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NOTA A MARGINE
Davigo: “In Italia si continua a rubare come prima, ma senza vergogna”

“All’estero ci vuole coraggio per commettere un reato, in Italia ci vuole coraggio per rimanere onesti”, sono le parole di Pier Camillo Davigo a Peter Gomez e Marco Travaglio in “Onorevoli wanted” (Editori Riuniti, 2011) ed esprimono al meglio quella strana sensazione di malessere che attanaglia quasi sempre il pubblico dopo aver visto alla tv le inchieste di Report e di Presa Diretta oppure all’uscita dagli incontri sulla legalità o sulla corruzione – dipende dai punti di vista – in Italia. La corruzione è sempre più un fenomeno collettivo, mentre l’onestà un fenomeno individuale: questa è l’amara verità. “Non sono un fan degli incontri sulla legalità: sono il segnale che il Paese ha un gravissimo deficit di legalità. Ve li immaginate in Svezia o in Inghilterra?”, in effetti è difficile, anche con un grande sforzo di immaginazione. Ma c’è da essere ottimisti, sdrammatizza Davigo, “come nel detto popolare secondo il quale il pessimista pensa che peggio di così non possa andare, mentre l’ottimista è convinto che possa andare peggio eccome!”.

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Pier Camillo Davigo

Siamo al Teatro De Micheli di Copparo in un giovedì pomeriggio di metà maggio dal cielo plumbeo, mentre poco distante sta passando il Giro d’Italia, ma il pubblico non manca. L’ex componente del pool milanese di Mani Pulite, ora Consigliere della II Sezione penale presso la Corte di cassazione, è l’ospite del terzo incontro del progetto “Legalità”, organizzato dalla Direzione didattica di Copparo in collaborazione con Spi-Cgil e
il coordinamento provinciale di Ferrara di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. A intervistarlo è il direttore de La Nuova Ferrara Stefano Scansani, le cui domande che vanno dritte al punto, come ad esempio: “Perché in Italia non tintinnano più le manette?”. Davigo non si tira certo indietro: “Perché da più di 20 anni la politica è più impegnata a contenere l’attività degli organi preposti alla repressione, piuttosto che le devianze delle classi dirigenti”. In questi anni gli italiani si sono sempre più convinti di vivere in un paese sempre meno sicuro, soprattutto per l’aumento della microcriminalità, ma secondo Davigo i temi dell’insicurezza e della microcriminalità vengono usati “per distrarre i cittadini dai due veri grandi problemi dell’Italia: la criminalità organizzata, documentato da almeno 160 anni, ma risalente ad ancora prima, e la devianza delle nostre classi dirigenti, un fenomeno che non ha eguali negli altri paesi europei”. Tutto diventa più chiaro con l’esempio del processo Parmalat per aggiotaggio, in cui le parti civili erano circa 45.000: “quanto ci mette uno scippatore a fare 45.000 vittime? Se fa 4 furti al giorno, circa 10.000 giorni. E quanti vengono scippati in una volta sola dei risparmi di tutta una vita?”
Davigo non vuole rischiare di incorrere nella retorica di qualunquismo: “quello che contesto alla politica è l’incapacità di quelli per bene di prendere le distanze degli altri, è inaccettabile che accettino di sedersi l’uno a fianco dell’altro”. In effetti sembra che in questo paese, con la scusa del garantismo, si sia un po’ persa per strada la differenza fra ciò che eticamente e ciò che è penalmente sanzionabile e sanzionato, con buona pace di quella parte dell’articolo 54 della nostra Costituzione che recita: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.
La domanda mi sorge spontanea: secondo il magistrato, come può una classe dirigente come questa mettere mano al delicatissimo equilibrio di pesi e contrappesi fra i vari poteri costruito nella Costituzione? Davigo non si perde in giri di parole: “Sento parlare da 30 anni di tre grandi aree di riforma: il presidenzialismo, che ora è diventato rafforzamento dei poteri del premier, l’abolizione del bicameralismo perfetto e il federalismo. Quanto alla prima: il presidente del Consiglio è tale in virtù della fiducia che gli danno le camere, dunque è anche il capo della maggioranza parlamentare, quindi semmai assomma in sé troppo potere e bisogna ridurlo non aumentarlo. Quanto alla seconda: si sente spesso dire che due Camere che devono approvare le stesse leggi non sono efficienti perché impiegano troppo tempo, ma il problema dell’Italia non è di avere poche leggi, ma di averne troppe. Infine il federalismo: la regione che ha il massimo di autonomia è la Sicilia, con i brillanti risultati che sono gli occhi di tutti. La Sicilia ha bisogno di una maggiore autonomia o di funzionari di lingua tedesca presi dal Brennero e mandati a Palermo, così non possono capire le minacce?”
Non poteva mancare il riferimento a Mani Pulite: “dopo tutto è tornato come prima, anzi peggio, ma voi a cosa siete serviti?”, domanda Scansani. Davigo rivela una buona dose di autoironia e dà un’interpretazione quasi darwiniana di quella stagione: “siamo serviti alla selezione della specie, perché, come fanno i predatori, abbiamo preso le prede più lente e quelle più veloci l’hanno fatta franca. Peccato però – continua il magistrato – che in natura anche i predatori migliorano i propri mezzi con il tempo, mentre nel nostro caso, per così dire, non si è lasciato che la natura facesse il suo corso”. Poi si arrende e confessa: “Insieme ad altri colleghi ho contribuito a stracciare il velo di ipocrisia che celava il sistema, prima del 1992 non si aveva idea che rubassero così tanto e così in tanti”. Se “l’ipocrisia è l’omaggio del vizio alla virtù”, perché il primo riconosce la superiorità della seconda e si nasconde vergognandosi di se stesso, con Mani Pulite questo velo è caduto e “purtroppo non hanno smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsene”. Vuoi vedere che fra una riforma e l’altra ci scappa anche il taglio di quelle poche chiarissime parole: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore?”

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Federica Pezzoli



PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)