L’altra settimana me ne stavo bello comodo in cucina a bere un caffè con mio zio, Gianfranco Daspo.
Mio zio Gianfranco Daspo fa il medico a Cuba ormai da anni e ogni tanto, circa annualmente, mi viene a trovare e si ferma di solito per una settimana.
Quest’anno, ovviamente, voleva sapere tutto sulle elezioni amministrative prossime venture qui a Ferrara e confesso che mi sono dovuto preparare per tempo alla sua maestosa tempesta di domande.
Io purtroppo non posso votare qui – anche se Ferrara è la città che amo, città in cui ho i miei orizzonti, i miei progetti ecc. – e devo dire che questa cosa mi uccide.
Tuttavia non è il caso di perdere tempo a spiegare perché io non ho la possibilità di votare a Ferrara, sarebbe troppo lungo e doloroso, andiamo dunque dritti al dunque.
Mio zio Gianfranco Daspo voleva sapere con chiarezza quale sarà il futuro di Ferrara e io – dopo avere pensato a lungo – ho deciso di portare fuori mio zio Gianfranco Daspo – tipo il cane con la cacca – così da permettergli di contemplare egli stesso il caos attuale e quello prossimo venturo.
Siamo quindi usciti e mio zio Gianfranco Daspo inizialmente mi è parso un po’ spaesato.
A suo dire le vetrine del centro gli provocavano un fastidioso disturbo alla vista, una cosa che gli impediva – sempre a suo dire – anche di pensare.
Io non me la sono proprio sentita di contestare un uomo di scienza – un medico poi – anche se nei giorni precedenti il nostro incontro mi ero riguardato compulsivamente l’abecedario di Gilles Deleuze sganasciandomi di brutto quando arrivava la parte sui dottori in medicina.
Ma vabbè, non divaghiamo.
Anche perché – purtroppo – poco dopo, mio zio Gianfranco Daspo è svenuto, rovinando tonfosamente al suolo in via Garibaldi.
La dinamica non mi è ancora ben chiara ma l’unica cosa certa è che ci era appena passato di fianco un uomo abbastanza alto e un po’ rotondo, uno con quella faccia un po’ così che hanno un po’ tutti quelli che giocano a Dungeons & Dragons o leggono libri sui folletti lì, quella roba “fantasy” che io trovo noiosissima.
Insomma, uno di quei tipi che di solito studiano o han studiato ingegneria e hanno quel capello perennemente un po’ così, diciamo ben lubrificato e – come dice un mio caro amico – caudato.
Insomma boh, sarà stato quell’abbagliante, lucido e lubrificato capello caudato ma mio zio è caduto, stramazzato in via Garibaldi, incapace di rialzarsi.
La cosa triste è che poi ha iniziato a dimenarsi tipo tarantolato, sembrava senza vertebre e emetteva piccoli peti a ritmo costante tipo musica techno o come si chiama.
Fortunatamente passava di lì un ragazzo con addosso una maglietta di Bob Marley che – sostenendo di essere un veterinario – ha assestato una strana manovra al collo di mio zio Gianfranco Daspo che – in neanche un minuto – è tornato come nuovo, bello carico e in posizione eretta.
Dell’uomo caudato invece nessuna traccia.
Sparito, proprio come quelle fate e quei folletti di quei libri che tanto mi annoiano.
Ma vabbè, questa è un’altra storia, staremo a vedere.
Cordiali saluti.
Non c’è pace per noi (Impact, 1986)
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