Una vita di carta quella di Margherita Bandini [Qui], moglie del mercante pratese Francesco Datini [Qui] negli anni che vanno dal 1376 alla morte di lui avvenuta nel 1410. Viene a proposito per accompagnare il nuovo titolo di questa rubrica di indizi letterari e terrestri che passa da Di mercoledì a, per l’appunto, Vite di carta.
Ho conosciuto la storia di Margherita andando a visitare giorni fa la sua casa nel centro di Prato, in quello stesso imponente palazzo di proprietà del Datini che ospita L’Archivio di Stato. Nel palazzo ella ebbe casa e bottega, dal momento che negli anni assunse, oltre alla conduzione della dimora di famiglia, anche un ruolo di primo piano nella gestione dei traffici commerciali del marito.
La sua vita viene restituita ai visitatori con una doppia esposizione, quella museale contenuta nella abitazione che fu dei due sposi, della figlia di lui Ginevra e della servitù. E quella in mostra temporanea nell’altra ala del palazzo presso l’Archivio, con il titolo accattivante di Paper in Motion. Il mondo di carta del mercante di Prato:
oltre un centinaio di documenti esposti nella sala delle conferenze scritti in italiano, latino, ebraico, arabo, olandese e in altre lingue ancora, a testimonianza degli ampi scambi finanziari e commerciali dell’azienda di Francesco tra il tardo XIV secolo e gli inizi del XV, nei paesi dell’Europa occidentale fino alle coste di Egitto e Inghilterra.
Che donna particolare fu Margherita. Andata sposa a soli sedici anni a un uomo di molti anni più vecchio di lei, secondo il costume dell’epoca, seppe affiancarlo non solo nelle vicende della vita familiare, ma si applicò per imparare a scrivere e coadiuvarlo nella attività mercantile, tra le più affermate del basso Medioevo.
Il Fondo Datini è sicuramente il più noto tra i fondi conservati nell’Archivio e presenta una ricchezza straordinaria di documenti sul sistema aziendale costruito da Francesco, con 8 filiali o fondaci in città italiane ed europee e con una rete dicevamo più che europea di rapporti commerciali ed epistolari.
Nella sala conferenze dell’Archivio si può ammirare la scelta di documenti scritti a cui ho fatto cenno, tuttavia l’intero patrimonio documentario del Fondo, con i suoi libri contabili e le circa 150.000 lettere sia commerciali che private, costituisce il più importante archivio mercantile al mondo.
Sopra ogni altra in quella sala mi ha parlato la voce di Margherita. Prima attraverso gli esercizi a cui si è applicata per imparare la scrittura: il foglio su cui sono tracciati è pieno di parole sovrapposte o cancellate, e la mano che scrive è impacciata.
Poi col documento successivo, un foglio pieno zeppo di scrittura ordinata e regolare, che mostra quanto Margherita abbia appreso a scrivere speditamente. Il marito, che è spesso lontano per seguire i suoi traffici, le ha chiesto di gestire gli affari a Prato.
E allora le lettere che gli arrivano da lei, numerosissime, lo ragguagliano di tutto un mondo familiare e cittadino, non solo rispetto ai traffici di merci di ogni tipo, ma sulle consuetudini della casa di Prato e di quella a Firenze, la alimentazione e ogni altro aspetto della vita urbana che possa entrare nelle mura del palazzo.
In una lettera, esposta nella loro casa in una sala del piano terreno, Margherita dà spazio alla loro vita privata, esprime per il marito lontano tutte le premure che riguardano la sua salute e il buon esito degli affari.
Se le esigenze del marito hanno allontanato lei dal cliché della donna medievale che resta chiusa tra le mura domestiche a occuparsi solo della famiglia, altrettanta influenza hanno avuto sulle fortune di Francesco le doti relazionali con cui la moglie rafforza amicizie e alleanze con i soci e gli alleati politici. Esprime anche le sue critiche sulla organizzazione del lavoro che ritiene troppo accentrata e gravosa, suggerendo a Francesco di delegare alcuni compiti agli impiegati.
Soprattutto la sterilità di Margherita cambia il corso delle loro vite. Le tracce di carta lasciate da Francesco, ovvero le lettere che ha inviato agli amici, parlano della tristezza e della delusione che prova per la mancanza di un erede maschio. Lui quarantenne l’ha sposata quando lei aveva sedici anni e per questo poteva aspettarsi una prole numerosa, o almeno il figlio maschio che avrebbe ereditato la sua impresa.
Ma i bambini non arrivano. Francesco ha relazioni e figli con altre donne, alcune sono schiave della casa, ma dei cinque figli che gli nascono sopravvive la sola Ginevra. Margherita impara a voler bene alla bambina, che cresce con lei e il padre nella loro casa, rivelando un temperamento generoso e attento alle necessità dei figli altrui.
Come avviene nel momento in cui Francesco stila il proprio testamento e ne ascolta i consigli: lascia infatti la sua eredità ai poveri, per metà all’Opera del Ceppo di Prato e per l’altra metà allo Spedale di Santa Maria Nuova di Firenze. Il nome della moglie compare molte volte nelle volontà testamentarie, come segno della “grande fidanza” riposta in lei e della riconoscenza per avere supportato i traffici commerciali di famiglia.
Che donna, dicevo, è stata Margherita. Mentre mi raggiunge la figura di un’altra moglie famosa per la sua sterilità, monna Lucrezia sposa di messer Nicia Calfucci nella Firenze dell’inizio Cinquecento.
Siamo dentro le pagine della commedia più bella del nostro Rinascimento, La mandragola, pertanto Lucrezia è un personaggio di carta, essendo uscita dalla penna di Niccolò Machiavelli [Qui] e avendo lasciato il segno nella storia letteraria, ovvero nel nostro immaginario.
La beffa ordita ai danni di messer Nicia da Callimaco, perdutamente innamorato di lei, prevede che Lucrezia beva una miracolosa pozione a base di mandragola che la renderà fertile. Come si sa, il primo uomo che giacerà con lei potrebbe morirne e allora è Callimaco a entrare nel letto della donna sotto mentite spoglie, nel ruolo di capro espiatorio.
Non intendo ora mettere a confronto la parabola intera delle vite di Margherita e Lucrezia, la prima ricostruibile su documenti d’archivio, la seconda uscita dalla creatività del suo autore.
Me le ha fatte avvicinare il dettaglio della cura contro la sterilità, poiché a entrambe la sapienza medica del tardo Medioevo, come quella del Cinquecento, consiglia di fare bagni termali.
A Francesco gli amici scrivono anche di lasciare Avignone e tornare in Toscana, la cui aria salubre può giovare alla fertilità della moglie.
Resta il fatto che, dalla immersione nelle pagine di carta che di loro ci restano, si potrebbe uscire con la parabola delle loro vite in pugno. Per pensarci su, valutare il corso degli eventi, assumere modelli di vita da riportare al presente e magari considerare più accettabile, sicuramente arricchito, il nostro. Sono vite di carta. Sono vite.
In copertina: Lettera di Margherita Bandini a Francesco Datini, 12 settembre 1402 (su licenza commons wikimedia.org)
Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di carta, clicca [Qui]
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Roberta Barbieri
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