Come un rombo di cannone. Non tanto si tratta della rossiniana calunnia, quanto della nuova parola che fa impazzire gli “itagliani”. Problematica. Anzi problematiche. Al suo confronto, selfie, energy, education, ashtag scompaiono di fronte a una sana parola delle nostra tradizione. E guai sostituirla con “problemi sollevati da” o altre circonlocuzioni modestamente banali. Problematiche devono essere e siano!
Vuoi mettere le problematiche sollevate dalla falsa tomba di Caravaggio, monumento supremo al genio italico? O le dotte discussioni intrise di squisiti veleni accademico-politici sulla necessità di spostare la collocazione della Pietà Rondanini da una stanza all’altra nel Castello di Milano?
O la problematica sollevata dai vini dalemiani? O quella bofonchiata dal signor Salvini riguardo ai campi Rom? E, mi si perdoni, il serissimo e fondamentale convegno medico che si terrà a Ferrara, non per l’evento in sé che richiede il massimo rispetto, ma il modo con cui è stato presentato sui giornali: “le problematiche sulla patologia del pavimento pelvico”.
E se invece di problematiche si passasse ai modesti ma sempre efficaci interventi?
Mi è parso evidentissimo che nella bellissima mostra rodigina “Il demone della modernità”, curata dall’amico Giandomenico Romanelli, la problematica della nascita della modernità sotto il segno del demonismo e della guerra sia stata risolta con un racconto fatto di quadri dove gli ormai insopportabili geni del Novecento e dell’Ottocento, con la inevitabile puntata sull’ “unico” Caravaggio, erano sostituiti da una generazione o da due artisti in prevalenza nordici – con la straordinaria presenza dell’italiano Alberto Martini – poco conosciuti, acutissimi nel rappresentare il lato oscuro della modernità: senza problematiche ma con lo sguardo dell’artista che conosce e crea la realtà dal suo punto di vista privilegiato.
Ma ormai, nel sabato luminoso, a Rovigo sembrava di essere a Ferrara, nello stesso identico momento. Tutto un tambureggiare di figuranti e sbandieratori che passavano orgogliosi tra banchi e bancherelle di cibo e di prodotti alimentari e che attraevano i passanti a suon di assaggini. Fin sulle scale del palazzo della Gran Guardia dove il nostro grande ferraresissimo antichista Claudio Cazzola teneva una conferenza sull’enigma di Omero. E mentre gli enigmi si dispiegavano – che sottofondo di rulli, di trombe, di sventolii – cortesemente si sollecitava ad abbreviare la dotta riunione perché alle diciotto parlava il signor Salvini.
L’”Itaglia” ormai sta raggiungendo il picco della incapacità, prima linguistica e conseguentemente morale ed economica, di un periodo storico che raccoglie i frutti (ormai è d’obbligo un riferimento costante all’Expo e alle sue problematiche) di una stagione sciagurata.
Ci si può consolare dalle problematiche? Beh forse un mezzo c’è ed è, al solito, quello offerto dallo sguardo implacabile dell’arte che testimonia e crea. L’altro termine abusato “evento” ormai non scalda più i cuori. Per caso ho rivisto, dopo decenni, il secondo film di Bernardo Bertolucci “La strategia del ragno” (1970) che ricordavo pochissimo. E le memorie si sono infoltite: gli anni trascorsi all’istituto tecnico V. Monti, collega di Franco Giovannelli, attore splendido nel film. E le storie dei tre amici a Bologna: Franco Giovannelli, Giorgio Bassani e Attilio Bertolucci. E l’incontro con Claudio Varese e Giuseppe Dessì… e l’ultimo racconto del libro “Una città di pianura” uscito nel 1940 di quel giovane scrittore, Bassani, che è obbligato a nascondersi per le leggi razziali sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi. E mi accorgo di essere tra gli ultimi testimoni di quella stagione ferrarese straordinaria, anche se di un’altra generazione. Poi “gira il mondo gira” e mi lascio trascinare dalla voce di Mina che canta la canzone del film. E ancora i disegni di Ligabue nei titoli del film girato tra Brescello (il paese di Don Camillo), Sabbioneta e Fidenza, e scoprire che al paese sul fiume era stato dato il nome di Tara, l’unica solida realtà a cui si attacca disperatamente Rossella nell’ultima scena di Via col vento. Poi la straordinaria presenza di Alida Valli a 14 anni di distanza da “Senso” di Luchino Visconti. Ancora meravigliosa…
Così in luogo di problematiche rivivono le testimonianze.
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Gianni Venturi
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