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testo dell’intervento di Massimo Manservigi (vicario generale della Diocesi di Ferrara)

Eccellenza Reverendissima,
nel prendere la parola a nome del presbiterio e della nostra comunità diocesana, in questa giornata di importanza capitale per tutti, non voglio aggiungere – né potrei – ulteriori riflessioni alla sua omelia, così profondamente ispirata e illuminante rispetto alla nostra attuale situazione.
Come ho ricordato sabato scorso, al termine della liturgia eucaristica che ci ha visto salutare commossi S.E. Mons. Luigi Negri, molto è stato fatto, tanto ed in ogni settore, tuttavia siamo una famiglia, una famiglia che vive, cresce, si trasforma velocemente, e questo comporta – anche quando si lavora bene – ricominciare sempre, ogni mattina, Comporta la fatica di dire quotidianamente un grande ‘Sì’ al compito di prenderci cura di ciascuno e di tutti. Sappiamo che Lei è pronto per questo, ne siamo certi. Mi permetta allora solo di leggerle alcune righe scritte da Barbara Giordano, cuore del settimanale diocesano, che illustra con semplici ma poetiche parole, la nostra gente, la nostra terra, il popolo che le è stato affidato. Ascoltando presso la Basilica di San Giorgio il benvenuto del sindaco Tagliani, ho avvertito una grande sintonia con questa descrizione, una conferma di quello che realmente siamo: “Siamo terra e siamo acqua, nobiltà dal sapore antico e insieme miseria di braccianti che hanno rubato alla palude la forza di una nuova vita. Siamo fiume che abbraccia il mare, siamo aironi e campanili di piccoli paesi dove l’identità storica è appannaggio del ricordo dei molti anziani e il futuro è nella voglia di farcela di pochi giovani, giovani che però faticano a restare e a costruire il loro domani in un mondo fatto di infiniti campi di grano e con all’orizzonte le ciminiere del polo chimico. Siamo un antichissimo e prestigioso ateneo dove si laurearono Paracelso e Copernico, ma siamo ancora oggi i volti e i colori di tantissimi studenti che arrivano da tutta Italia e dall’Europa, cuore vivo e pulsante di una città che ha ancora il sapore del tranquillo vivere emiliano. Siamo piccole e grandi sagre patronali, ma anche la devozione alla Madonna delle Grazie e a San Giorgio, al Miracolo Eucaristico di Santa Maria in Vado e al grande Crocifisso trasportato dal Po fin sulle rive del borgo di San Luca. Siamo gli uomini e le donne del Quadrivio astrologico, dei Decani di Schifanoia, di Abu Masar e dei Tarocchi del Duca, ma siamo anche gli uomini e le donne della Beata Beatrice, di Caterina De Vigris, del Beato Tavelli da Tossignano, di Suor Veronica, Laura Vincenzi, Sergio Morelli. Siamo la sfrenata leggerezza del carnevale rinascimentale, ma anche l’invettiva di frate Savonarola, la spiritualità di decine di monasteri dentro e fuori le mura della città…siamo i Baccanali del Dosso, ma anche la Pietà di Guido Mazzoni, siamo i Giochi e l’Aurora nelle stanze del castello, ma anche il Giudizio universale di Bastianino e della facciata della Cattedrale, Gesù che sale da solo sulla croce nel coro antico delle benedettine. Siamo la favola di Ariosto, il lamento di Tasso, le atmosfere di Bassani, ma siamo anche lo splendore dei codici miniati dei Corali della Cattedrale, la bellezza della Bibbia di Borso d’Este, le note musicali di Guido Monaco nel silenzioso scrigno pomposiano, Bibbia dei poveri. Siamo l’Officina ferrarese, le Ante del Tura, ma anche la sagrestia nuova, limpido inno alla ferraresità fatta fede di Lorenzo Barattella. Siamo il Maggio del Palio, l’estate del Busker Festival, il Teatro, le Mongolfiere, ma siamo anche la Settimana Mariana, la grande processione del Corpus Domini, i Ragazzinfesta, l’impegno di tanti sacerdoti ed educatori perché ai più piccoli, ai giovani, agli adulti sia offerta la possibilità dell’incontro quotidiano con Cristo, sia in un Grest, in una serata di riflessione in canonica o nel Rosario lungo le strade del centro storico alla ricerca del volto di Maria sui muri che trasudano storia. La nostra.
Siamo la terra ferita dal terremoto, quella che ha perduto vite e chiuso case, aziende, botteghe, le sue chiese, i suoi oratori, nelle due scosse che le hanno cambiato la vita…ma siamo anche la gente che come un’araba fenice ha saputo rinascere giorno dopo giorno dal proprio dolore, ricominciando subito a ripensare, riprogettare, ricostruire il futuro…e che in quel futuro ancora vuole credere nonostante il peso dalla crisi dell’economia, del fallimento di grandi realtà locali e la difficoltà di un calo demografico tra i più alti del nostro Paese.
I ferraresi non sono mai a metà. Vivono molti mesi nel grigiore della nebbia, ma il grigiore non gli appartiene, perché se si trova la chiave giusta del loro cuore, sanno aprirsi alla luce di inaspettati soli”.

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Redazione di Periscopio