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Nel profetico Flaiano la vita inutile dell’uomo che sospira

Articolo pubblicato il 5 Novembre 2015, Scritto da Giorgia Pizzirani

Tempo di lettura: 4 minuti


Extraterrestre / vienimi a cercare / voglio una stella / su cui ricominciare… (Extraterrestre, Eugenio Finardi)

“Less is more”: non c’è espressione più autentica per definire le interpretazioni di Maria Paiato, che nell’ultimo appuntamento a Teatro Off sceglie il racconto “Una e una notte” di Ennio Flaiano. Basta poco per trovare il ritmo giusto del racconto: la musica lounge e le sonorità dedicate alle serie sugli alieni negli anni Cinquanta; due accenni di danza e le diverse cadenze dialettali (romanesco, friulano e alieno) sono l’essenziale accompagnamento alla lettura del testo dello scrittore e giornalista italiano, ultimo appuntamento dell’attrice a Ferrara dopo le letture dedicate ad Alberto Savinio, Dino Buzzati e Tommaso Landolfi per il ciclo “Racconti italiani”.

copertina-Flaiano
Una e una notte di Ennio Flaiano

Graziano, il protagonista del racconto, è un giornalista praticante scontento, insoddisfatto; sempre alla ricerca di realizzazione senza impegno, di evasione dal giornale romano in cui è stancamente parcheggiato. Vitellone annoiato, si trascina indolente da un incarico all’altro, stuzzicato solo da prospettive di nuovi incontri femminili che puntualmente si rivelano non corrisposti nelle sue aspettative erotiche mascherate da romanticismo da due soldi. Tutto lo corrode e lo lascia senza gusto, nella indifferente placidità dello scorrere apatico delle sue giornate, mentre i suoi pensieri piatti si accavallano: le giornate alla scrivania del giornale, trascorse in un “ozio non colpevole”; le telefonate monocordi ai genitori; le scommesse, il cinema e il letto con Dory Nelson, ballerina di cabaret attirata dalla vita di falsi lustrini che intravvede con Graziano. La dolce vita romana è quella di Paparazzo e di Marcello Rubini, si sente il profumo di Fellini parola dopo parola… anche la sua interiorità che, al pari del suo essere nel mondo, si snoda in pochi e miseri causa-effetto da ricercare per la soddisfazione di bisogni futili e infantili.

L’immaginazione del giornalista galoppa sperando in qualcosa di nuovo, ma la noia è l’unica profonda certezza di ogni sua esperienza; l’entusiasmo della novità se ne va dopo poco, ogni cosa gli sembra una piccolezza se confrontata alla sua voglia di avventure senza impegno né responsabilità. L’incontro con uno strampalato colonnello appassionato di Ufo lo induce finalmente a fantasticare su una avventura nello spazio, in cui poter essere capito e apprezzato e – magari – trovare quel successo a cui anela. La visione della navicella aliena sospesa sull’acqua, grande novità dorata che attira come gazze prelude forse l’evasione e l’occasione, ma già l’incontro dapprima fortuito con una bella ragazza dallo strano accento, che finalmente riesce a concupire, si trasforma in una avventura surreale e tragicomica. Viene rapito dalla bella aliena e padrona di casa del disco volante che vorrebbe salvarlo – dalla sua mediocrità? Dalla Terra di cui è degno abitante? – o forse salvare se stessa da un improvviso mal d’amore. Ma Graziano riesce ad annichilire anche questo colpo di scena, nel suo nido fantozziano: rivolge le sue focose attenzioni alla cameriera di bordo e Martha, la marziana ingenua e di buon cuore, si libera delusa del mascalzone che fa ritorno alla sua vita di sempre.

Come tutti i grandi, Flaiano è profetico e verificarlo è tanto comico quanto farsesco.
Il fancazzismo del giornalista trentaduenne sembra lo specchio di oggi, che non magnifica ma mostra impietoso il livello raggiunto – tra collaborazioni gratuite o mal pagate e tragicomica ignoranza di basilari regole grammaticali del redattore stesso.
La novità, sia essa di valore incommensurabile per la storia dlel’uomo quanto minima e sfumata, diventa presto vecchia, scarna, di fronte a possibili nuovi scenari. L’astronave, incredibile miracolo sospeso sul mare, non è descritto come fantastica meraviglia ma come qualcosa di già visto, una pagina già sfogliata: uno spremiagrumi di vetro, la cupola di una chiesa. Il litorale ostiense vede già morire Pasolini.
Eccola, la noia moraviana, il mestiere di intellettuale scarnificato che Flaiano fantasticava già prima dell’allunaggio degli americani, e il destino altrettanto idiota di chi non sa scegliere, né decidere, né cogliere ciò che merita.
Un uomo che è ciò che scrive, ciò poco e male: e questo per Graziano vale più che per chiunque altro. Un uomo che sospira l’infinito ma lo guarda da lontano, impigliato nel pantano di una vita inutile come dall’oblò dell’astronave da cui viene cacciato con esasperazione, per il suo ennesimo passo falso.
“E domani? Dopodomani? Vedremo”.

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Giorgia Pizzirani



Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani