Cosa significa televisione oggi? L’interrogativo è alla base di una recente ricerca commissionata dalla fondazione Rosselli. Emerge che ciascuno mediamente trascorre davanti alla tv ben quattro ore al giorno. Un consumo costante, reso possibile anche dall’utilizzo di ‘schermi’ alternativi al classico televisore: supporti e dispositivi mobili attraverso i quali seguiamo i programmi. Seguiamo e commentiamo. E’ proprio questa la novità segnalata dallo studio di Monica Sardelli e Federico Tarquini: l’interattività estesa alla tv, la possibilità dell’utente di trasformarsi da semplice spettatore a interlocutore, a dialogante. L’interazione si realizza attraverso semplici sistemi di accesso che consentono di formulare opinioni, domande, esprimere pareri, scegliere fra opzioni alternative. Succede ogni volta che attraverso il nostro smartphone o ipad o grazie ai nuovi televisori dotati di connessione web rispondiamo al sondaggio del tg di Sky o esprimiamo una preferenza per il cantante di X factor…
I media confermano ancora una volta la loro capacità di integrarsi, scrive al riguardo Alberto Marinelli. “E’ una cialtronata – ha ribadito, intervenendo a Perugia al festival internazionale del giornalismo – affermare che l’ultimo nato uccida il predecessore. La storia ha sempre dimostrato il contrario. Sono i gusti e le preferenze del pubblico a suggerire le trasformazioni e indurre il riadattamento dei mezzi”. Così, mentre tv e social communication si ibridano fra loro, stratificando il livello del messaggio, l’utente assorbe la modalità operativa del multitasking fino al punto da replicarla. Multitasking di fatto diventiamo anche noi quando laviamo i piatti mentre guardiamo Ballarò o chattiamo per scambiarci commenti sulla partita alla quale stiamo assistendo davanti allo schermo.
Il bisogno di socializzare e condividere invade e trasforma, dunque, anche il modo di fare e di fruire la televisione la quale, riadattandosi, ripropone il proprio ruolo di prioritario e pervasivo mezzo di intrattenimento. Contemporaneamente però il pubblico si sottrae all’inesorabile e incessante fluire dei palinsesti ed esercita ora, in virtù della tecnologia, la propria facoltà di scelta non solo sul ‘cosa’, ma anche sul ‘quando’, potendo recuperare e gestire i contenuti secondo le proprie priorità.
C’è quindi un tratto polimorfo nella nuova televisione che si accompagna a un maggiore potere di controllo e di scelta dell’utente, che proprio per questo oggi può pienamente definirsi tale.
Dalla parte di chi fa e produce tv resta il problema della misurazione, dell’ascolto. La discussa Auditel ormai può fornire solo una fotografia parziale. L’attenzione si sposta progressivamente sempre più sui riscontri offerti dalla ‘rete’. Questo apre un nuovo problema e prefigura un rischio: che pochi attivi divengano rappresentativi. Quel che sta accadendo è evidente nella dinamica innescata dai vari forum online, dai tweet, dai commenti resi attraverso Facebook che accompagnano le vicende quotidiane: l’espressione pubblica di gruppi pur minoritari, nel silenzio dei più, viene normalmente assunta come ‘sentire comune e diffuso’. E questo non solo nella loro forzata rappresentazione da parte dei media; spesso – in assenza di contraltare – anche ciascuno di noi emotivamente subisce la medesima suggestione.
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Sergio Gessi
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