L’oro del Pci, Valente: “Io col Pd non c’entro, ma quei soldi spettano a loro…”
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“Quelli della fondazione sono compagni di specchiata moralità, li conosco da anni. Ma questo non sposta il problema: c’è una stortura che va affrontata e risolta”. Alfredo Valente, oggi ai vertici del Prc a Ferrara, ripercorre la sua vicenda. “Sono stato iscritto al Pci dal 1976 fino al 1992. Sono uscito un anno dopo il congresso di Rimini che decretò la fine del Partito comunista italiano e la nascita del Partito democratico della sinistra. Rimasi disorientato e mi servì tempo per capire cosa fare. Da una parte c’era la neonata Rifondazione comunista con a capo Cossutta, un uomo con il quale non mi identificavo. Io, come Rossi e Zappaterra, ero dall’area ingraiana e Ingrao, pur in dissenso era rimasto nel Pds. Ma dopo un anno capii che non potevo più restare e approdai a Rifondazione, nel frattempo arricchita dall’apporto di compagni di Dp e altri soggetti. Allora ritenevo che al nuovo soggetto che si era staccato dal Pds fosse dovuto un risarcimento, una parte del patrimonio. Ma la scelta fu diversa e tutto rimase al Pds e successivamente passò ai Ds. Per logica e per coerenza ritengo che ora quel patrimonio spetti al Pd, c’è un’indiscutibile continuità del gruppo dirigente. Negarlo equivarrebbe a un’espropriazione nei confronti di chi è confluito dai Ds al Pd. Non ho alcun interesse a sostenere questa tesi. Io faccio ancora parte di Rifondazione. Paradossalmente se fosse riconosciuto il diritto della fondazione di trattenere il patrimonio potremmo avanzare delle rivendicazioni anche noi: se la storia è finita ognuno si riprende la sua parte. A questo punto potremmo anche intraprendere un’azione collettiva, una class action come si usa dire. Ma ripeto, per logica quel che c’è spetta al Pd”.
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Sergio Gessi
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