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Povertà, emarginazione, miseria, sono temi al centro dell’attenzione da sempre e che ora rischiano di diventare centrali nella nostra società. Tante indagini ne rilevano ormai la gravità; sta crescendo il disagio economico (quasi la metà delle famiglie dichiara di avere difficoltà economiche). La mancanza delle risorse necessarie per la vita delle famiglie e delle persone è un grande tema critico (“ povertà economica”) su cui vorrei esprimere qualche concetto anch’io.

Il rischio di povertà sta crescendo nelle famiglie sia al nord che al sud, tra i giovani, tra gli anziani, nei disoccupati, ma anche tra i lavoratori.
L’esigenza di affrontare il tema della povertà non solo nella sua dimensione economica, ma anche nella sua caratterizzazione di “esclusione sociale” impone infatti riflessioni più vaste e articolate, ma soprattutto richiede un maggiore coinvolgimento di tutti.

La natura multidimensionale della povertà è infatti ormai ampiamente riconosciuta non solo sul piano dell’economia, ma soprattutto a livello politico-sociale. Aumentano le categorie più vulnerabili e non comprendono più solo la quota degli anziani (di cui uno su quattro è a rischio povertà), ma stanno coinvolgendo anche in modo crescente persone giovani sole e famiglie numerose. Gli studi di analisi delle disuguaglianze indicano in questi ultimi anni infatti forti modificazioni sia nella struttura che nella composizione della nuova povertà.

È in generale modificata e aumentata la mobilità temporale dei redditi delle famiglie e conseguentemente sono di molto aumentati l’insicurezza delle famiglie e il loro senso di vulnerabilità nei confronti di eventi negativi. Ad una povertà tradizionale si aggiunge dunque una fascia di sofferenza e di disagio allargata costituita da famiglie monoreddito o con un solo genitore a basso reddito. Spesso poi è la perdita del lavoro la causa di un crescente indebitamento e dunque situazione di sofferenza.

Forse si deve ripartire dal riconoscimento di diritti: riconoscere il diritto delle persone in condizioni di povertà e di esclusione sociale di vivere dignitosamente e di far parte a pieno titolo della società. Serve una rinnovata responsabilità condivisa e di partecipazione, anche se certamente la prima cosa che viene spontaneo chiedere è quella di accrescere la partecipazione pubblica alle politiche e alle azioni di inclusione sociale, sottolineando la responsabilità collettiva e dei singoli nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale e l’importanza di promuovere e sostenere le attività di volontariato.

Bisogna promuovere una società più coesa, sensibilizzando i cittadini sui vantaggi derivanti da una società senza povertà ed emarginazione, e una società che sostiene la qualità della vita (incluso la qualità dell’occupazione), il benessere sociale (incluso il benessere dei bambini) e le pari opportunità per tutti, garantendo anche lo sviluppo sostenibile e la solidarietà intergenerazionale e intragenerazionale. Serve una maggiore coesione, ma a parole siamo tutti bravi.
Serve però un maggiore impegno e soprattutto servono azioni concrete.
Magari partendo da piccole cose quali la riduzione dei costi dei servizi collettivi (a partire da tariffe sociali per l’energia elettrica, l’acqua, i servizi collettivi, etc). Non è una priorità generale, ma è ciò di cui mi sono occupato in passato e per questo ne parlerò in un prossimo articolo.

Dalle numerose indagini sul disagio socio-economico è noto infatti che l’incidenza della povertà nel ciclo di vita delle famiglie presenta un tipico andamento a U. Il rischio di povertà è alto quando si hanno in famiglia bambini piccoli, si abbassa quando il capofamiglia raggiunge l’apice della carriera lavorativa e i figli escono progressivamente di casa (tranne quelli che restano perché non sanno dove andare…), infine torna ad aumentare tra i pensionati.
Questo andamento di massima è noto da tempo, così come le sue origini. La causa di fondo consiste nei noti difetti strutturali del nostro sistema di protezione sociale.
In Italia “l’emergenza sociale” riguarda 15 milioni di persone di cui la metà ufficialmente sotto la soglia della povertà, ma altrettanti si collocano poco sopra, dunque da considerare ad alto rischio. Anche l’Emilia Romagna si trova a dover fare fronte a questa emergenza: l’indice di povertà delle famiglie è salito negli ultimi anni a livelli molto preoccupanti; oltre mezzo milione di emiliano-romagnoli vivono sotto la soglia di povertà.

Deve crescere dunque l’attenzione in particolare su alcune aree critiche quali l’immigrazione, la povertà e l’esclusione sociale, perché, come era inevitabile, la crisi economica globale ha purtroppo iniziato a fare sentire i suoi effetti anche nel welfare di quelli che una volta erano considerati territori agiati.
Nella nostra regione sono state fatte molte cose importanti prevedendo norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Vi è sempre stato tra le priorità il contrasto alla povertà ed ai fenomeni di esclusione sociale. Ma ora si deve fare di più.

Bisogna rivedere i piani sociali di zona per monitorare e localizzare le caratteristiche del sistema socio-economico locale. Bisogna rivedere le linee di riforma dei servizi sociali che negli anni hanno coinvolto enti e amministrazioni in un importante sforzo culturale per valorizzare principi e strumenti innovativi a garanzia del diritto di cittadinanza sociale.
Quel sistema integrato di welfare non si è sviluppato e potenziato nel tempo a sufficienza.
Si ritiene che proprio in una logica integrata di sistema si riesca a caratterizzare lo sviluppo di un territorio, in quanto l’evoluzione delle esigenze e dei nuovi bisogni della popolazione porta ad allargare l’orizzonte delle scelte verso un riordino del welfare in funzione del valore sociale complessivo.
La strategia di riferimento è saper congiungere la ricerca di integrazione delle politiche sociali attraverso l’impegno concertato di tutte le istituzioni e la partecipazione integrata dei vari soggetti pubblici e privati che a vario titolo fanno parte dei diversi settori della vita sociale (ambiente, cultura, lavoro, casa, educazione, etc).

Certo non è facile e non ho certo soluzioni migliori rispetto a chi si sta impegnando da molto tempo, ma mi piacerebbe molto che anche attraverso questo giornale se ne parlasse di più. Io proverò solo nei prossimo giorni a proporre qualche riflessione che ho sviluppato negli anni scorsi scrivendo per la regione un “report sociale”.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

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