Parlare di guerra a Natale ha un senso, perché la consapevolezza dei conflitti attivi in questo momento e in questo mondo tormentato, nel periodo della Natività che è, per definizione, la festa del nuovo inizio, della speranza e della serenità, fa riflettere, sperare in una risoluzione e ripromettere di impegnarsi maggiormente affinchè tutta l’atrocità abbia fine. Non è ingenuità e nemmeno un modo sbrigativo per mettere a tacere le coscienze: è in qualche modo un atto dovuto a noi stessi, se vogliamo continuare a ritenerci onesti e soprattutto a quella povera gente che di guerra ne sa veramente qualcosa perché ne respira il veleno ogni istante e di quel veleno muore. Sono uomini, donne, vecchi e bambini che in un loro passato recente trascorrevano le loro esistenze come chiunque altrove ed ora sono costretti a rincorrere ogni istante la vita perché non si sa mai dove cadrà la prossima bomba e dove l’artiglieria colpisca, non si sa nemmeno se ci sarà latte per i più piccoli e il minimo di sostentamento quotidiano per tutti.
La guerra nel contesto urbano terrorizza più di qualsiasi altra operazione militare e le conseguenze fanno ancora più orrore per il pesante prezzo di civili che ne sono le vittime. Berlino, Bruxelles, Parigi, Aleppo, Kobane, Grozny, sono le testimonianze più recenti ma la storia passata ci ricorda anche Roma (88 a.C.), Tenochtitlàn (oggi Città del Messico, 1521) Parigi (1871), Stalingrado (Russia, 1942), Ortona (1943), Berlino (1945), Hue (Vietnam, 1968), Fallujah (Iraq, 2004) e l’elenco sarebbe lunghissimo. Aggiungiamo anche Donetsk e Luhansk (Ucraina), dove si combatte ancora e su cui è calato impietosamente il silenzio. Il combattimento casa per casa è il peggiore tra tutti, una subdola, martellante, incessante caccia al nemico che deve essere stanato come un topo ed eliminato ad ogni costo. La guerra nei centri abitati è un inferno tridimensionale dove il campo di battaglia non è solo il cielo sorvolato dai bombardieri, le strade e le vie sgombre da macerie ma anche e soprattutto l’estensione verticale degli edifici dove il concetto di avanzata-ritirata è reso nullo, pericoli e imprevisti sono dietro ogni angolo e la conquista riguarda ogni singolo pezzo del caseggiato in modo del tutto diverso e fortuito. La guerra urbana possiede connotati e caratteristiche non ben definite e le sue tattiche non sono convenzionali perché si traducono in imboscate, cecchinaggio, infiltrazioni, azioni atipiche che non permettono di collocarla nel novero delle battaglie classiche, paradossalmente rassicuranti, che conosciamo. La cronaca dei nostri giorni lo dimostra: gli attacchi a città come Parigi, Nizza, Dacca rappresentano la tattica usata dai jihadisti nella loro guerra all’Occidente, con tutte le particolarità di questa tipologia di scontro.
La guerra in città moltiplica gli ostacoli per i combattenti e i civili sono costretti ad assumere in fretta i comportamenti più disparati: la collaborazione, la resistenza, l’allontanamento. Anche l’assuefazione. Possono contare solo sull’istinto e lo spirito di sopravvivenza ed affrettarsi ad ascoltarlo e assecondarlo con ogni espediente, e ancora non basta, perché manca tutto: generi di prima necessità, la casa, i familiari rimasti sotto i colpi e nelle deflagrazioni, i riferimenti spazio-temporali certi. Mancano gli ospedali finiti in macerie e mancano i medicinali. Manca qualsiasi aspetto legato alla normalità del vivere quotidiano.
In questo periodo il pensiero corre soprattutto ad Aleppo, dove la situazione umanitaria è disastrosa e gli aiuti arrivano a fatica. La città è un cumulo di macerie e fin dalle prime battute, è stata teatro di violenti combattimenti con le forze antigovernative. Nel mese di settembre, l’esercito siriano, affiancato dalle forze sciite, dai reparti degli Hezbollah libanesi e dall’aeronautica russa, ha continuato l’avanzata dando un nuovo corso alla guerra, fino ad arrivare al recentissimo cessate il fuoco del 13 dicembre. Tutt’altro che definita e certa, la situazione: i combattimenti stanno già riprendendo e il massiccio piano di evacuazione della popolazione è stato bloccato. Una guerra tra tante che, come affermava Hannah Arendt “non restaura diritti, ridefinisce poteri…”.
Nicolai Lilin ha ricordato così il suo incontro con la guerra: “ In guerra mi facevano più impressione i vivi che i morti. I morti mi sembravano dei recipienti usati e poi buttati via da qualcuno, li guardavo come se fossero bottiglie rotte. I vivi, invece, avevano questo terribile vuoto negli occhi: erano esseri umani che avevano guardato oltre la pazzia e ora vivevano abbracciati alla morte.” Una impietosa, disincantata e brutalmente vera immagine della guerra. Che merita un pensiero anche a Natale.
Sostieni periscopio!
Liliana Cerqueni
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it