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Ferrara film corto festival

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“Ci devo riflettere”. Con un’inattesa apertura di credito Luigi Marattin si impegna a riconsiderare la soluzione anticrisi prospettata da Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi nel volume “Soluzione per l’euro” e recentemente ribadita anche a Ferrara [leggi]. I due erano stati pesantemente criticati sui social network dal giovane assessore del Comune di Ferrara, docente di economia all’Università di Bologna.
Ma andiamo per ordine seguendo il filo di un dialogo possibile che si è sviluppato a partire dall’unico punto certo e condiviso: la crisi.

Ritiene efficaci e adeguate le misure adottate per contrastarla?
Partiamo dall’efficacia e cominciamo col dire che uno choc di queste dimensioni è probabilmente superiore persino a quello del ’29. La domanda da porsi non è se i provvedimenti abbiano propiziato un aumento del Pil o dell’occupazione, ma cosa sarebbe successo se non fossero stati adottati. Avremmo avuto una recessione molto peggiore…

Chiaro, ma la controprova non c’è…
L’econometria si occupa di questo, valutare e prevedere teoricamente gli effetti.

Certo, ma la previsione è fatta sulla scorta di un modello matematico coerente con il paradigma adottato, cioè con il postulato di base. Sarebbe interessante cambiare punto di vista e valutare scenari possibili che abbiano a riferimento modelli alternativi.
E l’adeguatezza? La cura a suo avviso è appropriata e deve solo essere ricalibrata?
Io non sono convinto che si sia fatto tutto ciò che si doveva nel modo giusto. Il deficit è stato ridotto solamente con l’aumento delle tasse, mentre al contrario di quel che si dice la spesa pubblica è cresciuta.

La percezione dei cittadini però è diversa.
La ‘gggente’ si lamenta dell’aumento delle tasse, al bar non c’è nessuno che imprechi per il calo della spesa pubblica.

La gente forse no, ma gli amministratori pubblici sì, a cominciare dal suo sindaco che spiega come certi interventi non si possono fare perché mancano i finanziamenti e le coperture.
E ha ragione, perché sono stati tagliati selvaggiamente i trasferimenti agli enti locali, ciononostante la spesa dello Stato è aumentata.

Insomma, è sempre colpa degli altri!
I tagli agli enti locali non sempre sono un’ingiustizia (anche se noi in percentuale siamo stati penalizzati più degli altri). Va riconosciuto che prima c’erano grandi sprechi e che i tagli hanno indotto una forzata razionalizzazione. Margini ce ne sono ancora per ridurre gli sprechi, magari non a Ferrara. Ma quel che non è accettabile è che lo Stato abbia messo a dieta gli enti locali ma abbia poi speso altrove quel che è stato risparmiato.

Quindi il difetto non è nella cura, ma nella mancanza di rigore con cui è stata applicata?
Il problema andava affrontato. Per dire: il debito pubblico è cresciuto dal 60% del 1981 al 122% del 1994. Ma un conto sarebbe stato sistemare la finanza pubblica riducendo la spesa, altro farlo alzando le tasse perché questo ha favorito la recessione.

E quindi ora come si propizia la crescita?
Contesto che si faccia solo aumentando la spesa pubblica e osservo che non esiste un solo Paese al mondo che abbia percorso con successo questa strada. Aggiungo anche che i nostri conti sfasciati hanno una storia antica e non dipendono dalla Merkel. Per ridare competitività al nostro Paese bisogna intervenire con riforme strutturali serie: della pubblica amministrazione, della giustizia, del fisco, del mercato del lavoro, della formazione professionale… E’ il pacchetto di riforme al quale lavora il governo, che può rimettere correttamente in moto il sistema e favorire la crescita.

Sul ruolo delle banche non ha nulla da eccepire? Non le pare che abbiano abdicato al loro ruolo di sostegno all’economia preferendo invece puntare su investimenti certi, funzionali ai propri interessi particolari?
La banca è un’impresa che compra e vende soldi e persegue un profitto come ogni altra impresa.

E allora non sarebbe meglio ripristinare un sistema di banche pubbliche?
Non rimpiango i tempi in cui c’erano e le nomine erano fatte a livello ministeriale per soddisfare interessi politici e per conseguenza i prestiti venivano garantiti agli amici degli amici.

Sta dicendo che un corretto meccanismo stenta a funzionare a livello pubblico?
E’ il confronto con il mercato che garantisce, nella competizione, il rispetto delle regole.

Torniamo al tema della moneta. Cattaneo e Zibordi dicono che sono necessari 200 miliardi per rimettere in moto l’economia, Corrado Passera parla di 350. Ha senso porre la questione in questi termini e, nel caso, chi ha ragione?
L’ordine di grandezza è molto superiore ai 200 e anche ai 350 miliardi. Un anno fa la Bce aveva immesso mille miliardi di nuove banconote, una somma adeguata, ma le banche li hanno utilizzati per tappare i loro buchi o per comprare titoli di Stato. Ora ha fatto un’altra operazione, con presupposti differenti: 400 miliardi per famiglie e imprese a un tasso scontatissimo dello 0,25% legato a un’intimazione alle banche stesse: se non li presti te li tolgo… Dovrebbe funzionare, ma ci vorrà un anno prima che produca effetti concreti.

Però concettualmente lei riconosce che una robusta immissione di moneta serve?
Serve eccome, l’offerta di moneta va aumentata, siamo ben distanti dal rischio di inflazione. Ma attenzione, l’iniezione di liquidità non è la panacea di tutti i mali, serve a contrastare la crisi ma non può essere permanente se non l’inflazione poi esplode…

Questo è evidente, ma oggi farebbe comodo, giusto?
Sì, ma ribadisco che gli effetti diretti non sono immediati. Ciò che invece determina un effetto immediato è il meccanismo psicologico basato sull’aspettativa, cruciale è agire su questo versante. Mi spiego: l’intervento della Bce va bene, ma si potrebbe fare di più. Per esempio, se anziché 400 avesse destinato mille miliardi a famiglie e imprese, avrebbe determinato un positivo choc e una potente iniezione di fiducia per gli operatori del mercato. Il problema è che la Banca centrale europea è frenata da vincoli ed equilibri di natura politica che hanno a che fare con le reciproche diffidenze fra i partner comunitari: è chiaro che dopo quel che è accaduto in Grecia, la Germania guardi con sospetto a un’ipotesi di eurobond. Ma il problema è evidentemente più di natura politica che di natura economica e per risolverlo servirebbe una solida leadership europea che ora manca.

Torniamo al merito della proposta Cattaneo-Zibordi per affrontare la crisi senza uscire dall’euro: l’emissione di certificati di credito fiscale a scadenza differita di almeno un paio d’anni, da attribuire come bonus a famiglie e imprese. Titoli di credito concepiti di fatto come una sorta di valuta interna che gli intestatari potrebbero eventualmente monetizzare immediatamente cedendo sul mercato i crediti ai tassi di interesse corrente…
Ci devo riflettere.

Marattin appare un poco sorpreso, come se in precedenza non avesse considerato con la dovuta attenzione questo aspetto. Ma non c’è tempo per approfondire, perché l’assessore riceve una telefonata e viene risucchiato dagli impegni istituzionali. Però la risposta arriva in differita: “Immaginiamo che io sia lo Stato e nell’economia ci siano solo due consumatori, A e B. Io emetto un titolo di 20mila euro, e lo do a B. A se lo compra per 18 mila euro. Ma se è vero che ora B ha 18 mila euro di liquidità in più, è altresì vero che A ha 18 mila euro in meno… l’effetto aggregato quindi è nullo. Come dicevo, è solo un gioco delle tre carte. Del resto anche in economia ‘nulla si crea e nulla si distrugge’ o meglio, ‘nessun pasto è gratis’.”

Avanziamo un’obiezione: è altresì verosimile che B induca A a scongelare 18mila euro che A avrebbe trattenuto come riserva, con l’effetto che sul mercato vengono immessi 18mila euro che altrimenti sarebbero rimasti immobilizzati.
Replica: “e che ne sai? E se invece A li avesse spesi? In realtà sono sempre quei soldi che il governo (o la banca centrale) ha immesso nel sistema economico all’inizio. Ma allora tanto vale ridurre le tasse per quell’ammontare (con interventi di politica fiscale) o aumentare la base monetaria per quell’ammontare (politica monetaria). Null’altro al di fuori di questo”.

Null’altro, ma ce n’è abbastanza per intavolare il confronto. L’appuntamento pubblico è per la seconda metà di luglio.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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