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di Zineb Naini

Lo scontro di civiltà di S. Huntington, che dal 2001 è stato rivoltato fino allo sfinimento, oggi più che mai sembra una profezia più che una semplice teoria. Gli attacchi al cuore di Parigi, avvenuti il 13 novembre, per molti sono infatti solo la riconferma che una convivenza pacifica tra più culture è fondamentalmente impossibile, soprattutto se “l’altro” è musulmano.
In realtà, come la maggior parte delle guerre, lo scontro è più quello tra gli interessi delle parti in causa, che tra i loro valori. E come ogni scontro che voglia rimanere nei libri di storia le vittime sono innocenti.
Parigi è proprio questo, come lo è Beirut dove il 12 novembre sono morte 43 persone sempre per mano dell’Isis, e come lo è Raqqa (Siria), in cui in queste ore la vendetta francese rafforza il nemico e uccide innocenti.
L’Afganistan e l’Iraq, in questo senso, non hanno insegnato molto e la Francia ha comunque bisogno del suo “12 settembre” per sfogare la rabbia di una nazione ferita. Delle conseguenze di questo sfogo ne scriveremo probabilmente tra qualche anno, e, come prevedo, non saranno parole felici.

In un discorso in cui ha espresso solidarietà con i francesi, il presidente americano Barak Obama ha affermato che “questo è un attacco non solo a Parigi, è un attacco non solo al popolo francese, ma questo è un attacco a tutta l’umanità e ai valori universali che condividiamo”.
Ovviamente l’attacco alla Francia è un attacco all’umanità, ma l’attacco ad un libanese, ad un afgano, ad un yazidi, ad un curdo, a un irakeno, a un somalo o a un palestinese non è anch’esso “un attacco all’umanità e ai valori universali che condividiamo”? Cos’è esattamente che un nord americano, un francese o un italiano condividono che al resto dell’umanità è negato condividere?

Obama e Cameron, che ha utilizzato gli stessi termini del primo, hanno optato per l’utilizzo di termini che rendono tutti i fedeli musulmani, credenti o meno, “l’altro” che si contrappone alla civilizzazione. Rendendo così impossibile per milioni di persone rimanere musulmani e contemporaneamente unirsi al lutto per le sofferenze dei francesi.

Da questi si pretende la ferma condanna e la dissociazione dagli attentatori e dai loro presunti valori. Come se dissociarsi bastasse ad allontanare da sé l’idea che oggi i musulmani siano terroristi fino a prova contraria. Parigi è una tragedia a cui ai fedeli musulmani non è dato il lusso del lutto e del cordoglio. Il pericolo è che come la generazione musulmana del 2001 è cresciuta con la “colpa di New York”, la generazione del 2015 cresca con la “colpa di Parigi”.

La mia conclusione è semplice, oltre che ovvia, almeno per me: “Mi chiamo Zineb e non sono una terrorista… né una bastarda”.

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Redazione di Periscopio



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