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Giorgio Fabbri

La nomina di Moni Ovadia a direttore artistico del nostro Teatro Comunale aveva suscitato in me alcuni dubbi, ma ora plaudo al maestro per le parole che ho letto sul “Carlino” del 29 dicembre (Cronaca di Ferrara).

«Io non posso vedere popoli segregati o oppressi. La mia spinta etica verso gli ultimi e i vessati non potrà mai cessare perché vengo da un popolo, quello ebraico, vessato, sterminato e condannato a un genocidio. Certo, ho militato per la sinistra e sono di sinistra, ma ritengo che per quanto le idealità siano nobilissime, le ideologie diventano sempre criminali: il grande poeta Sanguineti difese a spada tratta Pound, che si era schierato con i fascisti, perché fu uno dei più grandi poeti del Novecento».

Si tratta di una dichiarazione importante, che accomuna Ovadia ad Hemingway nel giudizio su un grandissimo poeta, che detestava la finanza internazionale senza volto e credeva – come tanti altri che si illusero sognando e poi “dimenticarono” – di aver trovato nel fascismo la “terza via” fra capitalismo e comunismo.

Coerente con se stesso (era cittadino USA) fu inviato a Coltano (dove si trovava, tra i repubblichini ritenuti irriducibili – a torto o a ragione- anche il ferrarese Luciano Chiappini, che lì conobbe un fratello di Romano Prodi) e venne trattato come un animale. Trascorse infatti alcuni mesi di detenzione nel campo, fra cui tre settimane in una gabbia d’acciaio,senza servizi igienici e senza possibilità di ripararsi dal freddo e dal sole cocente (la “gabbia da gorilla”, disse il poeta).

Trasferito forzatamente negli USA, fu poi internato in un manicomio giudiziario, dal quale uscì dopo una decina d’anni grazie all’impegno di poeti ed intellettuali che non lo avevano abbandonato.
Plaudo quindi a Moni Ovadia, perchè i testi di un grande poeta – le cui opere furono a lungo messe all’indice – non possono e non debbono essere giudicate sulla base delle sue idee politiche.
Nè,tantomeno,dal fatto che qualche movimento politico (nonostante la contrarietà e la dissociazione degli eredi) si sia impossessato abusivamente del suo nome.

Anch’io,infine, ho un sogno. Vorrei che, superata ogni barriera ed ogni steccato culturale, Roberto Pazzi potesse leggere pubblicamente qualche brano tratto dai Cantos di Ezra Pound, che – come scrisse Hemingway – “dureranno finchè esisterà la letteratura”.

Giorgio Fabbri

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