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Sono segnate dal viaggio e parlano con un filo di voce, guardando in basso. Sono tre delle dodici ragazze che ieri notte sono state catapultate a Ferrara dopo l’increscioso avvenimento di Gorino, dove gli abitanti hanno alzato le barricate contro il pulmann che le stava portando nel bar ostello Amore-Natura. Belinda, Joy e Faith hanno hanno accettato di rispondere alle domande dei giornalisti nella struttura di Asp in via Porta Reno, dove hanno trovato momentanea sistemazione.
Sono arrivate in Italia sabato in serata e a Bologna già domenica mattina: sono dodici ragazze, tutte molto giovani, di età compresa tra i venti e i ventidue anni. Le altre nove sono state provvisoriamente suddivise in altre strutture: quattro risiedono in un hotel a Massafiscaglia (Ferrara), quattro in una casa famiglia a Codigoro (Ferrara) e una nel centro Caritas in città.

Belinda, Joy e Faith aspettano frastornate in una stanza della struttura Asp, dove ancora incredule e imbarazzate cercano di capire e rispondere alle domande dei giornalisti, grazie anche all’aiuto di un traduttore Kevin.
Forse per sfogarsi o forse per cercare una ragione dell’inspiegabile trattamento della notte precedente, Belinda dice: “Non capiscono la nostra storia”. “All’inizio non abbiamo capito quale fosse il problema; poi, quando abbiamo compreso che non ci volevano, ci siamo rimaste male”, aggiunge l’altra ragazza di nome Faith.

Non è facile perché si legge sulle loro facce l’odissea che hanno passato, ma proviamo ugualmente a chiedere qualcosa della loro vita e del loro viaggio prima dell’arrivo qui a Ferrara.
Presi quasi da compassione e a volte sgomento a vedere queste ragazze ridotte in quello stato, proviamo chiedere con accortezza qualcosa della loro vita prima dell’arrivo a Ferrara.

Ci risponde per prima quella che sembra la più forte del trio, Belinda: ‘Vengo dalla Sierra Leone, lì facevo l’infermiera, sono dovuta fuggire per non essere catturata dalle autorità dopo che mio marito, prigioniero politico, è fuggito dal carcere”. “Dalla Siera Leone in Libia – continua Belinda – ho pagato cento dollari, dalla Libia a qui niente” e aggiunge “non sapevo niente dell’Italia in particolare, ma da quando ci sono mi piace molto. Prima di partire conoscevo solo qualcosa dell’Europa”. Anche Joy e Faith, le altre due ragazze provenienti dalla Nigeria, non conoscevano l’Italia, ma la pensano come la compagna.
Joy, incinta all’ottavo mese, ci racconta invece che è fuggita dalla sua stessa famiglia: “sono partita perchè io sono cristiana e mio padre no”. “Vorrei solo trovare un po di pace, tranquillità e non aver più paura, vorrei che mio figlio Michael – non è ancora nato ma lei spera sia un maschietto – “nascesse sereno, che potesse andare a scuola come gli altri bambini’. Per il viaggio dalla Nigeria alla Libia lei e il marito, di cui ha perso le tracce sulle coste africane, hanno pagato 420 euro circa.
L’ultima a parlare è Faith: “sono scappata dalla zona occupata da BoKo Haram, sono andata a nord verso il Mali. Non so più nulla della mia famiglia, nemmeno se sono ancora vivi” dice sussurrando per la troppa stanchezza accumulata. “Arrivate in Libia mi ha accolta un uomo arabo che ci ha aiutate a raggiungere la barca per fare la traversata” spiega la ventenne nigeriana.

Tra loro sembrano molto affiatate, ormai abituate a darsi forza a vicenda costantemente, cercando di reprimere il ricordo di ciò che hanno lasciato e cercando di pensare al presente. In una confidenza ci raccontano che il trio si è formato per caso durante il loro lungo e difficoltoso viaggio, ma Belinda aggiunge:”Io e Joy siamo ‘sorelle’, le nostre mamme sono sorelle”, è una loro usanza chiamarsi sorelle quando ci sono legami di parentela, ma capiamo e poi ci confermano che sono cugine.
Sono partite per i motivi più diversi, inizialmente senza avere una meta precisa, solo con l’idea di doversi allontanare da quell’infausto posto che loro chiamavano ‘casa’.
Si fidano dell’Italia, piace molto a tutte e tre: tra la paura sboccia anche un barlume di speranza per una vita migliore, per un po’ di serenità, anche per un bimbo che deve ancora nascere.
Finalmente, anche se con un po di sforzo, riescono a salutarci con un accenno di sorriso e si allontanano per riposare e ritornare nella loro stanza, come normali persone che hanno bisogno di riposare dopo un lungo viaggio.

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Simone Modica



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