L’INTERVISTA
Caterina Tavolini: “La mia danza, una denuncia della cieca logica del profitto”
Michele Abbondanza e Antonella Bertoni rappresentano ancora oggi il “duo della danza italiana” e “Terramara” il loro primo, originale e irripetibile “pas de deux”. La loro esperienza nasce nei fecondi anni Ottanta, avviati dalla presenza di Carolyn Carlson a Venezia, che segnano la nascita del teatrodanza italiano e della variante mediterranea della danza contemporanea, con la costituzione della Compagnia Sosta Palmizi. Negli stessi anni la coreografa e danzatrice ferrarese Caterina Tavolini è alla ricerca di una danza che le corrisponda. Vede “Underwood” di Carolyn Carlson nel 1982 e “Il cortile” della Compagnia Sosta Palmizi nel 1985 ed è la folgorazione: da allora segue i seminari della compagnia in giro per l’Italia e studia con Michele Abbondanza a Bologna per due anni, inserendosi a pieno titolo nel panorama delle avanguardie del periodo.
Abbiamo intervistato Caterina Tavolini in occasione del riallestimento del duo “Terramara”, andato in scena ieri sera al Teatro Comunale Abbado di Ferrara, che nello stesso luogo vide anche la coreografia originale danzata da Michele Abbondanza e Antonella Bertoni nel lontano 1991 [vedi].

Quali i ricordi, le emozioni e le sensazioni di rivedere lo spettacolo qui, al Teatro comunale, ventidue anni dopo, danzato da una nuova coppia di ballerini?
Innanzitutto il grande piacere di poterlo rivedere in scena. E’ una coreografia geniale, di grande intensità, semplice e raffinata al tempo stesso. Riproporla è stata un’operazione sicuramente positiva. Certo, mettere in scena l’inizio della storia d’amore vera vissuta dalla coppia Abb/Bert credo sia stato molto difficile e coraggioso da parte dei nuovi protagonisti, che sono riusciti a dare molto dal punto di vista virtuosistico ed ironico, ma l’emozione che ho provato e la poetica che ne è emersa quando ho visto l’originale, non ha e non può avere confronti. Michele e Antonella si muovevano come pantere sul palcoscenico, istintivi, con un ardore e una sensualità da far venire i brividi.
La mediterraneità, la solarità, il lavoro della terra sono gli elementi principali che connotano questo spettacolo e che, all’epoca, furono di grande innovazione e originalità. Hai ritrovato la stessa tonalità anche nella nuovo riallestimento?
Non sono riuscita a cogliere le differenze fra la prima volta che ho visto Terramara e quella attuale, coreograficamente e scenograficamente mi sono sembrate altrettanto convincenti: l’alternarsi delle giornate, luce e penombra, che scandiscono il lavoro e la vita di un uomo e di una donna che sia amano, che si toccano, si cercano, si prendono e si lasciano per prendersi ancora, e poi danzano e giocano come fossero su un’aia, utilizzando poeticamente ogni spunto simbolico, come l’arancia, il dolce, succoso e profumato frutto della terra, che in scena rappresenta anche il sole e la luna, un cuscino su cui riposare, semi e bambini che vengono mondo.
Ma passiamo a te, quando hai conosciuto Michele Abbondanza e quanto ha influito nel tuo percorso di danzatrice?
Erano i primi anni Ottanta e io ero alla ricerca di una danza che mi coinvolgesse integralmente. Premetto che ho iniziato a danzare da grande, a ventitre anni. Provenivo dalla ginnastica ritmica a livello agonistico ed ho studiato Scienze motorie all’Isef di Urbino. Ho sempre amato la danza ed ho sempre ballato di tutto, fin da piccola, ma fino ad allora non avevo ancora trovato ciò che rispecchiasse la mia idea della danza. Quando ho iniziato ad insegnare educazione fisica nella scuola pubblica, metà del mio stipendio andava per pagarmi i corsi e gli stage in giro per l’Italia e all’estero. Ho vinto anche qualche borsa di studio che mi ha permesso di approfondire la ricerca coreografica. Inizialmente ho provato ad affrontare varie tecniche, dalla modern jazz dance alla moderna alla classica all’hip hop, ma ogni tecnica lasciava una parte di me inespressa.

Dopo aver visto Underwood di Carolyn Carlson a Venezia nel 1982 [vedi], ho capito che avrei voluto danzare così, con quello spirito. La danza di Carolyn era la semplicità, la forma poetica del movimento, l’ironia, la leggerezza, con un profondo legame con la natura che apprezzavo e che apparteneva alla mia sensibilità artistica.
Successivamente ho cominciato a seguire i suoi danzatori che avevano formato la Compagnia Sosta Palmizi, tra i quali c’era anche un giovane Michele Abbondanza.

Per due anni ho studiato con lui a Bologna e quelli sono stati gli anni fondamentali della mia formazione. Lui è stato il mio primo vero maestro, nonostante fossimo coetanei. In seguito ho frequentato i seminari estivi dei Sosta Palmizi con Raffaella Giordano, Giorgio Rossi e Roberto Castello. Le loro lezioni erano continue fonti di stimoli, la loro creazione più importante “Il Cortile” del 1985 mi ha incantata, lo considero un vero quadro poetico sulla civiltà contadina del teatro danza italiano [vedi]
In quegli anni i Sosta Palmizi rappresentavano l’avanguardia: la danza contemporanea in Germania si chiamava Pina Bausch, negli Stati Uniti Carolyn Carlson, in Italia Sosta Palmizi e poi Abbondanza Bertoni. Era la danza contemporanea in chiave mediterranea. In quale delle tre modalità espressive ti sei più ritrovata?

Per quanto ci siano grandi affinità, ho sempre prediletto la leggerezza, l’ironia e la poesia della Carlson e di Abbondanza. La ricchezza che deriva dal contatto con la natura, presente in tutti e tre i coreografi, è stata un filo conduttore nei miei lavori, fino a creare nel 2009 il duo “Il respiro della terra” dedicato interamente a questo tema. Coreografia che vorrei riproporre e magari approfondire a breve, perché sento l’esigenza di denunciare, anche attraverso il linguaggio della danza, la distruzione dell’ambiente perpetrata da un essere umano sostanzialmente cieco e irresponsabile, legato solo alla logica del profitto.
Che tipo di legame si era instaurato tra te e Abbondanza?
Negli anni si era costruito un bel rapporto di stima e di amicizia, eravamo coetanei e dunque non si trattava del tipico rapporto maestro-allieva. Nei primi anni in cui ho iniziato ad insegnare danza contemporanea, l’ho invitato diverse volte a Ferrara per tenere delle lezioni ai miei allievi.
Abbondanza è stato definito dalla critica “una delle tre presenze più importanti del teatrodanza italiano per qualità espressiva, intelligenza estetica, energia spettacolare, originalità creativa” (Valeria Ottolenghi, La Gazzetta di Parma, agosto 1995)*.
Che lavoro proponeva Abbondanza ai ballerini?

Lui lavorava molto sull’improvvisazione, sull’essere scenico, sull’aspetto teatrale e laboratoriale della danza, con un attenzione al dettaglio, al movimento di qualità che nasce da un’intenzione, da un’immagine, da un contenuto o da un’intuizione. Credo di aver ereditato da lui la capacità di cogliere intuitivamente l’efficacia di un gesto spontaneo per renderlo unico e insostituibile, al servizio della creazione coreografica. E di questo gliene sono grata.
* in Valeria Morselli, “L’essere scenico. Lo zen nella poetica e nella pedagogia della Compagnia Abbondanza/ Bertoni”, Ephemeria ed., 2007
I disegni della coreografia “Terramara”, tratti dall’archivio personale di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni e pubblicati per gentile concessione in Valeria Morselli, “L’essere scenico. Lo zen nella poetica e nella pedagogia della Compagnia Abbondanza/Bertoni”, Ephemeria ed., 2007.
Per saperne di più sul riallestimento di Terramara, visita il sito [vedi] e leggi l’articolo di lancio dell’evento con intervista ai due nuovi ballerini pubblicato su questa testata [vedi]

Sostieni periscopio!
Sara Cambioli
I commenti sono chiusi.
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)