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Ferrara film corto festival

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Siamo ancora tutti coinvolti nell’effetto emotivo provocato dai risultati delle recenti elezioni europee. E se ne comprendono le fondate ragioni. Personalmente li considero positivi, sia per alcuni evitati pericoli, che per qualche segnale di speranza. Noto però il permanere di una generale aspettativa verso il voto di tipo palingenetico o risolutore che non si addice alla normalità di una pratica democratica. Per questo motivo vorrei dedicare qualche considerazione più distaccata al tema della democrazia.
Immanuel Kant, il fondatore della morale laica, ricordava che “l’uomo è un legno storto”. Se il Novecento avesse tenuto presente questa massima ci saremmo evitate la grandi tragedie dei totalitarismi che provarono a raddrizzare quel legno con mezzi violenti e crudeli. Dopo millenni di esperimenti sociali siamo arrivati a considerare la democrazia come il regime ideale per gli uomini e le donne considerati uguali e liberi. Il cammino è stato lungo, difficile, contrastato. Basta fare due esempi.
Nella nostra tradizione occidentale facciamo risalire la nascita della democrazia all’Atene di Pericle, nel V secolo a.C. Bisognerebbe, però, avere chiaro che le istituzioni della democrazia moderna non hanno nulla a che vedere con ciò che nella Grecia classica si designava con questo termine. Lo Stato di diritto, il pluralismo, la divisione dei poteri, i Parlamenti, la libertà e i diritti degli individui, il suffragio universale: tutto ciò era sconosciuto alla democrazia degli antichi.
Il secondo esempio riguarda il suffragio universale: non tutti sanno che esso fu realizzato quasi 2500 anni dopo la nascita della democrazia classica. E, per dare un’idea del difficile rapporto con il suffragio universale da parte di un Paese all’avanguardia nella storia del liberalismo come l’Inghilterra, è significativo registrare che dalla famosa Magna Charta Libertatum del 1215, arriva al suffragio universale soltanto nel 1928.

Torniamo al rapporto tra l’affermazione di Kant e la democrazia. Possiamo dire che, concettualmente, la democrazia comprende sia l’accettazione degli individui come sono, sia la volontà di cambiarli.
Oggi il paradosso è che la democrazia ha vinto nel mondo ma, nello stesso tempo, sta attraversando una grave crisi di consenso, perché le sue pratiche si rivelano inefficienti rispetto alla soluzione dei problemi che le società del tempo globale devono risolvere. Per evitare che la democrazia diventi un involucro vuoto, occorre prendere sul serio i motivi della disaffezione nei suoi riguardi, che poi sono riconducibili a quelle che Norberto Bobbio chiamava le “promesse non mantenute” della democrazia. Ne voglio richiamare solo una ricorrendo non ad un feroce bolscevico, ma ad uno dei padri del liberalismo costituzionale moderno: Montesquieu. Nella sua opera principale, “Lo spirito delle leggi” (1748), afferma che ogni forma politica ruota attorno a un principio che ne regge il funzionamento: nella repubblica è la virtù, nella monarchia l’onore e nel dispotismo la paura. Quale è la virtù che riguarda la repubblica democratica? Montesquieu la considera talmente importante che ne spiega il significato già nell’introduzione dell’opera: “Ciò che io chiamo virtù nella repubblica è l’amore per l’eguaglianza”. E prosegue dicendo che le leggi devono operare per mantenere l’eguaglianza, perché non appena si sviluppa la ricchezza sfacciata da una parte e la miseria dall’altra la repubblica democratica è condannata a dissolversi.
Sul tema scriverà qualche anno dopo un altro grande padre della democrazia moderna: J.J Rousseau con il suo “Discorso sull’ineguaglianza” (1754).

E’ inutile aggiungere che attorno al nodo del rapporto tra libertà ed eguaglianza si è consumata una lotta durissima nei secoli che seguiranno, alternando conquiste e tragedie. Oggi abbiamo qualche idea più chiara su come sciogliere e non tagliare questo nodo, ma è anche vero che il mondo si è fatto più complicato rispetto all’aurora della storia della democrazia. Soprattutto, abbiamo imparato che eguaglianza e libertà, diritti e doveri, non coincidono necessariamente. E che il voto in quanto tale (diritto fondamentale), ad esempio, non garantisce la libertà e può addirittura condurre alla dittatura. Mai dimenticare la vittoria di Hitler nelle elezioni del 1933 e il fatto che quel 44% dei suffragi raccolti dal partito nazista includeva un gran numero di voti di operai e impiegati che nelle elezioni precedenti avevano votato per partiti democratici, socialisti, comunisti e liberali. Per evitare questi esiti occorre l’accordo di tutti i protagonisti della vita politica nel mantenere la democrazia come una casa di vetro, in modo che ogni cittadino sia messo nelle condizioni di controllare e, se lo ritiene, partecipare con coscienza e conoscenza. In questo modo la democrazia vive tutta la settimana e non solo la domenica quando si vota.

Fiorenzo Baratelli è direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara

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Fiorenzo Baratelli

È direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara. Passioni: filosofia, letteratura, storia e… la ‘bella politica’!

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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