da: ufficio stampa giunta regionale Emilia Romagna
I lavoratori realizzano una nuova impresa attraverso l’acquisto della società – spesso in difficoltà economiche, di mercato o senza ricambio generazionale – di cui erano dipendenti. In Emilia-Romagna, 56 new coop e salvati così oltre 1.200 posti di lavoro. Diverse storie di successo
Bologna – L’unione fa la forza. E talvolta aiuta ad uscire anche da una crisi economica aziendale. Un esempio in tal senso è dato dai workers buyout, ovvero quei lavoratori che realizzano una nuova impresa attraverso l’acquisto della società, spesso in difficoltà economiche e di mercato, di cui erano dipendenti. Nel ferrarese sono state create, negli ultimi dieci anni, 2 new coop. E tra queste c’è anche la storia di successo della Lavanderia Girasole di Ferrara, cooperativa composta prevalentemente da donne, che è nata a fine 2013: dopo l’apertura del tavolo regionale di crisi di una azienda appurata la possibilità di proseguire l’attività precedente, hanno rilevato l’azienda.
Questo fenomeno – che ha origine sin dagli anni ‘80, quando proprio per facilitare la costituzione di new coop fu promulgata la legge Marcora- è stato al centro dell’incontro “Workers buyout: mestieri, competenze, lavoro. Storie di nuova cooperazione” che si è tenuto questa mattina a Bologna in Regione. L’appuntamento – promosso dall’assessore regionale alle Attività produttive, Palma Costi, in collaborazione con le centrali cooperative emiliano romagnole – ha analizzato gli aspetti di un meccanismo che dal 2007 si è rivelato in continua ascesa, una risposta ai tanti casi di crisi aziendali che si sono verificati sul nostro territorio.
Negli ultimi anni, in Emilia-Romagna il working buyout ha creato 56 nuove cooperative e ha salvato 1.200 posti di lavoro. E l’esperienza ha riguardato pressoché tutti i territori provinciali con un picco a Forli-Cesena con 30 new coop (2 a Rimini, 8 a Reggio Emilia, 3 a Ravenna; 1 a Parma, 4 a Modena e 6 a Bologna) interessando diversi settori produttivi: il 5%nel settore agricoltura; il 60% nell’industria di cui quasi la metà nell’edilizia; il 35% nel settore dei servizi.
E dietro a queste realtà ci sono diverse, ma anche belle, storie di donne e uomini che si rimboccano assieme le maniche e diventano artefici del proprio lavoro, ma anche storie di imprese che come l’Araba Fenice dalle ceneri di una crisi economica (o dalla mancanza di un ricambio generazionale) risorgono nei mercati globali. Come, ad esempio, la Greslab di Reggio Emilia, per la quale i soci fondatori hanno investito un ingente capitale personale utilizzando la legge 223 del 1991 (ex Marcora) con il riscatto della mobilità e che nel giro di 5 anni è riuscita a riaffermarsi in un mercato non facile come quello ceramico; la Italstick di Modena, cooperativa di produzione di autoadesivi nata da una azienda in crisi, che ha fatto dell’internazionalizzazione il suo driver di successo; la IT Distribuzione di Bologna, cooperativa nel settore della distribuzione di materiali e tecnologie informatiche in tutto il territorio nazionale che, partendo dall’esperienza di crisi ha puntato sul continuous improvement e sull’innovazione tecnologica.
Tutte cooperative che dimostrano come sia possibile trasformare – pur nella complessità del processo-, una impresa in crisi rilanciandone il business e creando anche nuovi posti di lavoro, spesso di qualità mettendo al centro l’innovazione, la ricerca e l’internazionalizzazione.
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