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Un’artista affermata che espone le sue opere alla Biennale di Venezia dal 1928 fino al 1950 e una “grande incisora”. È così che il critico Lucio Scardino definisce Mimì Quilici Buzzacchi alla mostra dedicata alle sue incisioni, in esposizione fino a venerdì 21 aprile a Ferrara. Ma – quando parli con il figlio Vieri, sua moglie Marina e il nipote Simone Quilici, che sono venuti a Ferrara per l’inaugurazione della rassegna di opere su carta – viene fuori un’immagine più sfaccettata e interessante di Mimì, una donna forte eppure dolce e piacevolissima. Per il figlio Folco, famoso autore di documentari naturalistici in giro per il mondo, lei è quella che gli ha insegnato ad amare i tramonti. Il nipote Simone la ricorda come la nonna da cui era uno spasso andare, che metteva le sue tavole dipinte a disposizione dei nipotini, lasciandogliele usare per costruirsi delle capanne nella casa-studio di Roma. “Quando poi arrivava la sera – racconta Simone – si affrettava a chiamarci sulla terrazza affacciata sul Tevere. Diceva: ‘Adesso andiamo tutti a guardare la frittatona’… è così che lei chiamava il sole all’ora del tramonto”. Autrice di opere realizzate per importanti gallerie e mostre come la Quadriennale di Roma. “Eppure – ricorda la nuora Marina Alfieri – quando finiva un quadro era capace di guardarlo meravigliata, chiedendosi come avesse potuto, lei, riuscire a fare quella cosa”.

Vieri e Simone Quilici (figlio e nipote di Mimì) con il critico Lucio Scardino

La inquadra bene Lucio Scardino, critico d’arte e curatore della rassegna, che ridendo esclama: “Una donna con due ovaie così! Basta guardare questi lavori. Incidere il legno non è facile, serve energia, capacità, precisione. Lei usa tavole anche grandi, che lavora riuscendo a immaginarsi con perizia, precisione e grande modernità i pieni e i vuoti della materia che l’inchiostro va a rendere segno sulla carta. Del resto, bisogna ricordare che rimane vedova nel 1940, quando guarda caso il marito va in aereo con Italo Balbo e chissà come per sbaglio la contraerea italiana li fa saltare in aria e lei, tornata a Ferrara, capisce che con il regime non è aria. Dopo un primo trasferimento, decide di andarsene a Roma con i suoi due figli: Folco, che era nato nel 1930, e Vieri, nato nel 1935. Lascia la casa di Ferrara, la villetta liberty di via Cavour, e si trasferisce a Roma, dove cresce i suoi figli fino a che uno diventa il grande documentarista che conosciamo e il fratello un importante architetto di edilizia popolare e urbanista”. Eppure la città e i paesaggi ferraresi resteranno sempre presenti nella sua opera. A Ferrara Mimì (Emma) Buzzacchi arriva a 15 anni da Medole, nel Mantovano, dove è nata nel 1903. La sua – spiega Scardino – è una famiglia della borghesia agraria, che asseconda la sua vocazione artistica. È qui che prende lezioni di disegno da Edgardo Rossaro e da lui assorbe quel gusto stilistico in linea con l’Art Decò, che caratterizza le prime incisioni che sono in mostra: quelle degli anni Venti. Poi inizia a collaborare alla pagina dell’arte del ‘Corriere Padano’, diretto da Nello Quilici, che diventa suo marito nel 1929. Dopo il matrimonio – fa notare Scardino – il segno si ispessisce e, nelle xilografie degli anni Trenta, il tratto si fa monumentale, aulico, tipicamente novecentesco. Il lavoro di artista si affianca a quello di autrice di testi per la pagina dell’arte del ‘Corriere Padano’, dove chiama a collaborare importanti pittori e critici: Filippo De Pisis, Italo Cinti, Corrado Padovani, Carlo Belli.

“Leggenda ferrarese” di Mimi Quilici Buzzacchi, 1943

Queste frequentazioni influenzano il suo stile, che si fa più scabro, “una sorta di primitivismo neo-giottesco” lo definisce il curatore della rassegna, con i volumi dei monumenti e dei paesaggi che si fanno solenni, come avvolti da un’aura mitica. Nel 1943 incide “Leggenda ferrarese”: San Giorgio che davanti al castello estense (proprio accanto al famoso muretto dell’eccidio raccontato da Bassani ne ‘La notte del ’43’) trafigge il drago che in quel momento rappresenta il nemico tedesco, mentre alle spalle si fa largo la luce del sole, che – secondo Scardino – è quasi una precognizione metafisica della liberazione da parte degli alleati.

Fino agli ultimi giorni continua a lavorare incessantemente. “In tutto realizza un migliaio di quadri – testimonia la nuora – e noi ne conserviamo ancora un centinaio”. A Ferrara restano tanti segni della sua presenza. La famiglia Quilici ritrova volumi d’arte alla libreria Eccelibro di via Saraceno, insieme alle prime edizioni di ‘Mille fuochi’ di Folco e all’opera di urbanistica di Vieri. Nel palazzo municipale gli affreschi della sala dell’Arengo sono realizzati da Achille Funi utilizzando come studio per i cartoni esecutivi la villa liberty di viale Cavour. E nelle pasticcerie del centro ci sono quei dolcetti a base di mandorla (i ‘mandorlin dal Pont’) che – assicura Scardino – “lei amava molto e mi chiese proprio di accompagnarla a per comprarli quando venne a Ferrara, attorno al 1980, perché voleva riassaporare il gusto della sua giovinezza”.

Autoritratto realizzato da Mimì Quilici Buzzacchi nel 1926
Mimì Quilici negli ultimi anni (dal sito mimiquilicibuzzacchi.com)
La famiglia Quilici alla libreria Eccelibro di via Saraceno
Folco Quilici ritratto a Cervia dalla madre Mimì Quilici Buzzacchi

La mostra di Mimì Quilici Buzzacchi “Italia antica e nuova: incisioni degli anni ferraresi (1927-1943)” ha il patrocinio del Comune di Ferrara ed è visitabile a ingresso libero alla Idearte Gallery, via Terranuova 41, Ferrara, fino al 21 aprile 2017, da lunedì a venerdì ore 10-12.30 e 16-19. Sabato e domenica su prenotazione telefonando allo 0532 1862076.

Video sulla mostra di Mimì Quilici Buzzacchi “Sessant’anni di xilografia, 1921-1981″ alla galleria Temple-Tyler School of Art, Roma, 1981 con audio sulla xilografia

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, MN 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, BO 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici UniFe, Mimesis, MI 2017). Ha curato mostra e catalogo “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”.


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