Mezzogiorno padano: dolorose storie di ordinaria emigrazione
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“Mezzogiorno padano” di Sandro Abruzzese è un'”Antologia di Spoon River” che parla italiano, per narrare di “una Padania più simile all’America che al Mediterraneo”, un romanzo corale sul dolore del tempo presente, un coro di “io”, storie vere di viandanti cui non manca una parte letteraria. Elemento comune nel cammino di tutti: l’essere stati costretti ad abbandonare la propria terra, che per risollevarsi avrebbe bisogno delle loro capacità, ma allo stesso tempo non è capace di esserne degna, almeno non ancora.
A pochi giorni dall’uscita del volume per Manifestolibri e dalla sua presentazione alla Biblioteca Ariostea di Ferrara, terra d’adozione del suo autore, abbiamo intervistato Sandro Abruzzese, blogger e collaboratore di “Ferraraitalia” ed “Erodoto108”, che di mestiere fa l’insegnante di italiano e storia alle superiori.
“Mezzogiorno padano” è uscito il 3 dicembre per Manifestolibri e il 14 verrà presentato a Ferrara alla Biblioteca Ariostea, come e quando è nato questo volume?
“Mezzogiorno padano” nasce dalla scoperta dello sradicamento e dalla consapevolezza che il tempo e la distanza mutano i rapporti tra le persone, che le amicizie si spengono e la vita si infittisce di solitudine man mano che si va avanti. È il tentativo di dire che la vita non è un romanzo, bensì un insieme di “Io” collegati tra loro da fili esili, trame sottili, che possono spezzarsi con estrema facilità, per migliaia di motivi, e che è difficile tenerli legati. I miei personaggi spesso abitano questa immensa pianura con l’aria di chi ha infilato la propria vita al contrario. Alcuni di loro declinano la vita come un viaggio, altri sono ignari e inconsapevoli di cosa si lasciano alle spalle, vengono sospinti dalla ricerca di qualcosa che manca. Ancora non sanno cosa perderanno, a cosa stanno rinunciando.
Perché è “un atto d’amore per il Meridione e al contempo un’espiazione”?
Perché è il tentativo di dar voce a generazioni di persone che pur avendo fatto tutto ciò che il loro Paese chiedeva, pur avendo lavorato, studiato, raggiunto livelli di eccellenza, sono state costrette ad abbandonare la propria terra, anche se questa per risollevarsi aveva e ha estremo bisogno di loro. Hanno a che fare con uno Stato che, sia a livello locale sia centrale, non è sempre all’altezza della nostra eccellenza e dei nostri drammi individuali. Chiunque sia costretto a lasciare il luogo in cui è nato, a qualsiasi latitudine, magari sospinto dalla ricerca di condizioni di vita migliori, sa di non aver lottato per cambiare le cose. Quindi porta con sé un senso di colpa profondo. Il libro rappresenta l’atto d’amore di chi continua a pensare al luogo in cui è nato e il tentativo di espiare il senso di colpa per averlo abbandonato. Dirò di più: è anche il tentativo di usare la scrittura per ritornare, e ricreare un legame.
Tu parli di una sorta di “Spoon River” in narrativa, puoi spiegare meglio cosa intendi“
“Spoon river” attraverso le voci dei suoi personaggi deceduti narra le vicende di un paese simbolo della provincia americana. Mezzogiorno padano attraverso le voci dei meridionali emigrati nella Pianura padana, o di quelli rimasti nel Mezzogiorno tra innumerevoli problematiche e compromessi, cerca di scavare nelle vite di chi insegue un futuro che non gli è stato concesso. In entrambi c’è l’uso di nomi e cognomi che indicano legami e parentele tra personaggi. E c’è anche un certo sentire comune, un’affinità.
I “protagonisti incontrati” nei racconti sono incontri reali o ispirati da incontri reali che poi hai rielaborato? Ce ne puoi raccontare qualcuno?
Sono storie vere a cui non manca una parte letteraria, una rielaborazione personale. Un esempio può essere la storia di “Marta Langella”, la bambina che per ricevere cure adeguate è costretta a trasferirsi da Torre del Greco a Parma insieme ai suoi genitori. È una storia simbolo di una grande vergogna contemporanea italiana: l’invenzione del turismo sanitario, che in questo caso costringe a una dolorosa scelta di vita. Suo contraltare è la storia del giovane medico napoletano “Antonio De Gennaro”, talento della chirurgia formatosi all’ospedale Cardarelli di Napoli, che da precario nella città partenopea diventa vice primario a Domodossola. Due storie vere che sono facce di una stessa medaglia: meridionali che emigrano al Nord per avere assistenza e cure adeguate e giovani eccellenze del Sud che per uscire dal precariato devono andare via.
Qual è la nota che fa cantare tutti questi racconti all’unisono, facendo di “Mezzogiorno padano” un libro corale, o meglio “un unico romanzo”, come lo definisce Teti nella Prefazione?
Vito Teti l’ha definito un unico romanzo sul dolore del tempo presente. Mi trovo d’accordo. Mentre lo scrivevo ho costantemente pensato alla sua organicità, a storie che costituissero i pezzi di un puzzle da ricostruire. Le storie minime, fatte di quotidianità, di accenni, si attorcigliano intorno al filo della partenza, della permanenza intesa come resistenza attiva. Il mio è un tentativo di mettere in scena la vita comune con le sue crepe, le incertezze, i piccoli successi, gli enormi sacrifici a cui si viene chiamati da un’Italia contraddittoria, incompiuta, menzognera, che ho definito un “Paese bambino”.
Parlaci del tuo blog Raccontiviandanti, c’è un legame con questo libro?
Il mio blog Raccontiviandanti è nato con il proposito di raccontare storie di migrazione, di viaggio, e poi è diventato un taccuino personale, se non un diario. Anni fa, proprio in qualità di blogger, iniziai a raccogliere testimonianze e dati biografici delle persone che incontravo nel nord del Paese. Ero stupito dal melting pot padano, dalla quantità di meridionali che lavoravano e lavorano in ruoli strategici, di grande responsabilità qui al Nord, dalla quantità di stranieri che contribuiscono in maniera silenziosa allo sviluppo del Paese. Ne è nata l’idea di narrare il Nord ibrido, la Padania più vicina all’America che al Mediterraneo. Dal blog ha poi preso corpo l’idea di raccontare alcune di queste storie. Dopo due anni è nato “Mezzogiorno padano”.
Hai già nuovi progetti nella tua sacca da viandante?
Per adesso mi occupo di questo libro, “Mezzogiorno padano” porta con sé la grande responsabilità di ripagare la fiducia accordatami da Rino Genovese, Vito Teti e dagli altri scrittori che hanno speso tempo e consigli per questo lavoro. Ho intenzione di incontrare le persone e parlare dei temi del libro, di affrontare i temi dello sradicamento nelle sue molteplici varianti, e tenterò di dare un nome ai volti di questa pianura che accoglie persone da tutto il mondo ed è in continuo, anche se lento, cambiamento.
“Mezzogiorno padano” sarà presentato il 14 dicembre alle ore 17 nella sala Agnelli della Biblioteca Ariostea di Ferrara. Sandro Abruzzese incontrerà il pubblico insieme a Roberta Bergamaschi e Matteo Bianchi.
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Federica Pezzoli
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