Pochi giorni dopo aver raccontato di Nanni Moretti al BiFest di Bari [vedi], eccomi in sala per l’appuntamento con il suo dodicesimo lungometraggio, al primo spettacolo di giovedì scorso, nella sua sala Nuovo Sacher. Pubblico delle grandi occasioni, prevale la fascia d’età di coetanei, ma folta anche quella di giovani.
La storia scorre con un ritmo costante, quasi come un fiume maestoso; si intrecciano due storie, quella di qualcosa che nasce, il film che la figlia Margherita sta girando, e quella di qualcosa che finisce, la esistenza della madre; Moretti è il ponte che lega, con una presenza discreta, attenta, affettuosa. Come sedotti dalla compostezza della narrazione, non si riescono a elaborare emozioni o pensieri, se non nella parte finale, dove tutti gli eventi e i passaggi si compongono, e alzandosi e lasciando la sala, si viene investiti da una marea montante di sensazioni.
Ancora una volta questo nostro compagno di strada, questo testimone e interprete di oltre 40 anni di storia italiana e generazionale, ha fatto centro. Ancora una volta si ripropone il tema della perdita, già toccato con “La stanza del figlio”; il modo è lo stesso, composto ma intenso; il senso della scomparsa di una esistenza, e di tutto un mondo, in questo caso quello di una professoressa di latino, come è stata nella vita la madre di Moretti, affiora in tutta la sua struggente ineluttabilità. Un cinema in grado di parlare autenticamente di sentimenti, senza forzature ma anche senza autocensure o timidezze.
La contemporaneità dei due eventi, la nascita del film e la fine della madre, sono vissuti nel corpo di Margherita Buy, donna, regista e figlia. Una Buy forse alla sua più intensa e completa interpretazione, in un ruolo che pone una donna finalmente al centro di un film, cosa non consueta nel cinema italiano, come spesso lamentato dalle nostre attrici. Altra interpretazione femminile è quella della madre, nel corpo e nel viso tenero e dolososo di Giulia Lazzarini, attrice di cinema, di televisione, e di teatro, tra gli altri con Giorgio Strehler e Luca Ronconi; una interpretazione di assoluta intensità e finezza, che propone questa coppia di attrici come candidata ai più importanti riconoscimenti del cinema italiano.
Nanni ha una presenza discreta ma essenziale nel film; un profilo di cui si intuiscono i drammi e i dilemmi, insorti nella prospettiva della scomparsa della madre, che lo portano, tra l’altro, alla decisione di abbandonare una carriera di ingegnere, quasi a sottolineare lo sgomento di fronte alla fine di una vita, e la caducità di ogni diversivo esistenziale. E per finire una interpretazione istrionica e in alcuni momenti irresistibilmente comica di John Turturro, attore americano, stralunato, gigione, che vanta un film mai girato con Stanley Kubrick, inserito in una troupe cinematografica talvolta sgangherata che, in un epico litigio sul set, grida un disperato “fatemi tornare nella vita reale”.
A questo punto, non resta che aspettare il responso del pubblico, che comunque nel primo week end pone il film al secondo posto, nello stesso trend dell’ultimo Habemus Papam; viste le caratteristiche del film, pensiamo possa incrementare nel passa parola. Buon 25 aprile, magari con un buon film. Buon 25 aprile!
“Mia madre“, di Nanni Moretti, con Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, Beatrice Mancini, drammatico, durata 106 min., Italia, Francia, Germania, 2015
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Massimo Piazza
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