è di fatto resa estranea al prodotto del lavoro. L’uomo è sostanzialmente alienato anche rispetto la propria essenza e al proprio libero arbitrio, inserito in un ormai insensato sistema di democrazia “delegata” che sancisce la rinuncia alla sovranità.

La distruzione dello stato sociale (istruzione, pensioni, sanità) si aggiunge alla privazione del lavoro, l’unica vera ricchezza di una nazione e unico modo per assicurare il rispetto della giustizia economica e sociale. E nell’ambito dello stato sociale è fondamentale aggiungere anche il concetto di cultura “inutile”, cioè non utilitaristicamente finalizzata alla produzione di merci. Il fallimento definitivo della società moderna risiede proprio nel non riconoscere il valore e la necessità della Cultura, come dimostrato dai costanti tagli alla ricerca scientifica, all’istruzione e alla conservazione del patrimonio artistico.

Si è deciso di preferire la finanza alla cultura, di preferire l’homo oeconomicus all’homo sapiens e di fondare così una società in cui è più importante controllare le oscillazioni dello spread anziché conservare il patrimonio artistico di Pompei, in cui ha più valore un punto percentuale del PIL rispetto a una poesia di Leopardi, a un dipinto di Botticelli o a un’opera di Rossini.

J.M. Keynes, nel suo “Prospettive economiche per i nostri nipoti” spiega come nella moderna società industriale si finga che “il male sia il bene e che il bene sia il male; perché il male è utile e il bene no”. E’ stato deciso di rinnegare la Repubblica dell’Utopia di Ezra Pound preferendo “leccare le scarpe dei panciuti della borsa e dei sifilitici del mercato”, rinunciando alla virtù dell’onestà.

In particolar modo, per la Grecia e l’Italia ciò ha rappresentato un omicidio dei propri saperi.

La deriva dell’Unione Europea era facilmente prevedibile dall’origine della sua costituzione e progettazione. L’istituzione europea, infatti, non sgorga dalla vita storica e collettiva di un popolo e non riconosce la particolarità di ogni realtà nazionale. L’Unione, che invece di unire ha diviso e inimicato, sgorga dalla falsa morale di uomini e donne che, con un termine nietzschiano, rappresentano gli odierni “predicatori di morte […], gente superflua che ha inquinato la vita”.

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Fabio Zangara



PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)