NOTA A MARGINE
Monsignor Negri e il rimpianto di un potere civile che si genuflette alla Chiesa
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“La Chiesa è fulcro e guida della società”. Atteso con curiosità in una delle sue prime uscite pubbliche dopo la nota polemica a proposito di papa Francesco e dell’auspicato intervento della Madonna a propiziarne la sorte “dell’altro papa”, il vescovo di Ferrara monsignor Luigi Negri stavolta lascia da parte la sciabola e sceglie la via della raffinata argomentazione e del dotto eloquio, ma non perde l’occasione per riaffermare la propria visione del mondo.
Il prestigioso frangente è quello che gli ha cucito addosso il nuovo rettore dell’ateneo di Ferrara, Giorgio Zauli, invitando il prelato a una sorta di pre-inagurazione dell’anno accademico: la riflessione proposta verte sul ruolo del pensiero cristiano nella storia dell’Università. “Ci piaccia o no – è la prolusione del rettore – siamo tutti figli della cultura cattolica romana, il cui contributo è assolutamente fondamentale: il pensiero cristiano esprime un’idea di progresso che induce ciascuno a lavorare su se stesso per poter essere un individuo migliore”.
La marcia del vescovo parte in discesa e si sviluppa attraverso un solido e coinvolgente excursus storico-filosofico che dal medioevo conduce alle soglie della modernità, evocando nascita e sviluppo dell’università come centro di un sapere partecipato. Ma aggiunge: “Il pensiero cristiano come l’istruzione si pone l’obiettivo di rispondere ai grandi quesiti della vita”. Al termine, in assenza di domande da parte dei presenti, il monsignore – citando Tommaso d’Aquino – in battuta lancia una provocazione intellettuale: “O questi – e pare improbabile – hanno compreso tutto, oppure non hanno inteso nulla”. Sfidato, il pubblico si limita a sorridere e applaudire. Mentre qualcuno prende carta e penna e annota sul taccuino ciò che gli pare di aver capito.
Ecco, dunque, che Negri richiama il passato per vivificare “valori che illuminino”, evoca la “Santa romana repubblica” tessendo l’elogio di un medioevo felix e lascia trafilare la nostalgia per un’epoca di “convivenza benevola e pacifica” (che tale peraltro storicamente non fu) sotto l’egida della Chiesa apostolica romana. “Sorretto dalla fede si genera in Occidente un movimento di vita che è argine alla disgregazione della civiltà greco-romana”.
Sottotraccia il vescovo definisce, proposizione dopo proposizione, un parallelo in chiaroscuro fra l’epoca nostra e il tempo antico, di cui mostra di serbar rimpianto, nel quale l’imperatore si genufletteva al papa riconoscendone, prima ancora che il potere temporale, l’autorità morale. Proprio ciò che il vescovo Negri auspicherebbe per questi nostri tempi corrotti, il cui antidoto è per lui rappresentato – ora come allora – dalla capacità della Chiesa di imporre la propria egemonia culturale. “La Chiesa, cui spetta il compito di educare l’Occidente, riporta a unità la pluralità e la diversità, tutto salvaguardando nella sua capacità di accoglienza infinita in un inesausto lavoro di conservazione”, dice.
Dal raffronto fra l’epoca contemporanea e il tempo in cui il Sacro romano impero si rendeva ancella di Santa Romana Chiesa (in una sudditanza plasticamente rappresentata dalla simbolica genuflessione dell’imperatore al pontefice), emerge l’esposizione a una comune insidia che, già dall’anno Mille, arabi e islamici portano all’Europa, cingendola d’assedio per sottometterla all’assolutismo orientale. Da tale rischio ci preservano coloro che il vescovo considera benemeriti alfieri della cultura d’Occidente – i crociati – dei quali già in altre circostanza il monsignore ha decantato i meriti, lamentandone l’assenza dal fronte attuale.
Così – lascia intendere – mentre gli uomini del Medioevo godevano della stabilità garantita dalla Chiesa e della protezione dei suoi paladini, al contrario l’Europa del Duemila appare “sazia e disperata” (come direbbe l’arcivescovo Biffi, buon sodale di Negri) proprio perché, a differenza di ciò che fu nell’anno Mille, ora la società non riconosce più la salvifica guida della Chiesa e non si assoggetta alla sua indiscutibile autorità morale.
Da qui la sottolineatura della responsabilità e del ruolo educativo che la Chiesa svolge in quei secoli, con la conseguente capacità di radicare i valori fondativi del viver civile comunitario, e il fermo richiamo all’evidenza che la la bussola del Signore non possa mancare neppure al tempo presente, pena decadimento e corrompimento dei costumi. Tema caldo e fronte sempre aperto, questo del imprimatur formativo, cui anche i partiti prestano attento orecchio e solerti provvedono alla bisogna. D’altronde, in Italia il processo politico di progressivo smantellamento della scuola pubblica laica e statale per ricondurre l’istruzione nell’alveo della cultura privata e cattolica è con ogni evidenza in atto e di certo compiace le attese del nostro monsignore.
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Sergio Gessi
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