NOTA A MARGINE
A spasso per le vie dell’arte tra curiosità, voyeurismo e pura passione
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Da venerdì scorso fino ad oggi, i padiglioni di Bologna Fiere ospitano l’annuale esposizione d’arte, la più importante in Italia, oggi alla 39esima edizione, in cui le gallerie, che quest’anno sono ben 188, mostrano opere di fama mondiale e propongono novità ed artisti emergenti. Tra più di duemila opere, disposte in due padiglioni, si resta ammaliati davanti ai quadri di Giorgio De Chirico, si osservano i ready-made di Mimmo Rotella e si fotografa la Marilyn di Andy Warhol.
Ma l’acquisto delle opere sembra essere l’ultimo dei motivi per cui passare qualche ora circondati dall’arte. Più che per guardare, sembra si vada per essere guardati. Nella giornata di sabato, avvicinarsi ai quadri era un’impresa impossibile, i padiglioni e gli stand delle gallerie erano affollati già dal primo pomeriggio, con numeri che tendevano ad aumentare con il passare del tempo. Potreste pensare che questa sia un’ottima notizia, che, nonostante i tagli alla cultura, l’arte interessi ancora a tanti. Lo credevo anche io, prima di sentire pezzi di conversazione come “amore, un bolero”, con tanto di foto ad una delle celebri donne formose di Botero, che una signora in pelliccia aveva confuso con le sinuose ballerine, avvolte in abiti aderenti, che si muovono seguendo ritmi spagnoli. Arte Fiera, proprio grazie alla fama conquistata nel tempo, si è trasformata da vetrina a passerella: le opere d’arte disposte nei padiglioni sono solo la scenografia ideale in cui mostrarsi, magari nella speranza di incontrare le cosiddette celebrità o un famoso critico d’arte.
Tolta una piccolissima parte di visitatori che è lì veramente per l’arte, i curiosi si guardano intorno, fotografano pezzi contemporanei di dubbio gusto e girovagano tra gli stand nel tentativo di capirci qualcosa. I più audaci osano chiedere i prezzi, spesso da capogiro, illudendo per qualche minuto i galleristi. Tra i tanti che desideravano mostrare l’opera d’arte che è la propria persona e i pochi che speravano di trovare tra gli artisti emergenti il nuovo Picasso, molti erano anche gli interessati all’evento vero e proprio. Perché l’arte moderna e contemporanea è spesso concettuale, impossibile da comprendere per chi possiede solo le conoscenze di base insegnate nelle scuole italiane. Partecipare a quest’evento mi è servito a comprendere la vastità del concetto di arte e la mia ignoranza in merito. Dopo aver compreso questo, ho iniziato ad osservare le reazioni degli altri visitatori che, in buona parte, sembravano divertiti o perplessi, ma mai totalmente consci di ciò che stavano guardando. Di questo se ne sono resi conto anche i galleristi, alcuni dei quali, visibilmente annoiati, hanno paragonato i corridoi dei due padiglioni alle vie di passeggio.
Eppure la presenza di tante persone, di tutte le età, vorrà pur significare qualcosa. Perché all’evento forse mancava la conoscenza di artisti o di opere, ma di certo non mancava la curiosità. Tanta era la voglia di comprendere e di fronte diverse opere avrei voluto la presenza di qualcuno in grado di istruirmi su ciò che stavo osservando senza capire. Il rischio del non insegnare l’arte è quello di farla diventare di nicchia, spegnendo voglia di conoscenza che ancora spinge verso questo mondo.
Camminando tra i padiglioni, dedicati all’arte moderna e contemporanea, ma anche alla fotografia e alle mostre monografiche degli spazi del Solo Show, ci si immerge in mondi ignoti. Si dice che non importa sapere cosa significa un’opera, il suo compito è quello di emozionare, ed è quello che succede anche passeggiando tra gli espositori: si resta incantati dai tratti realistici di quadri che sembrano fotografie, si ride, osservando opere bizzarre come lo struzzo fatto di carte da gioco di Nicola Bolla e si riflette dubbiosi, mentre tutti fotografano i tagli di Fontana, “forse questo potevo farlo anch’io!”.
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Chiara Ricchiuti
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