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I congiurati che alle fatidiche idi di marzo assassinarono Giulio Cesare erano convinti di essere dei tirannicidi e di agire nell’interesse supremo dei cittadini di Roma e delle sue antiche e gloriose istituzioni repubblicane. Il loro gesto, visto col senno di poi, in realtà accelerò la fine di quell’epoca e consentì ad Augusto di fare facilmente tabula rasa del passato.
Per fortuna, mutatis mutandis, con l’elezione a larghissima maggioranza di Sergio Mattarella alla presidenza della repubblica si è evitato che si compisse una delle tante congiure che erano state immaginate e forse persino predisposte nelle scorse settimane. Questo grazie ad una tattica efficace e ad un sussulto non affatto scontato di intelligenza politica da parte di molti dei potenziali congiurati, cui va reso indubbiamente merito. Non era un esito scontato: per le qualità del vincitore, per l’ampiezza dei consensi ricevuti, per l’impossibilità da parte di chiunque di sollevare obiezioni fondate (tolti i soliti pochi abituali mestatori di liquami).
Se questo sarà sufficiente perché si apra una fase diversa nel percorso assai accidentato in cui il Paese è impegnato per riformare le proprie istituzioni è ancora presto a dirsi. Certamente l’arbitro designato dà tutte le garanzie di rigore ed imparzialità necessarie per quel ruolo: il resto dipende invece dagli schieramenti che si contrappongono e dallo loro capacità di interpretare il cambiamento che l’Italia subisce, anche suo (e loro) malgrado. Le democrazie funzionano finché regge il patto di reciproca legittimazione fra le diverse componenti sociali e politiche che le costituiscono: nella prima repubblica esisteva il concetto di “arco costituzionale”, che comprendeva le forze che avevano contribuito, prima con la Resistenza, poi con l’attività costituente, a fondare la repubblica. Esse, nonostante lotte molto aspre, trame oscure, esclusioni preconcette dal governo e terrorismo, hanno continuato per quarant’anni a mantenerla in vita.
In questi ultimi anni convulsi e confusi quel patto, già molto indebolito dai mille trasformismi e revisionismi che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio, nonché dalla convinzione dei molti che anche in buona fede non lo ritenevano ormai più necessario, rischia di dissolversi definitivamente. Oggi, partiti, movimenti, forze sociali, all’interno dei quali si ricombinano i frammenti dispersi delle organizzazioni politiche della prima repubblica, non si riconoscono reciprocamente il diritto di poter contribuire al cambiamento istituzionale di cui il Paese ha urgente necessità. Tale mancato riconoscimento è alla radice dell’impossibilità di trovare una sintesi condivisa.

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Raffaele Mosca



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