Fanno discutere le numerose prese di posizione della Chiesa cattolica a proposito del ddl sulle unioni civili, che porta la firma della senatrice Pd, Monica Cirinnà.
La stessa organizzazione del Family day il 30 gennaio al Circo Massimo, sembra riportare indietro le lancette della Chiesa e del cattolicesimo italiano ai tempi dello scontro etico sui principi non negoziabili.
Le dichiarazioni in proposito del presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, unitamente a quelle di tanti altri (dal segretario della Conferenza episcopale, Nunzio Galantino, fino al neo vescovo di Bologna, Matteo Zuppi, la cui elezione pure è stata salutata con entusiasmo da tanti “cattolici adulti”), parrebbero non lasciare dubbi su questo ritorno nei ranghi stile vecchia maniera.
Persino le parole di Papa Francesco rivolte il 22 gennaio scorso al tribunale della Rota Romana (“Non può esserci nessuna confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione” e “I bambini hanno diritto di crescere con un papà e una mamma”), sono sembrate l’espressione di un’ortodossia che al dunque riemerge tale e quale, al di là di ogni apertura misericordiosa o “rivoluzione della tenerezza”.
A ben guardare, però, alcuni particolari della questione possono solcare una diversità che non andrebbe liquidata in pure coincidenze fortuite, o in aspetti formali che lascerebbero immutata la sostanza.
Non è sfuggita a più di un osservatore attento la cancellazione dell’udienza del cardinal Bagnasco con il Papa, proprio alla vigilia del Consiglio permanente della Cei, iniziato il 25 gennaio.
Al di là del motivo ufficiale (dare precedenza ad alcuni nunzi apostolici sul piede di ritorno per le rispettive sedi), c’è chi ha letto il mancato appuntamento come la volontà di Papa Francesco di non essere coinvolto in prima persona sulla delicata questione, perché siano i laici direttamente a intervenire nel dibattito politico su un disegno di legge.
Una lettura che farebbe il paio con la decisione di Bergoglio, fin dall’inizio, di lasciare alla Conferenza episcopale il rapporto con la politica italiana.
Se si aggiunge che Francesco al V Convegno ecclesiale a Firenze (lo scorso 10 novembre) alla domanda rivolta al cattolicesimo italiano: “Cosa ci sta chiedendo il Papa?”, ha risposto: “Spetta a voi decidere”, il quadro della discussione si arricchisce di elementi che non paiono di contorno, perché sono parsi fuori dalla logica del mandato, che ha sempre caratterizzato il rapporto gerarchia-laici. Verrebbe così meno, qualcuno dice, la regia dei vescovi-pilota che dirigono dietro le quinte, benedicendo i loro passi.
Se questo è il contesto, quello del Circo Massimo sarebbe il primo Family day senza il copyright vaticano.
E se così è, pur esseno stati riaffermati alla Rota Romana (il 22 gennaio) i principi della Chiesa sul matrimonio sacramentale, niente escluderebbe che, su un altro piano, lo Stato non possa regolare alti tipi di unione.
Una lettura che troverebbe un rinforzo, secondo alcuni, nelle parole che Bergoglio ha scritto per la giornata delle comunicazioni sociali (lo stesso 22 gennaio, un caso?), chiedendo che ogni livello di comunicazione costruisca ponti e non fomenti l’odio e rivolgendo poi l’invito al mondo cattolico di evitare la presunzione, la divisione, il linciaggio morale.
Alla luce di questo contesto, le stesse parole di Bagnasco nella sua prolusione di apertura ai lavori della Cei è parsa a taluni più prudente rispetto alle premesse delle scorse settimane. Pur citando alla lettera le parole del pontefice sul matrimonio cattolico, ha anche aggiunto: “Ogni nostra parola, come sempre, vuole essere rispettosa dei ruoli” e successivamente ha detto che i vescovi sognano “un paese a dimensione di famiglia” dove “il rispetto per tutti sia stile di vita e i diritti di ciascuno vengano garantiti su piani diversi secondo giustizia”.
Ciascuno è libero di valutare quanto sia, o resti, vuoto o pieno il bicchiere, ma è difficile non cogliere in queste parole tutta la temperatura del dibattito in atto nel paese sulle unioni civili.
Possono sembrare sfumature di poco conto rispetto ad una sostanza riaffermata con immutata formulazione o, secondo altri, chiusura.
Eppure per chi è abituato a seguire il passo della Chiesa con tutto il carico di una tradizione che pesa inevitabilmente sul presente, oltre a rappresentare una fonte di pensiero ed esperienza, è spesso nei dettagli che si delineano le operazioni di sostanza.
E in questo si confermerebbe il passo di un Papa che ha puntato sulla priorità di mettere in moto dei processi, piuttosto che distillare nuove sintesi dottrinali, oppure che ha affermato l’importanza del tempo sullo spazio.
Così si confermerebbe anche il metro della misericordia, intesa non come l’espressione di una semplice benevolenza di toni esteriori, ma come l’unità di misura di una nuova postura della Chiesa nel mondo che, proprio perché consapevole della portata della sfida, sa che ha bisogno del tempo necessario per un cambio di mentalità e per resistere ad ogni nostalgia di occupare spazi.
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Francesco Lavezzi
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