Chi da piccolo non ha giocato al gioco del “Facciamo che io ero”? Un astronauta, un medico, un insegnante, l’eroe o l’eroina preferiti: quando si diventa grandi si dice di ‘far finta’, ma da bambini per quel lasso di tempo lo si diventa davvero. Agli attori – ci avete mai pensato? – è permesso continuare a fare questo gioco anche da adulti. E i giovani componenti del collettivo bolognese Respirale teatro hanno deciso di sfruttare questa possibilità per costruire un gioco di riflessi sui Millennials, fra rappresentazione e autorappresentazione.
Sabato sera al Totem Arti Festival di Pontelagoscuro – organizzato da Teatro Nucleo con la direzione artistica di Natasha Czertok – è andato in scena il primo studio di questo esperimento intitolato ‘IOhERO’, dopo una residenza che ha visto gli attori Debora Binci, Michele Pagliai, Emanuele Tumolo e la regista Veronica Capozzoli ospiti delle sale del Teatro Cortazar nell’ultimo mese.
Alla ricerca di un’epica contemporanea, chiedendosi se in questo nuovo millennio esiste un nuovo Omero, individuale o collettivo che sia, i giovani componenti di Respirale sono arrivati a una narrazione, una rappresentazione che è in realtà una confessione della propria fragilità e delle proprie ansie di Millennials, i nati nel ventennio che va dal 1980 alla fine degli anni Novanta, che hanno attraversato il cambio di millennio convinti di esserne i nuovi eroi, pensando che ogni cosa fosse alla loro portata.
Ecco allora che l’Iliade, già di per sé ‘social’ come ogni mito e ogni narrazione orale trasmessi di generazione in generazione, diventa una battaglia navale 2.0, un gioco di ruolo on-line dove Achille e Paride sono i due profili scelti dai giocatori, con tanto di nickname e dichiarazione di social status. Gli eserciti schierati, pronti a confrontarsi presso le mura di Ilio sono “una generazione di fenomeni mobile (da leggersi all’inglese, naturalmente)”, tutti in scintillanti “armature recensite su Amazon”. A godersi “i duelli in streaming”, a guidare il gioco, allo stesso tempo algida dominatrice e fragile vittima, una Elena dai vertiginosi tacchi a spillo.
Poi cambio di scena, tre individui si muovono incerti come pedine su una scacchiera, affollando le orecchie del pubblico con i propri “io”, inconsapevoli l’uno dell’altro, per mancanza di capacità o volontà di conoscere e riconoscere le ragioni, i desideri, i sogni dell’altro: “sono qui”, “non ti vedo”.
Il mare della battaglia navale è diventato l’oceano di possibili scelte a disposizione dei Millenials nel quale è facile affogare se non si hanno gli strumenti adatti per la navigazione: esiste un’unica rotta da seguire, oppure ognuno deve tracciarsi la propria? In queste acque fanno capolino gli scogli di un’eterna formazione e di un lavoro che non è più strumento di emancipazione e le sirene che fanno impazzire “uomini e donne, laureati, formati, specializzati” nell’attesa di quella fama che non si raggiunge più – per fortuna – sui campi di battaglia a colpi di spada, ma dallo schermo a colpi di pixel e likes. Infine due minotauri contemporanei usano il filo di Arianna non per liberare, ma per ghermire e omologare: superata la soglia dell’homo videns, a che punto siamo ora?
Indovinato l’uso delle citazioni, in un intelligente mix di epica, pop e sottile provocazione. Ingegnoso uso delle luci e degli effetti sonori che tra teatro delle ombre e lampi pulsanti materializzano le inquietudini dei protagonisti e (forse) anche del pubblico.
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Federica Pezzoli
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