Il “renzismo” viene ormai spacciato come un fenomeno politico inarrestabile. O ti adegui allo stil novo (tortellini, gelato e docce comprese) o sei un residuato. Demodè. Si va affermando sulla scia del nuovo granduca di Toscana un nuovo ceto politico fiero ed orgoglioso di non avere nessun punto di riferimento con il passato. Né storico, né culturale.
Insofferente al richiamo ad affrontare senza pressapochismo e superficialità i temi istituzionali e le complessità sociali proprie di una modernità che ora più che mai deve fondarsi su valori ed idealità proprie storicamente dei movimenti progressisti. Il dato di fatto è invece che nell’accezione comune la distinzione tra destra-sinistra si va annullando. Il renzismo sta completando una mutazione genetica della sinistra che è di merito, di sostanza e persino simbolica. Un melting pot politico ed ideale che lascia interdetti.
“Cambierò l’Italia” ripete ossessivamente il premier. E per il cambiamento si appoggia a Berlusconi e le ventilate riforme hanno un che di ambiguo che fa temere pasticci. Vedi giustizia, jobs act, lotta alla corruzione, eccetera. Renzi ha pescato con il voto alle europee anche a destra e sopratutto in quella zona “grigia” che gli ha affidato speranze e voglie che con il cambiamento hanno poco a che fare. Lotta all’evasione fiscale? Non esageriamo. I sindacati? Vanno ridimensionati. I diritti dei lavoratori? Sono troppi. Le regole? Me le faccio io. La corruzione? Un male necessario. I partiti e la politica? Se ne può fare a meno. Ed altro ancora che ripropone quel qualunquismo italico origine di tanti mali.
Nell’azione di questo governo non c’è nessun tentativo di alzare l’asticella morale ed etica di costoro. Il senso di cittadinanza che prevede diritti ma anche doveri. Li si blandisce scendendo pericolosamente sul loro terreno. Di qui un voto ambiguo che assegna alle mitiche riforme significati diversi e contrastanti. Il “popolo” (quale?) ci chiede le riforme, urla l’allegra brigata renziana distruggendo Marx e le classi sociali e sempre più convinta di essere unta dal Signore con quel 40,8% ottenuto alle europee.
In molti si arrovellano sull’enigma Renzi. Chi è davvero Renzi? Un innovatore? Un furbo di tre cotte? Un uomo che ambisce solo al potere? E’ figlio di Berlusconi? E’ un novello Craxi? Le analisi si sprecano e “Matteo” fa di tutto per rendersi inclassificabile.
Probabilmente siamo di fronte ad un “ircocervo” (Togliatti) politico: un uomo contraddittorio, senza solide radici culturali – e quindi politiche – che vuole tenere insieme più cose. Cresciuto all’insegna dell’Italia “da bere” e dell’edonismo berlusconiano. Da questi ha ereditato la spregiudicatezza, l’affabulazione ammaliatrice, il gusto per le gag, le capacità manovriere. Da Craxi una certa arroganza e sicumera che si esprime contro i detrattori, “gufi e rosiconi” (tutti quelli che non condividono il suo operato), che fa il paio con la puntigliosità e scientificità con cui premia amici e adulatori. Il tratto che li accomuna è l’ambizione, l’autostima smisurata, la ricerca del potere.
Di certo Renzi dimostra che da Berlinguer non ha ereditato e non vuole ereditare niente. Moriremo dunque renziani? Non credo. Il 40,8% per cento colpisce e frastorna. Ma la realtà e più dura della propaganda. Il nuovo vate ha ottenuto di fatto meno del 20% del corpo elettorale complessivo. Due italiani su dieci. L’ottanta per cento – includendo quel 50% che non vota – sceglie altrimenti. Ormai la quasi totalità dei sindaci viene eletta con larga minoranza elettorale e quindi scarsa rappresentatività. La disaffezione e la sfiducia dilagano. Un dato che allarma e da cui partire per un vero cambiamento che esalti democrazia e partecipazione, giustizia sociale e rigore morale. Su questi valori si formò la sinistra scrivendo nobili pagine di storia che Renzi ed i renziani farebbero bene a non ignorare.
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Paolo Mandini
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