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In via Zamboni a Bologna nella zona universitaria, in piazza Scaravilli per la precisione, il sabato e il lunedì mattina, quando c’era il ’68 e le immagini del Che Guevara incollate alle colonne dei porticati, un noto professore di statistica faceva lezione e le prime tre ore le dedicava al concetto e al significato di “incommensurabile”, utilizzando un linguaggio sostanzialmente filosofico.
Un’aula strapiena, molti in piedi, oltre trecento matricole impaurite che non capivano e che si guardava attorno, pensando che Statistica 1 (piena di formule complicate) fosse altra cosa; poi, dopo alcuni mesi e a lezioni quasi terminate, compresero il perché di quelle ‘digressioni’ di filosofia e del valore dei numeri.
Chi poi per motivi professionali è stato coinvolto nell’analisi delle poste di bilancio, nella sua articolazione e formazione, in alcuni indici, nella struttura dei costi, nei budget e nel controllo di gestione, nel marketing territoriale, nelle scienze sociali, sa distinguere e capire che l’econometria e tutto ciò che è cifra non si riduce alla ‘questione dei due polli’.

Fatta questa dovuta premessa, non posso che soffermarmi su ciò di cui si è discusso in questi giorni a palazzo Chigi, ossia sul Def – Documento di economia e finanza del governo, e del perché, finalmente, si sia insistito sul cronoprogramma.
Vale a dire, in soldoni, che si parla di date e scadenze, di importi in numeri, di coperture, di riordino della spesa, di investimenti, sulle principali azioni che l’esecutivo realizzerà con gli strumenti di progetti / disegni / decreti / provvedimenti, in un quadro temporale ben definito, perché serve più il fare che il faremo.
Ma se si vuole evitare che Roma non decida, pensando a Sagunto, come evitare che anche sui territori (regioni, comuni, luoghi degli apparati e delle burocrazie, aziende ed enti pubblici), il fuoco possa espandersi, trovando troppe incoerenze e, quindi, ogni cambiamento svanire, facendo perdere la speranza del Paese?
Pensare che quell’ “incommensurabile” della statistica, non nel senso della misura relativa ma della sua presenza di cifra, debba radicarsi anche nei particolari dei programmi dei candidati sindaci, è la condizione per capire la direzione di marcia di un’amministrazione, soprattutto se pubblica e rivolta al bene comune.
Salvo pochissimi e limitati casi, anche nelle municipalità ferraresi e non solo vediamo troppe descrizioni e slogan, grafiche web anche belle e accattivanti, ma solo piccole operazioni di immagine, una agenda fitta di incontri per una campagna elettorale che ci pare riscaldi poco ed entusiasmi pochissimi cittadini.
Del perché a fianco dei singoli progetti/programmi non ci sia quasi mai una descrizione precisa e puntuale, una cifra in euro, quando iniziano i lavori e/o la riorganizzazione funzionale, quando terminano, dove sono le fonti e le risorse, la loro provenienza, i cofinanziamenti e con chi, se con il Comune vicino e/o contiguo, anche più in là se si pensa all’Unione dei comuni. E dove i due bicchieri non sono a pari livello, togliere di qua per mettere di là, e se c’è almeno d’idea della fusione per piccoli e piccolissimi Comuni che da soli non ce la fanno, e così via. Di tutto questo non è dato a sapere.

Se Renzi fa il cronoprogramma ma gli altri (i sindaci) nelle periferie no, come sarà il ‘cambio verso’? Come può avvenire il cambio di passo se non si cambia almeno un po’? Lascio l’interrogativo al cortese lettore.
Ci diceva, allora, il professore: “Dietro e dentro ai numeri ci sono sempre le persone, non dimenticatelo mai”.
Allora metteteci almeno un numero, anzi la cifra, grazie.

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Enzo Barboni



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