È di inizio febbraio la vicenda del patrocinio e dell’uso gratuito del teatro comunale negati da Maria Scardellato, sindaco leghista di Oderzo, in provincia di Treviso, per una manifestazione con ospite don Luigi Ciotti, per timore che il sacerdote – fondatore del Gruppo Abele e di Libera Associazioni, nomi e numeri contro le mafie – potesse incentrare il suo intervento sul tema dell’immigrazione. Ed è cronaca di qualche giorno fa la notizia della ‘retata’ a Eraclea, comune del veneziano distante da Oderzo solo 32 chilometri: l’operazione della Magistratura veneziana, in raccordo con la Direzione Nazionale Antimafia, ha messo a segno “la più importante operazione contro la Camorra a Nord Est”, nelle parole del Procuratore capo Bruno Cherchi. Monica Andolfatto, cronista del Gazzettino e segretaria del Sindacato Giornalisti Veneto, sarebbe finita per ben due volte, si apprende dopo gli ultimi arresti, nel mirino della criminalità organizzata per aver parlato dei “casalesi di Eraclea”. Ora il prefetto di Venezia deve cercare di capire se la giunta di Eraclea può continuare a gestire il comune dopo gli arresti ordinati dal gip e il sospetto di infiltrazioni camorristiche nel territorio. Eraclea è a rischio commissariamento e potrebbe essere, come a suo tempo Brescello in Emilia Romagna, il primo Comune del Veneto sciolto per infiltrazioni mafiose.
Il prossimo 21 marzo, la XXIV edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Libera e Avviso Pubblico, avrà la sua piazza principale a Padova e coinvolgerà il Veneto, Friuli Venezia Giulia e le province autonome di Trento e Bolzano.
Libera – si legge sul sito del coordinamento di associazioni – ha scelto Padova “per stare vicino a chi, nel Nordest, non si rassegna alla violenza mafiosa, alla corruzione e agli abusi di potere, per valorizzare l’opera di tante realtà, laiche e cattoliche, istituzionali e associative, impegnate in quella terra difficile ma generosa per il bene comune, per la dignità e la libertà delle persone”.
“Nel Nordest – e le tante inchieste giudiziarie lo stanno a dimostrare – la criminalità organizzata ha attecchito e prosperato con lo spaccio di droga, ma pure nel più recente traffico di rifiuti, nelle finanze, nel riciclaggio di denaro sporco con l’acquisto di immobili, fino alle redditizie sale scommesse”, ricorda don Luigi Ciotti.
L’obiettivo è andare a Nord Est per parlare di giustizia sociale, ambientale ed ecologica, per rivendicare il diritto a democratizzare lo sviluppo, utilizzandolo per garantire lavoro, difesa dell’ambiente e partecipazione democratica alle scelte. “Le vittime innocenti del Triveneto infatti non sono solo persone”, si legge ancora su libera.it, “ma interi luoghi distrutti e calpestati, esseri viventi e territori, sui quali i rapporti di forza possono essere ancora sovvertiti se mettiamo insieme la necessità di giustizia e l’urgenza della sostenibilità, senza lasciare nessuno indietro”.
Dal rapporto LiberaIdee, una ricerca sociale svolta su un campione nazionale dal coordinamento di Associazioni fondato da don Ciotti, risulta che per quasi la metà dei rispondenti veneti (45,3%) la presenza della mafia nella propria zona è marginale, mentre in meno di un caso su cinque è ritenuta preoccupante e socialmente pericolosa. Quasi la metà dei rispondenti (44%) ritiene che la corruzione sia “abbastanza” presente nel territorio veneto, mentre soltanto uno su dieci la ritiene molto diffusa. “Per i cittadini veneti che hanno risposto alla ricerca – commenta Roberto Tommasi, referente Libera Veneto – la mafia è percepita come fenomeno globale ma sotto casa nessuno la vede”.”E’ fondamentale – prosegue Tommasi – prendere coscienza del contesto criminale, premessa indispensabile per il contrasto alle mafie e alla corruzione. Per quanto efficaci, le sole misure repressive non basteranno infatti mai a eliminare il crimine organizzato nelle sue molteplici forme. Mafie e corruzione, prese insieme e alleate, sono un male non eminentemente criminale ma culturale, sociale, economico, politico. Occorre allora una grande opera educativa e culturale perché è la cultura che sveglia le coscienze”.
“Insegnare i dettagli significa portare confusione. Stabilire i rapporti tra le cose significa dare conoscenza”, affermava Maria Montessori. Forse la sindaca di Oderzo dovrebbe rivedere le priorità della sua amministrazione.
E l’Emilia Romagna? Qual è la situazione nella regione dell’operazione Aemilia, che ha dato origine a uno dei più importanti processi sulla criminalità organizzata al Nord?
Per quanto riguarda l’iter giudiziario dell’inchiesta Aemilia, il 24 ottobre 2018 la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza del 12 settembre 2017 della Corte d’Appello di Bologna, per gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato, emettendo quaranta condanne definitive e comminando un totale di oltre 230 anni di reclusione.
E proprio grazie ad Aemilia, è ormai acclarato che “in Emilia Romagna, l’elevata propensione imprenditoriale del tessuto economico regionale è uno dei fattori che catalizza gli interessi della criminalità organizzata, sia autoctona che straniera, anche ai fini del riciclaggio e del reinvestimento in attività economiche dei profitti illeciti”, come si legge anche nella relazione semestrale della Dia (Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, 1 semestre, gennaio-giugno 2018).
La ‘ndrangheta, si legge nella relazione, ha “messo in atto, con pervicacia, un grave processo di commistione con l’imprenditoria”, prediligendo “l’infiltrazione sia del tessuto economico produttivo sia delle amministrazioni locali”. Il territorio dunque, non viene aggredito attraverso il predominio militare, ma “orientandosi alla corruttela e alla ricerca delle connivenze, funzionali ad una rapida acquisizione di risorse e posizioni di privilegio”. A Ferrara la Dia segnala la consorteria criminale dei Pesce-Bellocco di Rosarno.
Per quanto riguarda Cosa Nostra “negli ultimi anni non sono emerse risultanze investigative che abbiano fatto emergere un’operatività strutturata sul territorio delle famiglie”, mentre anche “la presenza della camorra risulta connessa all’infiltrazione nell’economia legale e al riciclaggio di capitali”. In particolare, si legge nel rapporto della Dia, “i monitoraggi delle attività imprenditoriali, propedeutici all’emissione delle interdittive antimafia o dell’iscrizione nelle cosiddette white list, hanno evidenziato infiltrazioni della camorra nel settore degli appalti pubblici, attraverso l’adozione di metodologie orientate a dissimulare gli interessi mafiosi”. E ciò avviene grazie alla “mediazione di imprenditori compiacenti”, necessaria per avviare investimenti e aggiudicarsi le gare di appalto di opere pubbliche. È “un modus operandi ricorrente principalmente per il cartello dei Casalesi, come emerso in occasione di un’operazione nel modenese che ha svelato anche un connubio tra sodalizi campani e calabresi. Restando ai Casalesi, questi sono stati segnalati soprattutto nella provincia di Modena, con diramazioni nelle province di Ferrara, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini e Parma”. E rimanendo nella nostra città: “oltre al cartello dei Casalesi, un’indagine recente dei Carabinieri ha svelato l’operatività di elementi collegati al cartello napoletano dell’Alleanza di Secondigliano, dediti al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti”. Che sia il caso di alzare lo sguardo oltre il Gad per chiedersi da dove viene la droga che viene spacciata?
Per quanto riguarda i gruppi criminali di matrice straniera, “le investigazioni degli ultimi anni hanno fatto rilevare dei modelli di cooperazione tra sodalizi stranieri di diversa nazionalità, talvolta partecipati da pregiudicati italiani”. Non c’è alcuna segnalazione specifica sul nostro territorio riguardo la criminalità nigeriana, che in Emilia Romagna “si conferma attiva nel traffico di stupefacenti e nello sfruttamento della prostituzione in danno di donne provenienti prevalentemente dalla Nigeria, nonché nella consumazione di reati a carattere predatorio e legati all’abusivismo commerciale, specie nelle zone del litorale adriatico”. La relazione della Dia segnala poi nella nostra provincia, oltre che a Reggio Emilia e a Rimini, “la presenza della criminalità di matrice cinese”, attiva soprattutto “nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nello sfruttamento della prostituzione e della manodopera irregolare”.
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Federica Pezzoli
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