NOTA A MARGINE
Dalla tolleranza al riconoscimento: la salvaguardia dell’identità nel mondo dell’inclusione
Tempo di lettura: 4 minuti
Agisci in modo da trattare l’uomo, così in te come negli altri, sempre come fine e mai solo come mezzo. (Immanuel Kant)
Non è un argomento semplice da maneggiare il binomio democrazia e laicità, soprattutto nel nostro paese, dove fin dai tempi di Machiavelli principi e repubbliche hanno dovuto più che in altre realtà europee confrontarsi con il più o meno ingombrante “imperio” della Chiesa. Per cimentarsi in questa sfida, nell’ambito del ciclo “La democrazia come problema”, l’Istituto Gramsci e l’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara hanno fatto ricorso al professor Giuliano Sansonetti, docente di Filosofia morale presso l’ateneo estense.
Non è semplice parlare di laicità perché ormai, nel mondo in cui viviamo, sono in parecchi a non vederla più come un principio regolatore della vita sociale. Parlare di democrazia e laicità potrebbe, inoltre, voler dire scoperchiare un vaso di Pandora in cui sono contenute una miriade di implicazioni pratiche: i cosiddetti temi sensibili, dalla procreazione assistita alla diagnosi pre-impianto alla legislazione su testamento biologico e fine vita; il riconoscimento o meno di nuove forme di convivenza e di unione diverse dal matrimonio; l’insegnamento della religione nella scuola pubblica e l’assegnazione di contributi alle scuole paritarie confessionali; fino all’opportunità o meno di ospitare in un municipio una conferenza stampa sulle iniziative per il decennale dell’ordinazione di un vescovo [vedi].
Sansonetti ha voluto, invece, andare alle origini del concetto di laicità e riflettere sugli eventuali difetti che si porta dietro, lasciando a ciascuno la riflessione sulla sua applicazione alle singole questioni pratiche: non a caso uno dei cardini della laicità è l’autodeterminazione del singolo.
La storia della laicità in realtà è abbastanza recente e comincia all’indomani delle guerre di religione che hanno dilaniato l’Europa fra Cinquecento e Seicento. Tutto inizia con la “Lettera sulla tolleranza” (1689) di John Locke e con il “Trattato sulla tolleranza” (1763) di Voltaire: se nella prima la tolleranza riguarda solo la sfera religiosa, distinta da quella politica, nel secondo si arriva alla tolleranza civile, cioè riguardante ogni forma di attività umana. “La tolleranza e la laicità diventano così il nuovo fondamento unitario della vita sociale” in Europa. La sua prima sanzione giuridica però è la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” (1789). E quel “dell’uomo” non è affatto banale o scontato, come ha sottolineato Sansonetti: significa aver incluso “anche quelle persone che fino ad allora non erano state giuridicamente riconosciute dalle istituzioni statali”. Ecco perché la Rivoluzione Francese concede pieni diritti civili alla popolazione di origine ebraica e abolisce la schiavitù nelle colonie. In altre parole, ha affermato Sansonetti, “l’umanità, la natura umana, diventano l’elemento comune al di là delle divisioni nazionali e religiose e la base per quei diritti che nessuna autorità può conculcare anche al di fuori del patto che istituisce la convivenza in Hobbes o del contratto sociale come concepito da Rousseau”. Ed è da questa concezione della specificità della natura umana che deriva anche la morale kantiana, che vede in ogni essere umano un fine e non un mezzo.
L’umanità universale dell’Illuminismo però ha due difetti, che al giorno d’oggi diventano così significativi da comportare un suo parziale ripensamento: pecca di astrattezza e di eurocentrismo. Già il Romanticismo ha messo in luce come l’umanità “sia fatta di popoli, portatori di culture e significati diversi”.
Nell’odierno contesto globalizzato e multiculturale, secondo Sansonetti, è necessario passare dalla tolleranza al “riconoscimento”. Come afferma il filosofo canadese Charles Taylor, i cui contributi riguardano le aree del comunitarismo, del cosmopolitismo e della secolarizzazione, “l’altro, il diverso da me, non chiede solo di essere tollerato, ma di essere riconosciuto”.
In questo XXI secolo dunque la sfida della laicità, o meglio di coloro che si definiscono laici, è affermare sempre di più che “le differenze non sono solo un dato di fatto, ma un valore e un elemento di arricchimento”. Da “semplice separazione di ambiti diversi”, la laicità dovrebbe divenire “lo sforzo di riconoscere all’altro un’identità con pari dignità rispetto alla propria”. La difficoltà maggiore sta certo nel fatto che tale riconoscimento spesso non avviene in modo pacifico, perché implica un confronto con l’altro e, per rimanere in ambito filosofico, la dialettica comporta sempre un conflitto. Il segreto sta nel compromesso nel senso positivo del termine: “la composizione di questo confronto non può essere l’affermazione di un’identità a scapito dell’altra, ma l’inclusione delle differenze nel nostro vivere civile quotidiano”.
Sostieni periscopio!
Federica Pezzoli
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it