di Francesca Ambrosecchia
Il video dell’orso polare che muore di fame ormai ha fatto il giro del web. Quel povero animale e la sua agonia hanno lasciato senza parole. Ammetto che per me è stato impossibile finire quel filmato: il solo vederlo camminare con tale difficoltà, trascinandosi gli arti posteriori, in un’ultima e disperata ricerca di cibo mi ha immobilizzato e commosso. Un cumulo di pelle e ossa in un paesaggio canadese desertico. Mai avevo assistito ad una scena simile.
Il pubblico è stato toccato e scioccato, ancora di più la sua parte più sensibile: ci si rende conto di quanto l’ecosistema sia fragile, di quanta sofferenza stia portando il cambiamento climatico e di quali specie animali stiamo perdendo.
La seconda emozione che ho provato è stata rabbia. Rabbia per le ragioni appena descritte ma anche perché mi sono chiesta come, chi era dietro la videocamera, non avesse potuto far nulla. Una reazione non solo mia, dato che l’autore del filmato si è sentito in dovere di giustificare il suo “non intervento”. L’obiettivo era sensibilizzare la società con l’aiuto di immagini dall’impatto estremo, dare un valore e uno scopo alla morte di quell’essere vivente.
“Avevamo le lacrime agli occhi mentre filmavamo. È stata l’esperienza più sconvolgente che abbia mai vissuto”
Paul Nicklen, attivista e fotografo del servizio
Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la settimana…
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Redazione di Periscopio
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