L’INTERVISTA
Leone Magiera: maestro di Pavarotti, collaborò con Abbado e von Karajan
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Leone Magiera, nato a Modena, si è avvicinato giovanissimo al mondo della musica dopo avere ascoltato il pianista svizzero Alfred Cortot alla radio. Ha esordito all’età di 12 anni come pianista e si è diplomato con lode e menzione speciale al Conservatorio di Parma.
Oltre ad avere costruito una formidabile carriera come pianista solista, Magiera ha collaborato con maestri come Giulini, Abbado, Solti, Kleiber e von Karajan, con quest’ultimo instaurò un particolare rapporto artistico di fiducia e stima, il Maestro austriaco lo reputava il migliore conoscitore del repertorio operistico italiano, francese e mozartiano.
Magiera, direttore d’orchestra a sua volta, è stato chiamato a interpretare una cinquantina di opere eseguite nei teatri di ogni parte del mondo, inoltre, ha accompagnato i cantanti più importanti della scena internazionale, come il baritono Ruggero Raimondi, la giovane soprano Carmela Remigio, il soprano Mirella Freni e il tenore Luciano Pavarotti. A Luciano Pavarotti, di cui è stato maestro sin dai primi anni della carriera, lo ha legato un sodalizio umano e artistico durato più di quarant’anni che si è consolidato in oltre mille esecuzioni, sia in veste di direttore che di pianista. La sua preparazione e la brillante carriera l’hanno portato a essere dirigente di teatri come il Teatro alla Scala e Il Maggio musicale fiorentino, oltre che scrittore di libri musicali per la Ricordi. Negli ultimi anni si è dedicato con rinnovato successo al pianismo solistico; la vasta discografia, sia come direttore sia come solista, testimonia la versatilità e l’eccezionalità del suo talento.
Per anni Herbert von Karajan ha preteso che artisti di fama internazionale studiassero le opere con lei, prima di salire sul palcoscenico del Festival di Salisburgo, com’è nata la vostra collaborazione?
Accompagnando al pianoforte Mirella Freni e Luciano Pavarotti, in audizione con il Maestro. Commentò che li avevo preparati molto bene (entrambi studiavano con me) e mi chiese di tenere un corso al festival di Salisburgo, che tenni per cinque anni. In quell’occasione collaborai con lui nelle opere italiane. Era una responsabilità perché von Karajan era molto esigente, ma anche molto simpatico con i suoi collaboratori, cantanti o musicisti. Sapeva cioè stemperare la tensione che inevitabilmente si provava lavorando al fianco di un simile gigante della musica.
Lei è stato segretario artistico del Teatro alla Scala di Milano e direttore della programmazione del Maggio musicale fiorentino, che ricordi ha di quel periodo?
Difficile elencare i ricordi di sette anni. Forse la débacle di Monserrat Caballe alla prima di Anna Bolena alla Scala, che mi costrinse a inventarmi una sostituta che trovai in cecilia Gasdia, che trionfò a soli 19 anni.
Da alcuni anni lei è tornato al pianismo solistico, con importanti recital in Italia e all’estero (Corea, Tokio). Com’è cambiato il pubblico rispetto ai suoi inizi?
Il pubblico, quasi sempre, reagisce allo stesso modo. Può passare dall’entusiasmo più sfrenato alla reazione più violenta, in rapporto al rendimento artistico degli interpreti.
Ritiene che il pianoforte sia lo strumento più completo?
Il pianoforte è certamente lo strumento più completo. Permette di leggere contemporaneamente molti righi musicali ed è indispensabile a ogni compositore. Non dico sia il più difficile, ma certamente il più completo.
Nel corso della sua carriera lei ha scoperto molti giovani, cosa occorre per aiutare un talento in erba?
Per scoprire un giovane occorre avere un intuito particolare… il giovane artista deve avere un talento naturale, che si sviluppa non solo tecnicamente ma anche artisticamente. E, forse, la seconda è la caratteristica più importante nella nostra epoca.
Lei e Luciano Pavarotti avete collaborato per più di quarant’anni, iniziando da quella lontana Bohème…
Sì, ha studiato con me fin dall’inizio, da quando aveva 18 anni e abbiamo fatto insieme più di mille esibizioni.
Cos’ha reso Pavarotti così grande?
Molte cose. La natura gli aveva dato una voce eccezionalmente estesa da subito. E le sue naturali cavità di risonanza davano al suo timbro vocale una bellezza particolarissima fin dal suo debutto in Bohème. L’interesse per la pronuncia della parola era in lui molto sviluppato e ha curato quest’aspetto maniacalmente per tutta la carriera. Poi la forte personalità, il carisma sul palcoscenico, la solidità fisica e vocale… un complesso raro di doti.
Il sogno del “Fitzcarraldo” era quello di costruire un Teatro per l’opera nella foresta amazzonica, lei accompagnò al pianoforte Luciano Pavarotti nel Teatro di Manaus, in un’inusuale performance …
Sì, dopo un grande concerto a Buenos Aires noleggiò una nave, attraversammo la foresta amazzonica e giunti a Manaus vidi che Luciano era stranamente emozionato, certamente pensava al film e a Caruso, il tenore che ammirava particolarmente assieme a Giuseppe Di Stefano. E volle cantare sul palcoscenico del teatro accompagnato da me con un vecchio pianoforte.
Lei ha diretto Henghel Gualdi durante la tournée del 1989 di Luciano Pavarotti negli Stati Uniti, che ricordo ha del grande clarinettista?
Henghel Gualdi è stato uno dei più grandi clarinettisti del mondo come jazzista e formidabile improvvisatore. Ricordo che Armstrong lo volle con sé nella sua tournée italiana e che l’unica volta che si esibì in America, a Portland sotto la mia direzione, ebbe un successo clamoroso sottolineato dalla stampa americana. Il problema principale era la sua ritrosia e avversione ai viaggi al di fuori dei confini emiliano – romagnoli. E questo gli ha impedito di raggiungere la fama mondiale che avrebbe ampiamente meritato.
Il suo ultimo lavoro discografico ha riguardato i 24 studi di Chopin, senza dubbio si è trattato di un compito impegnativo …
I 24 studi di Chopin costituiscono un unicum particolarmente arduo per ogni pianista. Li ho studiati per più di 50 anni tutti i giorni e registrarli è stato un grande impegno ma anche una grande soddisfazione.
Si ringrazia il Maestro Leone Magiera per la squisita collaborazione e la concessione del materiale fotografico.
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William Molducci
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