E’ gigantesca l’ombra di Vasco Brondi, e riesce persino a dare realtà al titolo del concerto di mercoledì sera nel cortile del Castello, perché – grazie all’apparato di luci messo a punto da Ferrara sotto le Stelle in questo suggestivo spazio raccolto – la proiezione nera del corpo di lui che canta e balla arriva a coprire quasi tutta la distanza “Tra Ferrara e la luna”, lambendo con la proiezione della sua sagoma scura le pareti interne dell’antico palazzo ducale, su su, fino alla cima di una delle quattro torri. I giochi di riflessi, suggestioni e squarci di luci e ombre, del resto, sono uno dei temi conduttori principali della poetica di questo cantante, cresciuto tra via Ripagrande e viale Krasnodar.
Già il suo nome d’arte è un omaggio inedito alla città e ai suoi bagliori meno scontati: “Le luci della centrale elettrica”. Perché il nome del progetto artistico e di lui stesso come cantante – ha spiegato Brondi – deriva da un’attrazione particolare per l’illuminazione ininterrotta del polo chimico. Ancora ragazzino andava ad ammirarla, alla notte, appostato tra i fumi e le nebbie di quella cittadella industriale che brulica nella periferia nord, dove il lavoro e le macchine dominano sulle stagioni e dettano la loro legge al paesaggio.
Il contrasto tra luci e ombre scandisce ogni momento del concerto. Ci sono le luci dei tastini rossi e verdi dei mixer che pulsano accanto al pozzo, sull’acciottolato a spina di pesce del cortile estense; le fiammelle degli accendini, che brillano nella notte insieme alle braci di sigarette accese; i monitor illuminati degli smartphone e degli I-pad con cui i ragazzi scatenati catturano con i loro apparecchi tecnologici pezzettini di questo incontro.
Il concerto è un’occasione di scambio e di ascolto di quei giovani talenti della musica italiana, che restano nell’ombra dei passaggi radiofonici e televisivi e che qui – finalmente – vanno sotto i riflettori. La serata parte subito con un duetto tra Vasco e Rachele Bastreghi dei Baustelle con “Un campo lungo cinematografico”, che racconta “le tue mani gelate, quei passi che abbiamo fatto sulla Luna”, “tra turni diurni e turni notturni e materiali pericolosi”. Poi c’è Levante – la rivelazione – per reinventare il testo di Franco Battiato che invoca “portami lontano a naufragare /via via via da queste sponde /portami lontano sulle onde”. Non manca una canzone che Brondi stesso definisce “un monumento, ma di quei monumenti che non restano immobili, ma scalciano e ballano” che è “Emilia Paranoica” dei Cccp, in versione quasi techno.
Con Dente arriva il brano da cui è presa la frase che dà il titolo al concerto, “40 chilometri”, e che narra un mondo dove “cercasi persone con esperienza lavorativa tra Ferrara e la Luna, /cercasi esperti di marketing e cerco le coordinate nel cielo per ritrovarti”.
Non manca, nel finale, l’omaggio struggente di “La Terra, l’Emilia, la Luna”. Un rimando autobiografico che sa raccontare ancora una volta la precarietà dei nostri giorni e di un’intera generazione, che si affaccia su un mondo di luci e ombre, che invoca “solo quello che mi disorienta/ una cantilena per quelli che dormono in macchina” e “per tutti quelli che sono morti come sono vissuti/ felicemente felicemente felicemente al di sopra dei loro mezzi”. Applausi; luci; ombra. Ferrara sotto le stelle continua.
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Giorgia Mazzotti
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[…] cortile del Castello, a nove anni di distanza, mi sembra più piccolo. Non mi è chiaro se ci sia stato un restringimento dell’area per il […]