da: Gianni Corazza
Sono consapevole del fatto che sto per scrivere cose “politicamente scorrette” e che mi connoteranno negativamente e mi faranno perdere qualche amicizia. Un po’ mi dispiace; ma non riesco a tacere ciò che, da qualche giorno mi passa per la testa. D’altra parte, tra i miti del mio immaginario, ha sempre avuto un posto di privilegio quel bambino della fiaba che, unico tra tanti adulti fintamente ossequiosi, dice, senza alcun timore che … il re è nudo: a lui va la mia estrema fedeltà, anche se, spesso, risulta politicamente sconveniente.
La nostra è una “società civile”, fondata su solidi e, speriamo, incrollabili principi : democrazia, certezza del diritto, sacralità della vita, comprensione umana e solidarietà. Questi principi, che non possono essere disattesi, hanno radici profonde. Traggono linfa da epoche ed avvenimenti storici, culturali e/o religiosi fondamentali per l’uomo e la sua vita (la carità e il perdono cristiani, l’illuminismo, i principi del diritto ispirati a Beccaria, il materialismo storico, e molto altro ancora).
Se non fossimo espressione di questa “società civile”, se fossimo incivili ed insensibili alla complessità delle cose sociali, potremmo dire, dopo gli ennesimi (ma certamente non ultimi) episodi di brutale violenza nei confronti di persone inermi verificatisi qualche giorno fa a Renazzo e poco tempo prima ad Aguscello, che gli autori di queste barbarie dovrebbero essere, quanto prima, appesi per il collo a qualche alto pennone. Se poi non vivessimo in questa “civile società” ciò potrebbe essere non solo pensato o detto ma anche fatto; non appena accertata la colpevolezza. Tutt’al più si potrebbe riservare a questi barbari criminali un trattamento a carcere duro per il resto della loro vita (senza possibilità di sconti di sorta).
Cioè: se non fossimo condizionati dalla nostra cultura della tolleranza e della comprensione umana, sarebbe possibile cercare di arginare la crudeltà sanguinaria verso gli inermi o, quantomeno, non lasciare impuniti gli autori di efferate violenze! Viene da pensare che, la nostra società impedendoci, di fatto, di tutelare efficacemente i deboli, tanto “civile” poi non è! Nell’ambito della delinquenza e del delitto la nostra organizzazione sociale agisce, di fatto, come un Robin Hood alla rovescia: tutela i criminali a danno dei deboli e degli inermi.
Peraltro questo paradosso viene tranquillamente formalizzato, quando non addirittura istituzionalizzato. Esiste ed opera l’associazione “Nessuno tocchi Caino” che si preoccupa dell’abolizione della pena di morte nel mondo e, di fatto, della tutela dei criminali. Nel nostro Paese, codice penale e di procedura penale, regolamenti carcerari, amnistie ed indulti assicurano ai colpevoli garanzie, tutele ed impunità che le vittime dei reati non hanno.
Probabilmente non sarà civile e non corrisponderà ai valori di tolleranza e umanità che connotano il nostro mondo e il nostro tempo; probabilmente sto confondendo “giustizia e vendetta” (come direbbero i civilissimi membri di “Nessuno tocchi Caino”) ma io sento prepotente l’esigenza di dire basta!; sento prepotente l’esigenza di dire che Caino voglio appenderlo per il collo e che, invece, nessuno può più azzardarsi a toccare Abele e chi lo farà dovrà sopportarne le conseguenze più estreme (si tratti di vendetta o di giustizia: come si vuole). Oggi la nostra civiltà è, di fatto, in guerra: contro la sopraffazione, la violenza e la brutalità. Siamo in guerra e in prima linea ci sono i cittadini più deboli (pensionati, disabili, persone sole). Siamo in guerra e non possiamo preoccuparci di essere civili, tolleranti e ipergarantisti; in guerra non si va con l’abito da sera né ci si porta appresso un pezzo di biblioteca. Non possiamo continuare a far finta che le barbarie che si verificano sempre più spesso siano episodiche ed accidentali: il nostro “mondo globalizzato” ha creato tutti i presupposti perché violenza e sopraffazione siano la “normalità” e aumentino giorno dopo giorno. Ignorare ciò significa rendersi , se non complici dei barbari, colpevoli di favoreggiamento.
Credo che ci sia l’esigenza di un forte movimento di opinione ed azione che vada oltre l’espressione di indignazione e trovi gli strumenti per divenire ineludibile interlocutore delle istituzioni. E’ tempo di pretendere, in ogni luogo ed ogni occasione in cui ciò è possibile, una profonda ed urgente revisione delle regole della giustizia e del funzionamento della magistratura. Cominciamo ad organizzarci per essere operativi.
Gianni Corazza
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