La città è una totalità complessa di storie individuali e collettive che concorrono a scriverne e a descriverne la biografia. Non è mai la semplice somma di un luogo geografico con la sua parte di umanità residente. La relazione di ciascuna persona con la propria città non può essere relegata a un fatto privato, come l’interazione di singoli utenti con uno spazio organizzato, in modo disgiunto dal valore umano di chi la città costituisce.
In questo senso occorre sottrarsi alla tentazione di semplificare ciò che è complesso, presumendo sempre di aver già dato risposte a tutto. Semmai senza considerare che le cose che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi potrebbero rivelare punti di vista inaspettati, se solo apprendessimo ad avere uno sguardo nuovo.
Per questo ritengo che il pensiero del governo della città meriterebbe uno sguardo nuovo. Un occhio che si sforzasse di vedere lontano e di proporre ai cittadini un’idea nuova, se volete, rinnovata, di cittadinanza. Una nuova agorà, in cui ciascuno è accolto come attore ricercato per il governo della città, perché la città è dei cittadini e per i cittadini. Con nuove forme di partecipazione pubblica in grado di andare oltre a quelle fin qui sperimentate, organizzate attraverso il sistema dei partiti. Dando visibilità e un forte impulso al sistema dei forum, in altre parti del mondo sperimentato con successo, a luoghi in cui i cittadini possano prendere parte “in carne e voce”, come direbbe Bauman, al processo decisionale.
Una città capace di mobilitare creativamente tutte le sue risorse per sviluppare il potenziale umano dei suoi cittadini, una città che riconosce e comprende il ruolo chiave dell’apprendimento e delle conoscenze nell’affrontare le nuove sfide di un mondo che si fa sempre più liquido, nello sviluppo della prosperità, della stabilità e della realizzazione personale.
C’è una scuola di cittadinanza da aprire, come impegno di tutti, dove apprendere ad esercitare la cittadinanza attiva, per imparare a pensare in termini condivisi la politica della città, la sua abitabilità, l’economia, la demografia, l’ecologia, la salvaguardia dei suoi tesori di natura e di cultura.
La gara elettorale alla poltrona del sindaco da questo punto di vista denuncia tutta la sua angustia e afasia, lo sguardo corto e miope di una partita a scacchi per occupare la casella del re.
La città è la nostra comunità di destini, parte di quella più complessa che lega insieme le sorti dell’intera comunità umana del pianeta. Questo è il significato del vivere oggi, quello che dovremmo far apprendere ai nostri giovani, uscendo dagli spazi angusti delle nostre visioni e dei nostri particolarismi.
È il tema dei nuovi apprendimenti, di che cosa significa apprendere in modo rinnovato e continuo, per non essere ciechi, per non girare le spalle ad un mondo che cambia con una rapidità che spesso non ci consente di afferrare il nuovo.
È quello che l’Europa da tempo chiede alle città e ai suoi cittadini, l’Europa della strategia di Lisbona, dei tanti progetti Euro-local. Ma nella nostra città di tutto questo pare ci sia ancora scarsa consapevolezza e operatività. Eppure è questa Europa dei cittadini dell’apprendimento, dei cittadini del sapere, dei cittadini della cultura che più d’ogni altra può sconfiggere le spinte anacronistiche e asfittiche di un ritorno a chiudersi dentro i propri confini.
Non è, dunque, questione che in democrazia possa essere assunta isolatamente dal governo della città, richiede nuove forme di coinvolgimento della cittadinanza, nuove politiche di cittadinanza attiva, volte a ricercare modalità nuove di adattamento, a fornire a tutti nuove opportunità di apprendimento. Qui sta il senso di appartenenza e di solidarietà di una comunità di cittadini che sente il valore della condivisione di un destino comune, di una comune storia di vita, vissuta sull’estensione di quel territorio di umanità che è il risiedere insieme.
In una città in cui l’apprendimento continuo è una realtà, l’apprendimento è disponibile per tutti, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, apprendimento come riappropriazione di cittadinanza nella polis. Solo così è possibile favorire una nuova partecipazione, una nuova agorà di cittadinanza attiva, dove ognuno consideri l’importanza di apprendere per sé e per gli altri, cerchi di sviluppare attivamente le proprie conoscenze e le proprie competenze per tutta la vita. Operare in modo che ciascuno si senta attore del governo della città, non ad esso contrapposto o solo fruitore, egoisticamente esigente, ma risorsa che per la sua parte contribuisce alla crescita economica, ad elevare il tenore di vita, a migliorare la qualità dell’esistenza collettiva.
Ogni espressione della vita cittadina ha necessità di un’attenzione sensibile all’esistenza di ogni singola persona, di fornire a ciascuno il senso che la città vive e ha significato, se lo sforzo di ognuno non è un esercizio di burocrazia, ma la condivisione di una comune volontà di arricchimento della qualità dei nostri giorni, di comuni finalità e di una comune idea di appagamento.
Tutto questo non può essere affidato alla pur meritevole iniziativa di un partito, a questionari che interrogano i cittadini sul futuro della città. Dovrebbe già da tempo costituire la costante del modo naturale di essere e di vivere la città, di esprimersi e di comunicare, dove tutti sono chiamati alla responsabilità della propria cittadinanza, a fare la loro parte, come risorsa intelligente e creativa per il proprio futuro e per il futuro dei propri figli. Certo dialogare non è facile, ma imparare a dialogare è proprio di tutte le città che ostinatamente vogliono apprendere, anche per accrescere il loro livello di amichevolezza, per crescere non contro, ma insieme.
L’esperienza tragica del terremoto ci ha dimostrato che questo è possibile. Vorremmo che divenisse, al di là dell’emergenza, la cifra quotidiana del vivere insieme la città. Creare una rete di apprendimento continuo può essere la chiave vincente. Si può. Intanto connettendo a questo fine le diverse iniziative che nella città ci sono, senza mai ritrovarsi insieme a formare il filo conduttore di un progetto condiviso di città che apprende in modo diffuso e permanente.
Solo il Kublai Khan di Italo Calvino pensava che ogni città fosse come una partita a scacchi e che una volta apprese le regole avrebbe posseduto il suo impero. Il Kublai Khan non riuscirà mai nel suo intento, perché nessuna città può essere ridotta al piano d’una scacchiera dove si gioca ora per dare matto al re bianco, ora al re nero. Meno che mai la città della conoscenza.
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Giovanni Fioravanti
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