Ludovic-Mohamed Zahed: Io, primo Imam gay, vi racconto cos’è per me la religione
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“Il Corano non dice nulla sull’omosessualità”, al contrario “la sessualità va vissuta come un giardino che ognuno può coltivare a suo piacimento”: dunque “l’importante è stare bene con se stessi e con chi si ha accanto”. La verità è che “il signor Islam non esiste, non gli potete telefonare per chiedergli cosa pensa dell’omossessualità, della democrazia, del ruolo della donna”, esiste invece “un’idea dell’essere musulmani” ed è qui che iniziano le differenze: “non c’è omologazione”.
Tutti concetti piuttosto laici. Ed è proprio così che si definisce Ludovic-Mohamed Zahed, “un Imam laico” e “umanista”: “per me essere un imam non è avere il potere di dire agli altri che cosa è lecito, la vita non è solo questione di cosa è lecito e cosa non lo è”.
Zahed è ospite, nel tardo pomeriggio di domenica alla Sala Estense, dell’ultimo incontro del Tag Festival, la tre giorni di cultura lgbt giunta quest’anno alla sua quarta edizione. È venuto a Ferrara dalla Francia per parlare di Islam e omosessualità, lui che è il primo Imam dichiaratamente gay, sposato con un uomo, divorziato e ora in procinto di risposarsi con il suo nuovo comapgno, fondatore dell’associazione Omosessuali Musulmani di Francia (Hm2f) e di quella che lui chiama “moschea inclusiva” a Parigi, aperta a qualsiasi razza e sesso.
Il messaggio che in realtà comunica è quello di un dialogo interreligioso a tutto tondo per la decostruzione dei pregiudizi e degli stereotipi, perché per lui “la religione riguarda il rapporto dell’essere umano con il divino, ma anche fra noi esseri umani”.
Parlando del suo modo di essere Imam cita la Teologia della liberazione: “essere vicino agli ultimi, ai discriminati, al popolo e alle sue cause, mettere in discussione l’essenzializzazione di cosa sia un essere umano, la sua visione in compartimenti stagni”. Divenire “un facilitatore”, questo è il compito di un Imam a suo parere.
Posizioni al quanto fuori del comune, frutto di un percorso di vita travagliato. Di origini franco-algerine Zahed ha iniziato a studiare teologia a 12 anni imparando il Corano a memoria. Poi a 17 anni “ho scoperto di essere omosessuale: ho visto in tv una coppia di francesi, erano gli anni Novanta e si parlava di Pacs. Mi sono innamorato del loro amore”. Nel frattempo la famiglia si trasferisce in Francia a causa della guerra civile e Zahed per alcuni anni vive la propria sessualità “anche in modo abbastanza sfrenato”. A un certo punto però ha capito che non poteva essere “solo l’uno o l’altro”, non gli bastava essere omosessuale o musulmano, e “tramite la componente mistica del buddhismo mi sono riavvicinato all’Islam”.
Anche il coming out non è stato facile: “mio padre o mi ignorava o mi picchiava, mio fratello mi ha spaccato una mandibola, mio zio mi ha minacciato di mandare persone per uccidermi. Non è stata una decisione presa dall’oggi al domani, ma una questione di sopravvivenza”. La fondazione della moschea inclusiva a Parigi è stata anche quella una sorta di coming out verso la comunità più ampia: qui vuole dare risposta a quella “sete di esplorare il mondo da un punto di vista diverso che tanti altri condividono, ma non hanno il coraggio di esprimere” e porta avanti un “percorso di destrutturazione” di quello che reputa essere “l’utilizzo in chiave patriarcale e politica dell’Islam”.
A suo parere non esiste alcuna contraddizione fra omosessualità e spiritualità, nel Corano l’omosessualità non viene citata e anche prendendo in considerazione gli Hadith (aneddoti e detti sulla vita del Profeta, ndr) “ci sono tantissime fonti che parlano di uomini effemminati e donne mascoline”, una testimonianza del fatto che “il Profeta non ha mai rifiutato la diversità”.
Il vero problema secondo Zahed è la “fascistizzazione dell’identità, che comporta un’omologazione, un appiattimento”. Il panarabismo, il nazionalsocialismo, il comunismo, lo jihadismo, i vari nazionalismi che pensavamo di avere sconfitto, sono “tutti fascismi” che prima definiscono “le frontiere, i confini del gruppo” e poi considerano “certi gruppi sociali inferiori perché non rispondenti a determinate caratteristiche”. E per quanto riguarda Daesh: “è un’ideologia suicida, che non ha prodotto nulla su cui costruire un futuro”.
Ma come si può fermare l’espansione dei fascismi nelle nostre società? “La radice dei fascismi è la miseria” materiale, culturale e morale, conclude Zahed. Per estirparla servono “soluzioni economiche, sociali, politiche ed ecologiche”, “è un lavoro difficile e a lungo termine”, ma non bisogna rinunciare alla battaglia per il rispetto dei diritti umani.
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Federica Pezzoli
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