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L’abbattimento in Trentino dell’orsa Kj2 è diventato un caso nazionale se non addirittura, grazie (o a causa) di qualche testata estera, internazionale. Questo significa che i riflettori dell’attenzione pubblica sono quotidianamente attivi nell’individuare ‘colpe’ e ‘colpevoli’, sviscerando vicende, attribuendo mancanze e negligenze, muovendo accuse dagli effetti piuttosto pesanti e, talvolta, spezzando qualche lancia a favore. Una vastissima opinione pubblica spaccata in due, correnti di pensiero divergenti che si contendono ragioni e pareri autorevoli o meno, ben suffragati dai fatti o farciti di populismo e si stanno battendo sul parterre di stampa e studi televisivi con grande veemenza, attraverso associazioni, illustri testimoni, opinionisti improvvisati, rappresentanti politici agganciati a partiti storici e di nuova generazione, per dimostrare che l’intervento umano del caso è stato né più né meno che un delitto vergognoso o, viceversa, una necessaria anche se non proprio saggia decisione.

La storia dell’orso ha sempre grande impatto sui meccanismi emotivi, perché l’immagine del plantigrado che vaga solenne per i boschi, con l’andatura un po’ oscillante, il possente incredibile scatto nella corsa e l’arrampicata inspiegabilmente agile popola storie, fiabe e leggende non solo del Mittel-Nordeuropa, che evocano il mondo fantastico del bambino che c’è in noi. L’imponente mammifero suscita ammirazione, stupore, terrore, rispetto; se poi l’animale è una femmina con prole, allora raddoppia la propensione alla tenerezza che l’esemplare merita sicuramente. L’orso è il simbolo che compare sullo stemma di Berlino (Bärlein, piccolo orso) fin dal 1280, data della fondazione della città in un territorio dove la presenza di orsi era significativa. L’animale campeggia anche nel vessillo di Madrid già dal XIII secolo, raffigurato aggrappato a un albero di corbezzolo, le cui bacche servirono a curare le febbri malariche che colpirono la popolazione nel Cinquecento. Berna, in Svizzera, scelse l’orso come simbolo rappresentativo nel XVI secolo, quando Berthold V di Zähringen, fondatore della città, uccise un orso su un’ansa del fiume Aare dove sorse il primo agglomerato urbano. Nello stesso secolo gli orsi venivano allevati come portafortuna durante le guerre e venivano alloggiati in un luogo protetto chiamato ‘Bärengraben’.

Città italiane come Pistoia, Biella e altre hanno adottato l’orso nella loro araldica civica, seguendo storie e significati legati alla loro stessa storia: Pistoia, citando un esempio, vanta ben due orsi che reggono uno scudo, simboli dell’indipendenza dai fiorentini che contavano invece sull’immagine del leone. Nei bestiari medievali, infatti, orso e leone erano in lotta per il potere e si contendevano quel primato cui solo figure animalesche di grande forza fisica potevano aspirare. Anche diversi comuni di provincia come Vallarsa, Dorsino, Orsara, Orsogna e molti altri, da Nord a Sud, hanno mantenuto nel tempo l’immagine dell’animale nei vessilli cittadini. Perfino la Groenlandia esibisce orgogliosa il proprio simbolo di rappresentanza attraverso un enorme Orso polare che campeggia sullo sfondo azzurro. Che l’orso sia un animale da temere è un dato di fatto e lo dimostrano anche gli ultimi fatti che vedono coinvolti frequentatori di boschi, contadini, allevatori, chiunque si sia venuto a trovare in incresciose situazioni di incontro ravvicinato con conseguente aggressione o evidente danno a mandrie e greggi.

Potremmo anche convincerci che un atteggiamento di tranquillità e un sensata e saggia distanza dall’animale ci può preservare da conseguenze pericolose, come potremmo anche ammettere che mamma orsa attacca per difendere i suoi piccoli e gli esemplari maschi se ne vanno per la loro strada se non avvertono imminente pericolo. Potremmo prendere in considerazione queste e tante altre visioni ottimistiche e bucoliche sull’incontro con il plantigrado, ricordando però, se si vuole essere obiettivi fino in fondo, che nulla è chiaramente prevedibile e certo, men che meno davanti ad un essere di cui non conosciamo abitudini, inclinazioni, reazioni e bisogni in un dato momento e in quella circostanza. Sarebbe semplicemente un atavico istinto di conservazione, tanto quanto quello dell’animale. E’ anche lecito avanzare delle riserve sulla soppressione di esemplari che in qualche modo hanno arrecato danni fisici agli umani perché si può presupporre che debbano esistere alternative a questo, mentre diventa disonesto e stigmatizzabile l’utilizzo pressapochista, pretestuale e strumentale del fatto in questione, per tuonare contro, arrogarsi meriti e spazi, spesso a sfondo meramente politico, crearsi una vetrina di comoda visibilità, attendersi onori e meriti per scopi di chissà che spendibilità.

Che la soppressione dell’orsa Kj2 (non un nome, solo una triste sigla…) in seguito all’aggressione a un uomo, sia diventata in questi giorni oggetto di contenzioso per dibattiti che raccolgono urla e strilli, insulti e minacce, sembra davvero fuori da ogni logica del buonsenso e della gestione ragionevole delle questioni di pubblico interesse. E lo dimostrano anche gli ultimi episodi che vedono coinvolti l’uomo e l’orso: nel febbraio 2013 viene abbattuto in Svizzera l’esemplare M13 nel Canton Grigioni, un orso appena svegliato dal letargo, in cerca di cibo, ritenuto pericolo pubblico dopo aver avvicinato una ragazzina. Un secondo animale subisce la stessa sorte per opera dei forestali, con autorizzazione ufficiale, dopo essersi pericolosamente avvicinato a un gruppo di turisti. Il 18 settembre 2014 a Pettorano sul Gizio, un paese alle porte del Parco Nazionale d’Abruzzo e del Molise, viene trovato un orso, ucciso a pallettoni. Autore: un contadino della zona che confessa il fatto motivandolo con il timore per gli allevamenti della zona. E poi ancora, vogliamo ricordare la soppressione di cinghiali e lupi secondo piani di abbattimento controllato, all’attenzione in questi tempi di governo e Regioni, che sta infervorando gli animi, esacerbando rapporti e degenerando in sterili prese di posizione che non aiutano sicuramente alla risoluzione? Tutto sembra ricondurre a un panorama di grande confusione in cui tutti si scagliano contro tutti nel nome di una ragione che ognuno chiede venga riconosciuta.

Un tema vasto e sempre aperto. Enpa, Lac, Lav, Lipu, Wwf sono pronti a dare battaglia e intervenire in qualunque modo a difendere, salvaguardare, chiedere l’osservanza o l’istituzione di normative garantiste. E fin qua è tutto fin troppo chiaro e ragionevole, salvo quelle generalizzazioni che fanno di tutte le erbe un fascio, il cosiddetto ‘sparare nel mucchio’. E sotto tiro è finito pesantemente e ingiustificatamente il Trentino in tutta la componente di cittadinanza, nei confronti della quale l’Enpa lancia anatemi e sollecitazioni a dir poco assurde. “Disertate quelle montagne e non acquistate i loro prodotti!”, “Se non li tocchi nel portafoglio, quelli non capiscono”. Boicottaggi, embargo, sobillazioni, che nulla hanno a che vedere con un sano dibattito nelle giuste sedi, alla presenza dei giusti interlocutori, nel rispetto di modalità, toni e atteggiamenti che rispettino coloro che, pur trentini (non è senz’altro una colpa…), hanno sempre pensato, scelto e agito da persone perbene, continuando a farlo. Le montagne del Trentino sono Patrimonio Unesco; i prodotti di questa regione rappresentano qualità ed eccellenza; la popolazione viene dalla fatica del vivere in un territorio difficile, orgogliosa di avere dato e continuare a dare il proprio validissimo contributo a un Paese in cui il turismo è una delle principali fonti economiche. E’ una popolazione che ama gli animali perché selvaggina, boschi, cime, acqua, fanno parte integrale della sua storia e non ne saprebbe fare a meno.

Non può essere la morte dell’orsa KJ2 a cambiare l’immagine di tutto quello che il Trentino sa offrire con autenticità e generosità. Non saranno nemmeno gli anatemi e i paventati scenari irosi e incattiviti di qualcuno che impediranno alla gente trentina di continuare ad accogliere con grande empatia, competenza ed estrema disponibilità gli ospiti che vorranno trascorrere le vacanze negli spettacolari territori che questa Regione offre.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).


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