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28 Luglio 2014

L’odio

Tempo di lettura: 3 minuti


Argomento poco estivo, mi si dirà: adatto perciò a questa strana estate, potrei rispondere. E comunque l’estate, almeno sin dai tempi giurassici delle rassegne a prezzi popolari di vecchi film nei cinema non ancora chiusi per ferie e per tacere degli immancabili “gialli”, è il regno dello splatter, di vampiri, assassini spietati e serial killer, di alieni feroci. Non siamo perciò del tutto fuori tema. Poi l’odio di cui vorrei parlare è un odio molto specifico, di nicchia si potrebbe dire; di quelli però che mai si tramuteranno in violenza fisica e che quindi possono essere guardati persino con un po’ di simpatia. Perché l’ossessione e l’accanimento inspiegabile sono da sempre fonti inesauribili di comicità.
Veniamo al punto. L’odio in questione è quello che un certo numero di militanti attempati (non me ne vogliano per l’aggettivo, ma così è) della sinistra non riescono a nascondere nei confronti dell’attuale presidente del consiglio e segretario del Pd. Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: non mi riferisco alle critiche più che legittime di coloro che, giovani e meno giovani, non sono d’accordo con lui, cosa che peraltro ogni tanto capita persino ai suoi estimatori, ma a quel vero e proprio fastidio, quasi fisico, che molti provano nei suoi confronti: da renderne insopportabile persino il modo di parlare, di vestirsi e di muoversi. Si odia veramente qualcuno se, tolto tutto il resto, alla fine gli si imputa il semplice fatto di esistere.
Sui social network è facilissimo riconoscerli: sono quelli che tutte le sante mattine non riescono a reprimere il bisogno di commentare, quasi sempre con aggettivazione pesante e toni apocalittici, l’ultima nefandezza del loro incubo (c’è n’è immancabilmente almeno una nuova) o quelli che, di qualunque cosa si parli, non resistono alla tentazione della battuta tanto malevola quanto fuori contesto. L’odio d’altra parte è fatto così. Si alimenta di sé e tende a crescere senza limiti per poi esplodere in un atto inconsulto; altrimenti, come in questo caso, raggiunto l’apice pian piano si richiude su se stesso e cova sotto la cenere nella forma di sordo rancore, di solito esteso all’intero universo, reo di non avere capito. Per il momento siamo ancora nella fase crescente, sia pure direi verso la fine.
Chi odia molto spesso si sente vittima di un sopruso ingiustificato oltre che incomprensibile; qualcosa che travalica almeno in parte la razionalità e non può perciò essere inscritto in un contesto compiuto di rapporti di causa effetto. Si odia soprattutto perché non si capisce. Se, come narrano gli apocrifi, il Cristo bambino non avesse dato vere ali agli uccelli che stava modellando avrebbe forse anch’egli odiato chi li voleva schiacciare. I nostri invece, incapaci di miracoli, odiano colui che ritengono aver rotto definitivamente il loro giocattolo preferito, che si portavano dietro dall’ultimo quarto del secolo passato e che in quegli anni era stato la fonte di molti dei loro sogni e della loro speranza. A ben guardare erano marchingegni assai precari, ammaccati dalle botte di tangentopoli, dai calci di Bertinotti, privi dei pezzi smontati dal cacciavite di D’Alema a cui Veltroni aveva sostituito parti non originali, arrugginiti dalla birra rovesciata di Bersani, ma a cui erano affezionati, se non altro perché gli ricordavano la giovinezza. Quando il mondo era più semplice e i buoni erano tutti da una parte ed i cattivi dall’altra, quando la Cina era solo un sogno rivoluzionario finito così così e si marciava uniti contro Agnelli e Pirelli “ladri gemelli”. Come per tante cose vecchie molti di loro, forse i più feroci, in realtà non ricordavano nemmeno più bene dove fossero andato a finire, in cantina, in solaio, nella tavernetta, nella casa del mare; messi lì per far posto alle meraviglie degli anni ’90 e ai nuovi stili di vita ed usati sempre più raramente: rare serate d’inverno, vecchi amici, vecchie canzoni e qualche buona bottiglia.

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Raffaele Mosca



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