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di Silvia Cirelli

Nel vasto panorama artistico attuale s’incontrano spesso forme espressive che sentono il bisogno di identificarsi in un determinato percorso culturale, quasi a voler legittimare la propria identità nella facile rintracciabilità di un luogo e di un tempo ben definiti. Distanti da questo “nido sicuro”, ci sono invece ricerche che abbandonano completamente questa necessità di appartenenza, distinguendosi per l’audacia con la quale superano i comuni approcci stilistici. Sono sintesi poetiche che fuggono da una qualunque limitazione di confine e che soprattutto spingono la narrazione verso l’esplorazione di una vera e propria esperienza estetica. E’ in questo terreno sperimentale che s’incrocia il percorso di Nazzarena Poli Maramotti, protagonista di questa mostra.

Senza farsi spaventare dalla complessità dei processi sociali che ci segnano, o dal bisogno di tradurre la storia culturale attuale, Nazzarena Poli Maramotti esplora i limiti dei vincoli espressivi, orientandosi verso una rappresentazione che non vuole e non deve trovare una sua precisa definizione.
Sospesa fra astrazione e figurazione, la simmetria creativa di questa interprete non può essere circoscritta a un unico linguaggio, è proprio nell’intervallo assenza-presenza, che l’artista riesce a creare la giusta aderenza lessicale, è solo nella precarietà di una deformazione – intesa come alterazione del soggetto – che trova lecito catturarne la vera essenza.
Con Nazzarena Poli Maramotti facciamo esperienza di una “terra di mezzo”, un luogo apparente, dove le consuete barriere strutturali sono ribaltate, per lasciare il posto a una dimensione intimista, che cresce quasi inconsciamente, assieme alla realizzazione dell’opera. Non vi è alcun ostinato controllo sul percorso produttivo, ma la consapevolezza di una naturale casualità espressiva: si parte da un’iniziale idea di fisionomia, che inevitabilmente si disperde poi nel processo pittorico. La figura cede la sua forma e la sua identità all’evoluzione creativa, con una metamorfosi spontanea che sconfina nel virtuosismo allegorico.
La rappresentazione raggiunge così un livello sensoriale supplementare, che fa proprio della dissolvenza del soggetto il suo punto di forza.
Esempi di questa particolare sintesi poetica sono opere come Anatomia (2014) o Venere (2013), entrambe raffiguranti soggetti che però non vengono effettivamente ritratti, nel senso comune del termine. Nella tela Anatomia, il busto disteso di un uomo gradualmente “si consuma”, confondendosi nel buio di uno scuro e anonimo scenario; nell’opera Venere, di nuovo, le forme della nota dea romana, da sempre simbolo ideale di bellezza, si dissolvono fino a diventare del tutto irriconoscibili.
Nazzarena Poli Maramotti oltrepassa completamente l’universale definizione di ritratto, “quando ritraggo”, come lei stessa afferma, “prendo elementi del soggetto che meglio m’indicano la strada verso il mio luogo, fondendo la sua identità alla mia”. Non è dunque la fisionomia a dare una solida consistenza espressiva, quanto invece la sua primordiale essenza.

Ed è proprio l’Essenziale al centro di una ricerca intimista che l’artista ha percorso nelle sue prime opere, una ricerca che trova eredità all’interno del recupero di alcuni autori del passato. In lavori come Senza Titolo (serie del Tiepolo), Scena Sacra, Epopea, o la stessa Venere, Nazzarena Poli Maramotti riprende vari strumenti tecnici – la prospettiva, il colore, la luce – di grandi maestri, quali ad esempio il Tiepolo, personalizzandone però la consistenza percettiva. Non vi è dunque alcun tentativo d’imitazione, quanto invece la volontà di assimilare ed estrapolare l’essenza del soggetto pittorico, per poi creare una “realtà diversa”, nuova ed esclusiva. All’artista non interessa trovare un’autodefinizione, tanto meno storicizzare il contenuto del messaggio metaforico, il rimando a pittori del passato è un punto di partenza dal quale costruire un universo immaginario, un viaggio, un “luogo di respiro” – come lei stessa lo definisce – che riadatta completamente il soggetto pittorico.

L’equilibrio fra astrazione e figurazione, fra rivelazione e occultamento sono risonanze ricorrenti nella dialettica di questa giovane interprete ed evidenziano la propensione verso la conquista di una trasformazione. Nell’arte di Nazzarena Poli Maramotti nulla rimane inalterato, siamo sempre partecipi di un processo mutevole, di una metamorfosi in evidente e costante movimento. Con ritmo eufonico, le opere esaltano la vorticosa transitorietà di un atto, che restituisce al soggetto la sua insita natura “in divenire”.
Un lavoro che racchiude perfettamente questa mutevole trasfigurazione è l’emblematica tela Angsthase (2014) – in tedesco letteralmente “coniglio codardo” – che ritrae la figura di un coniglio appeso. Le sembianze sono ancora una volta stravolte, ma quello che innanzitutto colpisce è la ridefinizione dei codici spazio-temporali che l’artista attribuisce alla scena. Ciò che in principio doveva raffigurare una natura morta, un coniglio inanimato e inerme, presto lascia il posto a un dinamismo strutturale che scredita completamente l’intenzione pittorica iniziale. La fisionomia del coniglio si esaurisce a poco a poco sotto il vigore di pennellate incisive, segni di fuga che fanno intendere in realtà quanto l’animale sia in movimento, in fuga per l’appunto.

Questo processo di trasformazione, maggiormente maturo nelle ultime opere, non solo segna una consapevole evoluzione stilistica, ma conferma la scoperta di una nuova intensità poetica, capace di tradurre l’autenticità di una tensione. In opere recenti come Tornado o I Cani, infatti, Nazzarena Poli Maramotti spinge l’espressione estetica verso l’interpretazione di un’azione, tanto volubile quanto densa. La narrazione si carica di un’inspiegabile energia che quasi intimorisce per la propria prepotenza. Non è più importante intuire le fisionomie dei soggetti, tanto meno soffermarsi sulle presenze-assenze, è la tensione esasperata, l’unica vera protagonista della scena. Una tensione che, incontrollabile e corporea, attraversa l’intera opera, senza però mai occuparla, senza esserne prigioniera.

Galleria Marcolini
13 dicembre 2014 – 22 febbraio 2015
Nazzarena Poli Maramotti | ARGONAUTA
a cura di Silvia Cirelli

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Redazione di Periscopio



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