Luca Gorreri: Sassi nello stagno- Il Salso Film & TV Festival
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Dal 1977 al 1989, con Direttore Adriano Aprà, il Salso Film & TV Festival ha ospitato cineasti quali Jean-Luc Godard, Roberto Benigni, Jim Jarmush, Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Raul Ruiz, Sergio Leone, Pedro Almodovar, Aki Kaurismaki, facendoli dialogare con i giovani autori e il pubblico, in quello che è ricordato come uno dei Festival più interessanti e innovativi della sua epoca.
Il regista Luca Gorreri ha realizzato “Sassi nello stagno”, il film che racconta la storia del Salso Film & TV Festival, intervistando gli organizzatori che lo resero unico: Adriano Aprà, il vicedirettore Patrizia PIstagnesi, il critico Enrico Ghezzi e il Segretario Luciano Recchia. Il documentario contiene reportage, documenti ed estratti dei film degli autori che a Salsomaggiore si fecero conoscere ed apprezzare, tra questi chi vi scrive con il suo “Drink in blue” (1989), Silvio Soldini, Fiorenza Infascelli, Luca Pastore, Bruno Bigoni, Maria Martinelli, Luca Gasparini.
Al Festival di Salsomaggiore il giovane autore, il critico e lo spettatore potevano incontrare cineasti di fama mondiale. È stato questo uno dei segreti del Festival?
Sicuramente. La non trascurabile possibilità di poter parlare con gli autori era uno dei punti di forza del Festival. Poter scambiare opinioni, pareri o semplicemente modi di vedere in maniera diretta era alla base dei cineforum e dei cineclub, luoghi dove la matrice teorica del Festival è nata, dove le persone che l’hanno portata avanti si sono formate nella loro cinefilia. L’opportunità del contatto diretto permetteva di confrontare i pensieri, le idee e quindi di dialogare, con la disponibilità a mettersi in discussione. Per questo io preferisco andare a vedere un film dove vi sia l’incontro con l’autore e soprattutto apprezzo quando questi si trattiene, dopo il dibattito “ufficiale”, per chiacchierare con il pubblico. Il Festival di Salso univa tra di loro registi, pubblico e critici, non li separava.
Il Salso Festival non poneva steccati culturali e ideologici tra cinema, video e tv, una visione che in qualche modo rappresenta gli stili e i linguaggi di oggi…
Il Festival ha dimostrato che il linguaggio del Cinema poteva essere benissimo usato dalla televisione arricchendone i contenuti, ma credo che la TV contemporanea abbia del tutto disatteso questa dimostrazione. Oggi la televisione ha contaminato il cinema e non viceversa. A questo dobbiamo aggiungere l’emergere del “Web” che rappresenta un’ulteriore sviluppo del linguaggio televisivo. Cinema e TV non devono essere antagonisti ma propedeutici l’uno all’altra. All’epoca era in corso un passaggio importante: il mezzo digitale si stava diffondendo sempre di più e consentiva a molte persone di potersi esprimere con maggiore facilità rispetto alla pellicola. Ai giorni nostri il digitale permette l’uso del linguaggio cinematografico e l’utilizzo di nuove forme di visioni, d’approcci linguistici e tematici. Il Festival aveva visto avanti nel futuro, forse troppo per i tempi e ne ha pagato le conseguenze, come tutti i profeti.
Si ha l’impressione che nessun altro Festival ne abbia raccolto l’eredità…
L’eredità del Festival di Salsomaggiore è importante e secondo me è difficile ripetere una simile esperienza, sia per i tempi, sia per i mezzi. Non ho esperienza dei festival come partecipante ma come spettatore e ritengo che ci siano tentativi in alcune direzioni simili ma penso che il modello del Festival di Salso sia irripetibile per il momento culturale, storico ed economico in cui viviamo.
Nel tuo documentario hai intervistato gli organizzatori della migliore stagione del Festival di Salsomaggiore, lo ritengono ancora oggi un’occasione non pienamente compiuta?
La mia impressione, ricevuta dalle interviste, è che siano ancora dispiaciuti per come sono stati trattati o meglio bistrattati e credo che lo siano per il fatto che il Festival, che hanno creato e fatto crescere, sia stato “cambiato” in qualcosa di completamente diverso, quasi all’opposto di quanto si prefiggeva il Salso Film & TV Festival, nel momento della sua massima espansione. I miglioramenti sarebbero continuati se non avessero estromesso Pistagnesi, Recchia e tutti gli altri dopo le dimissioni di Aprà. Se gli Enti promotori avessero avuto una visione più ampia e illuminata, il Festival esisterebbe ancora e, credo, sarebbe uno dei più importanti d’Italia. Ma con i “se” e con i “ma” non si fa nulla.
Salsomaggiore ha amato di più le innovazioni del Festival di Aprà o la mondanità di quello di Sergio Zavoli, che lo ha sostituito per soli due anni?
I filmati dell’epoca, che ho potuto visionare, possono rispondere a questa domanda. Nel 1991, al galà finale dell’ultima edizione, c’era una platea gremitissima di persone che mai prima si sarebbe sognate di andare a un festival di cinema o a qualcosa di simile. L’attitudine prettamente turistica della cittadina di Salso era (è?) indirizzata a delle tipologie di manifestazioni più glamour, soprattutto di massa e solitamente destinate a un pubblico medio in cerca di svago. Anche se io penso che la cultura sia divertimento. Lentamente la cittadina stava comprendendo qual era la reale portata del Festival, ma purtroppo altre ragioni hanno prevalso e stravolto il tutto a favore dell’immediato, del successo facile che poi non è arrivato.
Come è nata l’esigenza di realizzare il documentario?
Sono venuto a conoscenza del Festival per caso, pur vivendo in quella zona. Le ricerche su internet produssero pochi risultati frammentati, soltanto qualche accenno nelle biografie di chi vi aveva partecipato. Nella biblioteca locale vi è qualche catalogo e una rassegna stampa di un solo anno. Possibile che un Festival che per undici anni consecutivi ha portato persone del calibro di Jean-Luc Godard, Samuel Fuller, Amos Gitai, Robert Kramer, Jim Mac Bride, Otar Ioseliani e tanti altri in una cittadina di provincia, fosse quasi del tutto dimenticato? La dimensione culturale del Festival è stata notevole e mi sembrava un vero peccato non raccoglierne la testimonianza. Ecco perché ho deciso di realizzare il documentario. Inoltre, ho voluto suscitare interesse e curiosità, con l’obiettivo di stimolare una ricerca che vada oltre il filmato, per esplorare un periodo di grande effervescenza culturale. Oltre al film esiste il Sito Web che raccoglie tutto il materiale reperito, purtroppo l’archivio del Festival è andato perduto.
“Sassi nello stagno”, un titolo emblematico?
Molto emblematico. Il primo sasso è stato certamente il Festival che ha scosso diverse placide acque: acque culturali, acque cittadine, di quella provincia dove tutto arriva sempre dopo, con calma e sospetto. Il secondo sasso è il documentario, un sassolino rispetto alle dimensioni del Festival che vorrebbe smuovere qualcosa, fare in modo che almeno per un po’ se ne (ri)parli. Il destino dei sassi lanciati nell’acqua è comunque noto.
“La storia è scritta da uomini fuori dell’ordinario, alcuni dei quali diventano re e la maggior parte lascia la stessa traccia di una pietra gettata nel mare”. (Addio al Re – Farewell to the king, 1989)
Come è stata accolta dai protagonisti dell’epoca la tua idea di parlare di quell’esperienza?
Con entusiasmo. In tutti ho trovato una grande disponibilità a parlare di una parte importante della loro vita, quasi dodici anni, un periodo intenso sotto ogni aspetto, sia creativo che umano. Ne hanno parlato tutti con grande affetto e allo stesso tempo con amarezza. È stato difficile scegliere quali parti delle loro interviste inserire nel film, per non oltrepassare i limiti di tempo programmati. Spero di potere recuperare e inserire, nei contenuti speciali del DVD che stiamo preparando, quanto più materiale possibile.
Cosa hai conosciuto dei fermenti culturali di quegli anni grazie al tuo film?
Ho conosciuto un’epoca in cui la cultura era pane quotidiano e nessun terreno era al di fuori dall’esplorazione, dalla ricerca. Era un festival laboratorio, una fucina dove si assemblavano vecchie e nuove esperienze per crearne di ancora più nuove. È stato un Festival propositivo, non solo espositivo, che ha prodotto, come si producono i film, opere di registi emergenti per poter parlare del nuovo cinema. Era un’epoca dove tutto era possibile, anche se si disponeva di mezzi limitati. Ho scoperto una realtà dove le relazioni umane erano molto importanti al pari delle opere proiettate. Un Festival concepito come un film: ideazione, produzione, realizzazione e proiezione.
Dove si potrà vederlo?
La “Prima” del film è prevista a Roma, giovedì 19 gennaio, presso il Cinema Teatro Flavio, inserito nella rassegna “Indipendentementi” organizzata da Federico Mattioni e Franco Venturini. In questi giorni è possibile vederlo in concorso al “Lecce Film Fest”, inoltre, è in preparazione il DVD. “Sassi nello stagno” è in concorso ai David di Donatello 2017, nella sezione documentari.
Guarda il trailer ufficiale di Sassi nello stagno
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William Molducci
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