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L’OPINIONE
Fuochi e Sgarbi infiammano Ferrara

Mentre si spegne l’eco dei botti di Capodanno che producono fremiti e ohhhh di meraviglia di fronte all’incendio del Castello nella città estense, o i concerti nelle piazze fiorentine, seguiti dai fuochi d’artificio tra frotte inenarrabili di turisti che si fanno scudo della grande bellezza per proclamare il dogma immortale dell’ “anche io c’ero!” testimoniato dai milioni di selfie, rimane quel retrogusto amaro nel non volere arrendersi alla noia prodotta e provocata dal voler essere per forza in pista in quella notte. La mia irriducibile avversione ai botti risale forse alla paura del fuoco o forse più verosimilmente alla notte del bombardamento di Ferrara, quando bambinetto fuggivo verso il rifugio in braccio alla mamma, inseguito dai tonfi sordi e dalle lingue di fuoco che s’alzavano circondandoci. Ci sono, a mio avviso, momenti migliori per passare quella manciata di ore tra Natale e Capodanno. Penso ai bellissimi film che sono riuscito a vedere nel tempo propizio ai cinepanettoni: da “Jimmy’s Hall” a “Saint Vincent”, passando per “Il giovane favoloso” a “Torneranno i prati” e, alla televisione, l’immortale “A qualcuno piace caldo” e “Il giardino dei limoni”. Storie di emarginati e di poeti, o di irrisolvibili contrasti e conflitti: Irlanda, Palestina, Israele, la Prima guerra mondiale. Il mondo reale, la verità riscoperta attraverso l’arte.

Così, in questi momenti inopportuna e stridente si leva la polemica sulla mostra del Bastianino e sul destino di Casa Minerbi che il critico Vittorio Sgarbi irride, forse senza saperne il destino e la fruizione imminente. Sembra quasi che i ferraresi affascinati da parole forti e scaltramente pronunciate s’abbandonino, come nell’incendio del Castello, a perdersi tra botti e fuochi dell’intelligenza e del mestiere. La memoria corta così tipica di “Ferara” s’infiamma e si compiace nel denigrare ciò che è frutto di progetti, criticabili quanto si vuole, ma sempre sostenuti da una meditata consapevolezza. E’ stato così nella Ferrara “smangona” e, solo per fare esempi recenti, per il progetto Ermitage, per il ridimensionamento dell’Istituto di studi rinascimentali e per molto di quello che si è tentato di costruire per uscire dalle Mura, a volte paradiso, a volte carcere della depisissiana città pentagona.
Non è scetticismo né tantomeno pensiero negativo.
La constatazione di ciò che la nostra città invidia a se stessa deve essere impegno etico a resistere e a non abbandonarsi all’ovvietà. Perciò bisogna controbattere alle provocazioni: specie quelle intellettuali, sapendo però che quasi sempre si è destinati a perdere.
Si veda la magnifica proposta di Piero Stefani su come dare contenuti forti al Museo dell’Ebraismo, caduta nel vuoto. Si assista alle splendide conferenze organizzate dall’Istituto Gramsci sul “carattere degli italiani”, seguitissime, applauditissime. E poi? Si considerino le mani alzate dopo la reprimenda di Vittorio Sgarbi sulla mostra del Bastianino alla domanda su quanti avessero visitata l’esposizione: tre! nella sala stracolma che applaudiva toto corde.

Dovremmo dichiararci sconfitti? Eh no! Anzi, sono queste le prove che ci devono indurre a non lasciare la presa. Che all’incendio del Castello, nella mente, si può contrapporre la riposata e placida constatazione di quanto sia straordinario far fiorire gli alberi dei limoni e non abbatterli come nello splendido film di Eran Riklis.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.


PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)