In questi giorni mi ritrovo a rimembrare un periodo assai formativo nella mia vita, il periodo in cui senza volere mi ritrovai a raggiungere – pur all’interno dei miei tuttora perduranti limiti – l’età della ragione.
Mi balenano nel cervello espressioni rutilanti come “enduring freedom”, ricordi di George W. Bush che rischia di soffocarsi con un salatino malamente inghiottito e il sempreverde – anche se ormai defunto – Osama Bin Laden.
Insomma, sono vent’anni di ricordi personali che si stanno sublimando in un ennesimo grande successo targato United States of America.
Citando una brillante commedia britannica di fine anni ’80: in Vietnam non hanno perso, hanno pareggiato.
Possiamo dunque dire la stessa cosa a proposito della “Guerra al terrore” in Afghanistan?
Certo che sì.
Potevano certamente vincere ma chi se ne frega: per vincere i campionati servono anche i pareggi e non importa se l’Afghanistan adesso è un casino decisamente più peso di quel che era nel 2001, l’importante è aver mollato un po’ di bombe in giro e aver acchiappato “lo sceicco del terrore”.
La vendetta è compiuta e “il mondo libero” può proseguire la sua corsa lenta e pesante proprio come lo schiacciasassi che – sempre in quella brillante commedia britannica di fine anni ’80 – passa allegramente sopra al cretino che urla “non abbiamo perso nel Vietnam, abbiamo pareggiato”.
Che dire quindi?
GOD BLESS AMERICA.
Grazie per questi splendidi vent’anni che ricorderò per sempre.
Vent’anni che hanno scandito il mio divenire – più o meno un adulto – a suon di “freedom fries”, “Obama Bin Laden”, “Barack Osama”, “fridom ev dimocrasi”, “Tony Blair”, fialette varie in mano a Colin Powell e tante altre mirabolanti – passatemi il termine – stronzate.
Vedremo come andrà a finire ma qualcosa si può già intuire.
Ordunque buona settimana a tutti e via col pezzo a tema, cordiali saluti.
The fall of Saigon (This Heat, 1996)
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